storia
2006: L’IMPEGNO DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI

UNA MEMORIA D’AMORE E DI IMPEGNO

Il nostro giornale entra nel suo trentaduesimo anno di vita ma lo spirito di chi lo ha fondato è presente più che mai e se qualcuno avesse dimenticato quest’uomo, la città che lo ha visto muovere i primi passi nel volontariato lo ha ricordato il 10 novembre con una significativa cerimonia.
In questa città mosse i primi passi, 35 anni fa, nel suo intenso impegno sociale, Vincenzo Russo Serdoz, uno dei fondatori della Consulta delle Associazioni di Volontariato che rappresenta attualmente oltre 40 realtà associative.
Chi legge il nostro giornale da molti anni ha conosciuto la sua storia ed il suo esempio.
Questo editoriale di inizio 2006 che riprende un avvenimento importante per tutti noi, vuole richiamare l’attenzione dei più giovani a comprendere il significato di una cerimonia in ricordo di quest’uomo.
Le associazioni hanno ora ufficialmente una sede che si chiama “Casa del volontariato” ed è stata appunto intitolata a Vincenzo Russo Serdoz.
Un grande riconoscimento al quale avevamo il dovere di dare il massimo risalto perché, oggi più che mai, attraverso il lavoro che svolgiamo, c’è tutta la sua opera, il suo esempio, ciò per cui lui si è battuto in vent’anni di attività ed anche prima quando ancora era un giovane con grandi idee, nonostante le gravi difficoltà dovute all’emofilia che negli anni ’50 e ’60 rappresentava un vero impedimento.
“La libertà – scriveva nei primi anni ’70 – è gioia di vivere senza pensare ai nostri limiti, alle nostre sofferenze. È la gioia di poter vedere sempre al di là degli ostacoli che la vita ci pone davanti.
La libertà è amore, amore verso il prossimo, amore che si può riversare liberamente senza impostazioni né fisiche, né tarate da vizi.
La libertà è speranza ed il poter essere liberi nel crederlo, perché se togliamo all’uomo la speranza cosa gli rimane?….”.
È stata una cerimonia semplice ma intensa, come, del resto, sono stati la sua vita ed il suo esempio.
I più giovani possono leggere di lui nel nostro sito internet al titolo: “la nostra storia”.E chi, come me, ha avuto la fortuna ed il privilegio di essergli amico e di lavorare con lui per vent’anni, carpendo il suo modo di amare e di essere sempre presente, in qualsiasi situazione, non può che ricordarlo proprio così, in ciò che facciamo, ai convegni, nelle associazioni, nelle lettere che riceviamo, in quella voglia di “lavorare con serenità” ma anche con un pizzico di grinta.
Anni indimenticabili di battaglie, delusioni, gioie, intenso dolore, speranza e, soprattutto “libertà”.
Il tutto sintetizzato in una sola parola: “vita”, che è stato anche il senso del suo ultimo articolo scritto pochi giorni prima di andarsene per sempre ma non dai nostri cuori.
Quella voglia di libertà e di vita che ce lo fa sentire vicino più che mai, con quelle sue mani che ci vengono incontro in segno di affetto, nel gesto soprattutto di “dare”, senza chiedere…
Così si può comprendere perché Ravenna, un esempio di sensibilità civica, ha voluto intitolare la “sua” Casa del Volontariato a Vincenzo Russo Serdoz.

XII CONVEGNO TRIENNALE SUI PROBLEMI CLINICI E SOCIALE DELL’EMOFILIA

Il XII Convegno Triennale dell’Emofilia, svoltosi a Milano dal 17 al 20 novembre, ha affrontato gli aspetti clinici, terapeutici e psicologici dei pazienti con emofilia.
Sempre più si assiste, partecipando a questi incontri, ad un’attenzione crescente agli aspetti collegati al comportamento, allo stile di vita, alle aspettative, in sintesi alla qualità della vita.
È interessante notare che nel corso degli anni sia andata maturando l’esigenza di vedere non più solo il paziente, ma la persona nella sua interezza e ciò dovrebbe condurre ad una maggiore attenzione delle necessità dei singoli.
Ciò che lo rende ben riuscito non sono solo i numeri, coloro che partecipano o che relazionano, ma i risultati concreti, le cose vere dette, la consapevolezza che non può esserci un beneficio unilaterale, ma vantaggi per tutte le parti.
Come in un buon contratto che si rispetti.
Ciò che rende ben riuscito un congresso va oltre il momento ufficiale, della presentazione, degli interventi, novità, ricerche.
Dietro le quinte di ogni convegno vedo sempre muoversi le persone più vere e sincere, quelle che sfuggono il riflettore per non esserne abbagliati ma per vedere meglio.
Per ascoltare una vita raccontata da chi ha vissuto un’esperienza irripetibile, fatta di successi, drammi, quotidianità da assolvere, sogni da inseguire, affetti da coltivare, delusioni da mettere in conto, amici da cui difendersi e alla fine ammettere che ciò che ciascuno di noi pretende è un giusto spazio dove essere ascoltati e capiti, senza pietà, perché se è di questa che vogliamo parlare, ricordiamoci che ce n’è per tutti.

GIOCO TERAPIA NELL’EMOFILIA

È stato distribuito a Milano, durante il Convegno Triennale, il libro “Gioco terapia nell’emofilia”.

Ne sono autori Britanna Carafa Gargallo, vice presidente della Federazione delle Associazioni Emofilici, e dil prof. Raffaele Landolfi, ordinario di Medicina Interna e Direttore del Servizio di Malattie Emorragiche, Trombotiche e Centro Emofilia del Policlinico “Gemelli” di Roma.
È la seconda pubblicazione firmata dagli stessi autori.
La prima si intitolava “Emofilia dalla A alla Z”.
Questa rappresenta una sorta di continuazione del dialogo iniziato con le famiglie.
In evidenza, in questo come nel primo, soprattutto il linguaggio, alla portata di tutti ed i temi trattati, prendendo a pretesto il gioco attraverso un percorso che ha come vero obiettivo la profilassi del bambino per tutta la vita con l’emofilia, partendo da una sorta di gioco.
Infatti il sottotitolo del libro è: “L’emofilia non è un gioco, ma giocare all’emofilia è possibile, naturale e di grande beneficio”…
Gli autori ci dicono che: “questo libro vuole mettere in rilievo il possibile ruolo della gioco terapia nell’ambito più specifico dell’emofilia in età pediatrica e lo propone come linguaggio efficace e cognitivamente adatto per aiutare il bambino nel prevenire e trattare le ansie associate alla terapia trasfusionale e per accompagnarlo nel suo viaggio di accettazione dell’emofilia nella sua vita.
Gli obiettivi sono quelli di facilitare la sua convivenza con il suo stato e fortificare nel contempo la sua autostima spesso minacciata dal considerarsi e dall’essere considerato in qualche modo “diverso” dai suoi coetanei.
La gioco terapia o “gioco terapeutico”, nell’emofilia può essere parte integrante del programma di trattamento globale del bambino essendo uno strumento particolarmente adatto a soddisfare i bisogni psicologici del bambino stesso.
Per una sana ed equilibrata crescita le infusioni del fattore carente non sono sufficienti; ci vogliono infusioni giornaliere d’incoraggiamento, informazioni adatte, fiducia, amore, umorismo e sdrammatizzazione, il tutto condito con il gioco, che è la manifestazione tipica di ogni bambino”.

  • formazione dei genitori: famiglie informate e rassicurate sono più tranquille nel gestire la quotidianità dell’emofilia
  • esempio positivo e costruttivo degli adulti
  • mantenimento di una vita di comunicazione aperta riguardo all’infusione
  • coinvolgimento di tutta la famiglia durante le attività di gioco terapeutico
  • adozione di una mentalità elastica
  • continuità dell’approccio nel tempo
  • ogni nuova conquista va lasciata al bambino
  • non arrendetevi, mai

Nella seconda parte che riguarda l’attività di gioco terapia si ricorda innanzitutto (e questo è molto importante) “…a tutti coloro che vogliono praticare le attività descritte nelle pagine successive che prevedono l’infusione, per gioco, di soluzione fisiologica per uso endovenoso nell’adulto, debbono prima essere preparati adeguatamente dal proprio Centro Emofillia per tutto ciò che concerne la tecnica asettica, l’infusione e le precauzioni da adottare per garantire sicurezza”.

Ancora sugli indennizzi, sulle cause, sulle transazioni

Dal 1992, data prima della promulgazione delle legge 210, si sono susseguiti molti governi e tutti in qualche modo hanno tentato di “fare qualcosa” per migliorarla, spesso ripartendo daccapo perché i rappresentanti delle associazioni o i loro legali si sono sobbarcati l’onere di rispiegare la materia del contendere.
Il nostro giornale, per chi lo legge, ne è la dimostrazione o come qualcuno ci definisce, la memoria storica di quanto accaduto; basta rileggerlo ad ogni numero dal 1993 in poi.
Ancora una volta, non potevamo che essere al nostro posto, nonostante le ferie estive, per documentare gli ennesimi tentativi di “riparare” agli inevitabili danni compiuti anche in quest’ultimo anno.
E la sensazione è ancora una volta che si voglia intervenire “comunque” ma con metodi che ci sembrano sbagliati, seguendo l’onda dell’emotività di coloro che chiedono i loro diritti ma non rendendosi conto di quanto sia complessa la materia ed anche, perché no, quanto sia grande l’impegno economico che lo Stato dovrà mettere in conto.

IL DIFENSORE CIVICO DELLA TOSCANA

Lunedì 24 luglio, un incontro organizzato dal Difensore Civico della Toscana dr. Giorgio Morales, rivolto ai parlamentari di quella Regione.
L’oggetto della convocazione era: “Proposte di modifica alla legge 210/1992 – Indennizzo ai cittadini danneggiati da vaccinazioni, trasfusioni ed agli operatori sanitari che hanno contratto un danno irreversibile a seguito di contatto con sangue o suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti virali”.

Ci sembra superfluo evidenziare l’importanza “politica” del Difensore Civico della Toscana perché chi ha avuto modo di leggere il nostro giornale si sarà reso conto che il suo ruolo ha valicato i confini della Toscana, assumendo una sorta di mandato anche per le associazioni ed i pazienti di tutte le altre regioni italiane.
Erano presenti all’incontro, oltre ai rappresentanti dell’Ufficio Dott. Gasparrino e dott. Caponi, lo studio legale dell’associazione AMEV con gli avvocati Stanca e Crea ; Siro Brigiano per la Fondazione Futuro senza Talassemia con gli avvocati Di Donato e Marchionna; il Comitato Talassemici “Speranza di vivere” con i signori Barbagli e Scialpi; per Cittadinanza Attiva l’avv. Maria Paola Costantini.
L’invito era stato esteso anche al nostro direttore Brunello Mazzoli.
Ebbene, l’unico parlamentare presente è stato l’on. Valdo Spini.
Tra i documenti consegnati all’on. Spini e spediti anche agli altri parlamentari che non erano presenti risaltano cinque punti per il miglioramento della 210.

  1. L’abolizione dei termini per la presentazione delle domande per tutte le categorie tutelate dalla legge 210/92 (vaccinati, emotrasfusi, operatori sanitari), secondo le indicazioni già tracciate dal disegno di legge approvato alla Camera nella passata legislatura e accantonato per esigenze economiche imposte dalla legge finanziaria 2005 mentre era in avanzata fase di discussione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato (n. 2970).
  2. La concessione di un sostanziale aumento dei ratei degli indennizzi per tutti i soggetti tutelati dalla legge 210/92.
  3. La revisione delle categorie della tabella A allegata al DPR 834/1981 per renderli più facilmente applicabili nelle affezioni da epatiti virali.
  4. L’ammissione di prove testimoniali e di certificazioni redatte da medici nei casi ove la documentazione clinica relativa al trattamento emotrasfusionale o vaccinale sia andata smarrita dalle Aziende Sanitarie.
  5. La definizione più rapida dei procedimenti da parte delle ASL e soprattutto da parte delle Commissioni Mediche Ospedaliere e Ministero della Salute.

La proposta di legge dell’onorevole Di Virgilio della quale si è parlato anche nell’incontro di Firenze.
Il titolo è: “Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di trasfusioni di sangue ed affetti da talassemia major o intermedia trasfusione dipendenti o da talassodrepanocitosi”.
Questa proposta di legge “veicolata” a molte associazioni ha creato, nella sua indubbia utilità, diverse perplessità.
Però è altrettanto corretta la lettera di presentazione che parla di richiesta di un parere per eventuali modifiche al testo.
In questa sede, per rispondere alle innumerevoli richieste dei nostri lettori responsabili di associazioni, vogliamo evidenziare quanto si dice nella premessa della legge dell’on. Di Virgilio, rivolta ai colleghi parlamentari: “…in Italia sono circa 1800 i pazienti talassemici che hanno attivato procedure giurisdizionali per il riconoscimento del danno subito.
Sono ormai anni che attendono una chiarificazione della loro posizione e il riconoscimento di un risarcimento che altre categorie di pazienti hanno ottenuto e che si rende necessaria per una corretta equiparazione dei diritti dei pazienti.
La legge 210 del 1992 e il decreto legge 23 aprile 2003 n. 89 riconosce un indennizzo, non solo ai pazienti emofilici, ma anche ai talassemici.
Gli emofilici hanno visto accolte le loro giuste rimostranze e hanno ottenuto ciò che di diritto spettava loro.
Con la presente proposta di leggi si intende dare quindi un riconoscimento concreto a quegli sfortunati cittadini che per ben due volte sono stati danneggiati, prima con una trasfusione infetta e poi con un’ingiusta discriminazione”.

Segue il testo della proposta di legge che ricalca a grandi linee la già citata 229 a favore dei vaccinati.
Ora, pur riconoscendo l’utilità di un simile intervento ci permettiamo, dopo un consulto con alcuni rappresentanti di associazioni interessati alla problematica e per fare chiarezza su quanto riferito nei cinque articoli di questa proposta di legge, rilevare quanto segue:
nella parte introduttiva, nel fare riferimento alla legge 141/2003, vi si attribuisce erroneamente il riconoscimento di un indennizzo in luogo di una stipula, come previsto, di atti transattivi tra i danneggiati ed il Ministero della Salute, di concerto con il Ministero per l’Economia e le Finanze.
Saltando, in questa sede, altre importanti note che dovranno essere evidenziate in un inevitabile incontro prima della presentazione ufficiale del progetto legge, riteniamo che ci si debba raccordare e coordinare tra i pazienti in causa e gli studi legali che ne hanno la rappresentanza e, altrettanto importante, con le associazioni che si muovono a livello politico, intendono in questo, una priorità anche per il Difensore Civico della Toscana.
Questo per evitare, come è successo e sta succedendo tuttora, che ci si divida tra chi chiede i benefici della legge 141/2003, ossia gli atti transattivi, e chi preme i benefici di cui alla legge 229/2005, che prevede un pretesto per lasciare le cose come stanno, a danno dei talassemici.
Il problema che pone la proposta in esame va approfondito ed occorre pervenire ad una decisione unitaria tra tutte le parti interessate o largamente condivisa.

VACANZA ANNO SECONDO

Nell’editoriale dell’anno scorso avevo parlato come di una “piccola favola” iniziando il mio racconto con la fatidica frase: “c’era una volta…”.

Mi ripeto anche quest’anno, non tanto per una sorta di celebrazione del “come siamo bravi”, ma per documentare una iniziativa rivolta ai ragazzi che è servita (ora ne siamo quasi certi) e servirà in futuro anche a coloro che ne sono stati i responsabili, gli animatori, i loro padri o le loro madri temporanei, vivendo insieme per una settimana.
Ed è proprio a queste persone che va il ringraziamento per la dedizione e l’impegno che hanno profuso.
27 ragazzi (dieci in più del 2005) sono la dimostrazione evidente che la nostra iniziativa nata in un modo così “avventuroso” e senza esperienza, è stata apprezzata, soprattutto da chi ci ha anche quest’anno affidato i suoi figli.
Il passaparola tra le famiglie, le associazioni ed i Centri sono stati i veicoli importanti di pubblicità ma anche, perché no, i racconti dei ragazzi al ritorno alle loro case.
Quest’anno abbiamo allargato la partecipazione e la parte del leone l’ha fatta la Campania; poi in ordine da sud a nord, abbiamo avuto ragazzi dalla Sicilia, dal Lazio, dalla Toscana, dalla Sardegna, dall’Emilia Romagna, dal Veneto, dal Trentino, dalla Lombardia, per un totale di 27; non tutti italiani, è questa è stata un’altra novità.
Vogliamo anche scusarci con le famiglie che avrebbero voluto mandare i loro figli ma non è stato possibile accontentarli per il numero già alto di partecipanti. Abbiamo assicurato loro che il prossimo anno saranno in prima linea nella lista dei partecipanti.
Questo nostro piccolo racconto poi mi sia permesso dedicarlo ad Albi (ragazzo albanese di undici anni) che è dovuto tornare a casa dopo soli due giorni per un problema fisico; ciò che non ha potuto fare quest’anno, ne siamo certi, lo farà il prossimo anno e noi lo aspettiamo tutti a braccia aperte.
E per “noi” intendo: Chiara, la dottoressa che ci garantisce non soltanto l’assistenza medica, ma la presenza di una mamma “supplente”. E quest’anno si è divisa in due attraverso la collaborazione di Patrizia, un’altra dottoressa entrata a far parte del nostro mondo; inoltre ci ha portato il nostro regista “Paco” che confezionerà un CD con il resoconto visivo della settimana e che sarà a disposizione di tutti coloro che ne faranno richiesta.
Brianna, conosciuta tra le famiglie attraverso le sue pubblicazioni ma che da noi assume il ruolo di una delle mamme dei ragazzi.
Renata, che quando non sai dov’è la trovi in qualche camera da un ragazzo che non sta bene o in crisi di nostalgia e che quest’anno è arrivata con una Giada dagli occhi di cielo e dal sorriso dolce e sereno come il suo animo.
Alessandro, che quando sembra “morto” risorge e ti propone nuove iniziative. Ma la sua migliore iniziativa è senz’altro quella di portarci Isabella che “lascia il segno” ma resta pochi giorni. La nostra speranza è che il prossimo anno non riparta troppo presto. Gabriele, che quest’anno si è superato portandoci Francesca, neo dottoressa che si è integrata a meraviglia nel nostro gruppo.
Serena, che ha “colorato” la nostra vacanza con la presenza di Abel.
Rocco, che sa cogliere lo stato d’animo dei ragazzi e nobilita la categoria degli psicologi, cogliendo puntualmente gli stati d’animo ed il perché di certi atteggiamenti, insegnando anche a noi a crescere con loro.
Roberto, l’ultimo arrivato che si è inserito subito all’interno del gruppo dimostrando il suo feeling con i ragazzi e creando una sorta di filo diretto con gli adulti.
Sì, anche quest’anno è stato un bel gruppo eterogeneo, quasi una famiglia dentro la quale ci sono stati vari personaggi, ognuno con il suo carattere, ma senza la quale non sarei in grado di dirvi che la ripeteremmo anche il prossimo anno.
Una mamma mi ha raccontato che suo figlio, dopo l’esperienza dello scorso anno, ha perso la sua timidezza, si è inserito bene tra i suoi coetanei e, cosa più importante, non si vergogna più della sua “malattia”.
Malattia? Se ben ricordo, l’unica vera “malattia” è stata la nazionale di calcio che ha colmato alcune serate attraverso un tifo sfrenato.
E poi, non è mancato il sole (anche troppo) che ci ha costretti a fare uso di chili di pomata protettiva per non dover correre il rischio di trovare qualche ragazzo particolarmente chiaro di pelle “cucinato” a puntino…..
Ed ancora, l’ultimo pranzo e l’incontro con i genitori; parlare con loro, sentirci vicini, scrutando i loro volti o, ancora una volta, leggere soddisfazione e serenità.
Questo è stato il premio più grande per noi.
Ecco, dopo tutta questa “normalità”, ora, mi sia concesso, è il momento del silenzio, del relax.
Resta quella sorta di soddisfazione personale (e l’ho avvertita in tutto il nostro gruppo), non nella sola consapevolezza di aver contribuito ad un’altra settimana di gioia per un gruppo di ragazzi, ma di avere ancora una volta, dopo tanti anni, acquisito una ulteriore esperienza di vita attraverso di loro, delle loro famiglie ed anche nella preoccupazione di qualche genitore che alla fine si è stemperata “scoprendo” che il loro figlio è pienamente in grado di vivere con gli altri, magari nella sua normalità, di essere un tantino “manesco” o introverso o “capo branco” o anche, perché no, “teppista”.
Tutti ingredienti che fanno di loro ragazzi qualsiasi che ogni mattina, dopo la profilassi (per chi la fa), si sono “scatenati” nelle varie attività che abbiamo offerto loro.
Tutto questo rientra nella normalità e noi siamo fieri di contribuire, anche se soltanto con una breve settimana al mare, alla loro crescita.
Quest’anno avevamo confezionato magliette nelle quali avevamo stampato una scritta: “…io me la cavo”; beh, pensiamo proprio che insieme a loro ce la caveremo ancora…

Brunello Mazzoli

TRE ANNI DI LAVORO DELLA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DEGLI EMOFILICI

Il servizio vuole mettere in risalto la notevole mole di lavoro svolto dal direttivo, anche in collaborazione con alcune associazioni locali, ma vuole al contempo essere di incentivo per coloro che ancora non hanno dato un contributo significativo alla comune vita associativa.

Certamente, è sempre più facile criticare che agire, ma il dialogo, come è successo a Milano, quasi sempre, è un’arma migliore per giungere ad un’unità d’intenti.
Ci sembra che a Milano sia stato fatto proprio questo.
A Milano inoltre è stato rinnovato il Consiglio direttivo che per il prossimo triennio (2005-2008) sarà così composto: Giovanni Nicoletti – Presidente, Gabriele Calizzani – Vice Presidente, Brianna Gargallo e Francesco Ceglie – Consiglieri, Alessandro Marchello – Segretario generale.
Nella sua relazione, Alessandro Marchello ha fatto il punto sull’attività svolta in tre anni.
Un fiore all’occhiello è rappresentato certamente dal proseguimento dell’attività del progetto PUER con i suoi 30 incontri tenutisi in tutta Italia.
Poi, una serie di altri incontri/convegno organizzati sui temi della “profilassi secondaria dell’emofilico adulto”, della “procreazione medicalmente assistita”.
La Federazione ha rivolto il suo sguardo anche ai paesi meno fortunati attraverso interventi umanitari internazionali che si sono concretizzati nell’invio di fattori della coagulazione in Russia, Romania, Cuba, Argentina, Albania, per un totale (in tre anni) di oltre 1.100.000 unità.
Ancora a livello internazionale, la Federazione è da anni membro dell’EHC, European Hemophilia Consortium, e dal 2005, nella persona di Gabriele Calizzani è anche membro del consiglio direttivo.
Per quanto riguarda le attività strettamente medico-assistenziali, Marchello ha ricordato il successo dello studio sull’agopuntura nell’emofilico, il primo al mondo, e la convenzione con la Casa di Cura Domus Salutis che completa il percorso di coloro che sono stati sottoposti ad un intervento di artroprotesi presso il Centro di Milano, consentendo una terapia riabilitativa di ottimo livello in una clinica altamente specializzata.
In questi tre anni è presente in varie commissioni ministeriali oltre che nel coordinamento delle malattie rare.
Un richiamo doveroso ed importante è rivolto alle ancora troppe associazioni che non collaborano alla vita della Federazione informando sulla loro attività o sulle modifiche agli assetti o anche soltanto alle variazioni di indirizzo.

TERAPIA GENICA DELLE EMOGLOBINOPATIE

La terapia genica prevede siano prelevate dal midollo del paziente le cellule staminali che saranno opportunamente corrette geneticamente, espanse in laboratorio, per aumentarne la quantità secondo il peso del paziente e poi reinfuse nello stesso col metodo che è usato in una normale trasfusione (trapianto autologo).
A questo punto va precisato che mentre nella prima fase sperimentale in vitro non era necessario prevedere particolare cautele nel momento del trattamento delle cellule prelevate dal midollo del paziente, adesso che le SUE cellule trattate gli saranno trasfuse e che quindi rientreranno nel suo organismo, la fase di trattamento in laboratorio sarà d’estrema delicatezza, dovendo prevedere che l’ambiente dovrà essere COMPLETAMENTE sterile.
L’Ospedale Cervello di Palermo non è momentaneamente dotato di quest’ambiente protetto, ma la sua costruzione è prevista nel padiglione che sarà costruito in tempi brevi e che sarà dedicato anche alla terapia genica e all’ospitalità dei parenti dei pazienti.
A questo punto permetteteci di porre una domanda: chi ha reperito fino a questo momento le risorse finanziarie per supportare questo sforzo che è tecnico/scientifico ma anche organizzativo?
La risposta c’è stata data dai pazienti e dai ricercatori presenti in assemblea: i SOLDI sono stati messi a diposizione dal volontariato e in particolare dalla Fondazione GIAMBRONE e dall’Associazione per la ricerca PIERA CUTINO onlus di Palermo, la quale è presente presso il Centro di Talassemia del Prof. Maggio, quotidianamente con i propri volontari.
Adesso urge l’acquisto della Camera Sterile per il trattamento delle cellule, ambiente sterile che sarà messo a disposizione di tutte le strutture italiane che vorranno utilizzarlo.
L’associazione Piera Cutino rivolge un appello a tutti i talassemici italiani affinché supportino questo ulteriore sforzo: la Camera Sterile costerà circa 170.000 euro e sarebbe molto bello se ognuno di noi la sentisse propria con un contributo secondo le personali possibilità.
D’altronde quella struttura sarà realmente di tutti perché potrà essere utilizzata da ogni Centro qualificato per la Terapia Genica.
Nel passato i tentativi per rendere più uniti e coesi i talassemici sono stati molteplici.
Adesso che all’orizzonte sembra delinearsi un traguardo che, tutti noi, per tanto tempo abbiamo sognato, forse è arrivato il momento di mettere da parte i particolarismi e le personali ambizioni e dare forza a questo progetto.
Con ciò, si badi bene, non intendiamo alimentare falle aspettative, desideriamo soltanto porre l’accento su un evento scientifico che sembra possibile valutare in tempi brevi.

La terapia genica nelle talassemie: più che una speranza
Per la giornata mondiale della talassemia, a cura dell’Associazione S.O.S.T.E., della Fondazione “Giambrone” e dell’Associazione (oggi anche Fondazione) “Piera Cutino” è stata organizzata una conferenza stampa: moderatore Piero Angela.
Al tavolo della presidenza ci sono alcuni tra i nomi più importanti interessati a questa importante ricerca: Cutino, De Sanctis, Sadelain, Maggio, Cianciulli, Acuto.
Il padiglione ospiterà il Dipartimento di Ricerda, il reparto di degenza e la Casa Albergo per i parenti dei pazienti.
Diversi soggetti stanno collaborando economicamente per la realizzazione del progetto, ma il suo appello ai talassemici è stato molto accorato: senza il contributo delle famiglie i tempi si allungherebbero di molto.
L’invito pressante è pertanto chiaro e diretto ad ognuno di noi, nessuno escluso.
Il prof. Aurelio Maggio ha spaziato dall’urgenza che anche la solidarietà venga globalizzata, al fatto drammatico che in nessuno dei programmi internazionali la talassemia ha priorità alcuna.
I 7.000 talassemici italiani rappresentano un’opinione pubblica e come tale deve avere diritto di cittadinanza, quale problema prioritario da affrontare e risolvere in questo paese.
Ha puntualizzato un dato di grande interesse: “ammesso che il rischio della terapia genica sia intorno al 3-4%, dato questo solamente teorico, il rischio rappresentato dalle cardiopatie, che mettono a repentaglio la sopravvivenza è del 6% accertato”.
Ha concluso il suo intervento con l’esortazione che facciamo nostra: “credere”.
Il dott. Michel Sadelain ha esordito che ci sono voluti 15 anni di studio per trovare il vettore adatto.
Nel 2000 era stato pubblicato su “Nature” il lavoro fatto su topi talassemici che erano stati guariti con questa terapia.
In seguito altri tre gruppi di ricerca nel mondo hanno ottenuto gli stessi risultati.
“Nella anemia falciforme – ha detto – abbiamo introdotto un gene correttivo con una sequenza di RNA interferente per raggiungere il doppio risultato di fare produrre emoglobina fetale sufficiente e contrastare la produzione di emoglobina S.
Nella Beta talassemia non occorre RNA interferente, per il resto la metodica è uguale.
Con questo metodo cureremo le talassemia con soddisfacente sicurezza.
In altre patologie guarite con le stesse metodiche il rischio è del 3-4% in talassemia il rischio va abbassato ulteriormente per due ordini di ragioni: 1° perché le dosi di chemioterapia per creare gli spazi necessari al midollo sono minime; 2° perché non saranno utilizzati tre farmaci come per le altre patologie, ma uno soltanto, il Busulfato.
Quindi un solo farmaco a dosi bassissime: il rischio sarà ancora più basso che in altre patologie e in atto è solo teorico”.
Ha spiegato con dovizia di particolari la necessità di costruire uno speciale laboratorio (camera sterile) perché le cellule prese dal paziente dovranno tornare allo stesso paziente in stato di totale sterilità.
Poi è passato a trattare la dolente nota dei finanziamenti alla ricerca.
Ha denunciato la gravità della situazione in USA, dove il Governo federale ha tagliato i finanziamenti alla ricerca perché Bush deve fare le guerre.
In America la popolazione fortemente interessata è in maggioranza afroamericana, gente con un basso tenore di vita.
Nel mondo la talassemia colpisce quasi sempre i paesi del terzo mondo.
L’unico paese industrializzato e con un tenore di vita migliore è l’Italia.
Il ragionamento porta direttamente alla conclusione che se non ci diamo una mossa in Italia, questa ricerca è compromessa, quanto meno nei tempi che si allungherebbero a dismisura.
Ha concluso questa parte del suo intervento affermando che loro sono molto entusiasti delle prospettive, anzi ha usato il termine eccitati.

LA FEDEMO COMPIE 10 ANNI

Sono passati 10 anni dal giorno in cui si riunirono le 21 associazioni locali che dopo una lunga e costruttiva fase progettuale firmarono un atto costitutivo che cambiò radicalmente il mondo associativo legato all’emofilia e alle coagulopatie congenite.
Si iniziò con una mission: “promuovere progetti di ricerca scientifica e interventi sociali al fine di migliorare l’assistenza alle persone con emofilia e deficit ereditari della coagulazione”.
Abbiamo lavorato molto e lo abbiamo fatto pensando che il nostro ruolo primario fosse fornire un modello di comportamento alle strutture pubbliche, alle quali la nostra attività si affianca e a tratti, ne sostituisce, le competenze.
Abbiamo inteso il sociale come “pratica della solidarietà”, abbiamo finalizzato la nostra attività e i nostri sforzi all’aiuto alla persona.
Le azioni individuali, in questo ambito, assumono una valenza non immaginabile.
Si è infittita la rete delle associazioni locali aderenti alla Federazione che attualmente sono 31.
Attualmente in Italia oltre a queste agiscono sul territorio anche una Federazione delle Associazioni dell’Emilia Romagna (FEDRED) e una Fondazione che riunisce le Associazioni di Marche, Abruzzo e Umbria (FONDAZIONE EMO).
Altre realtà locali ancora stanno lavorando sinergicamente per ottimizzare le forze e rendere più rappresentativa la loro presenza sul territorio.
Abbiamo raccolto l’eredità culturale e l’impegno nel campo della tutela dei diritti dei pazienti emofilici che la Fondazione dell’Emofilia ha espresso nel nostro paese a partire dal lontano 1970 che coniugava la presenza della parte laica e di quella scientifica.
Dalla separazione delle due compoenti sono nate la Federazione e l’AICE, l’Associazione Italiana Centri Emofilia.
Due organismi autonomi e distinti ma che hanno continuato a collaborare in stretta sinergia, creando legami così solidi e compiuti che ancora oggi molti programmi vengono portati avanti proponendo ognuna, per quanto di propria competenza, professionalità di alto livello.

Rappresenta gli emofilici italiani ai più alti livelli istituzionali:
siede nella Commissione Nazionale Servizi Trasfusionali (CNST), ambito nel quale collabora alla revisione della legge 107 sul piano sangue;
partecipa ai lavori della Consulta Nazionale AIDS, con cui negli anni 1997, 1998, 1999 ha stipulato convenzioni nel quadro della Campagne Nazionali d’Informazione e Prevenzione contro l’Aids, di cui ha curato la stesura e realizzazione;
è accreditata presso I.S.S. – Centro Nazionale Malattie Rare;
è membro dell’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE);
è membro del coordinamento nazionale per le malattie croniche presso Cittadinanza attiva, Tribunale del malato;
ha partecipato fra il 1997 e il 1998 ai lavori del Tavolo permanente sulla Legge 210/92, presso il Ministero della Sanità;
rappresenta ufficialmente l’Italia in seno alla World Federation of Hemophilia (WFH), quale National Member Organization;
nel 1999 è stata interlocutore del Ministero della Sanità nel primo Gruppo paritetico istituito allo scopo di trovare una via transattiva alle cause civili intentate dagli emofilici per la questione del danno da trasfusione;
nel 2002 è stata interlocutore del Ministero della Salute nel secondo Gruppo paritetico.

OBIETTIVI E AZIONI DAL PUNTO DI VISTA CLINICO           

La Regione Emilia-Romagna, su impulso dell’associazione emofilici, ha recentemente adottato un modello hub and spoke con un centro di coordinamento regionale che consideriamo una buona pratica da diffondere in altri contesti locali in quanto in grado di ottimizzare le risorse del sistema sanitario.

OBIETTIVI E AZIONI DAL PUNTO DI VISTA SOCIALE

È vitale che il Governo risolva il problema degli indennizzi alle persone colpite da infezioni per uscire dal circolo vizioso dei ricorsi giudiziari.
Le soluzioni possono rivolgersi verso previsioni legislative che coprano i casi finora non considerati nel procedimento di transazione (previsto peraltro da una legge e da un decreto ministeriale).
In ogni caso ci sembra irrinunciabile una modifica alla legge 210/92, novellata dalla legge 238/97, prevedendo l’apertura di una apposita finestra temporale che consenta a quanti non erano a conoscenza della legge di presentare la domanda e adeguando in modo effettivo le somme corrisposte al costo della vita.
In ambito sportivo è necessario che siano rivisti i criteri di riabilitazione alla pratica sportiva agonistica che attualmente precludono tale possibilità al soggetto emofilico, attuando di fatto una discriminazione non più giustificata in presenza delle attuali possibilità terapeutiche che rendono a tutti gli effetti il paziente emofilico uguale agli altri.

PROGETTO ART

Un approfondimento sul tema della genetica e della procreazione consapevole. Lo scopo di questo progetto non è proporre soluzioni bensì richiamare l’attenzione delle persone con emofilia e dei loro famigliari affinché si affronti in modo informato, e quindi consapevole, la scelta importante di avere dei figli.

PROGETTO CTO

Si tratta di uno spazio ospedaliero e di un servizio di chirurgia che si è distinto negli ultimi anni nell’assistenza dei pazienti emofilici, particolarmente con l’impianto di artroprotesi.
Presso la Divisione di Clinica Ortopedica del CTO di Milano, diretta dal prof. Facchini, grazie alle capacità maturate dal dott. Solimeno, dal 1997 a oggi sono stati effettuati oltre 100 interventi di chirurgia elettiva, con impianto di circa 100 protesi di ginocchio e di anca.
Dal 2003, grazie alla preziosa collaborazione della Direzione Sanitaria della clinica riabilitativa DOMUS SALUTIS di Brescia, a tutti i pazienti operati si apre la possibilità di essere accolti, al termine della degenza post operatoria, nella struttura di riabilitazione per completare il percorso di recupero funzionale ottimizzando così i risultati dell’intervento chirurgico.
La clinica è convenzionata ed è dotata delle migliori attrezzature, di palestre e di piscina.
I pazienti sono seguiti da personale altamente qualificato e con grande esperienza specifica.

PROGETTO PUER

È un programma di formazione e sostegno rivolto a genitori di piccoli emofilici.
Individuati come i soggetti più bisognosi, nella maggior parte dei casi queste persone si trovano ad affrontare per la prima volta l’avventura di accettare e crescere un bambino emofilico.
Attraverso il confronto, le famiglie ‘crescono’ culturalmente e socialmente: migliorano in modo sensibile le modalità di gestione della malattia apprendendo dalle esperienze altrui, imparano a ridimensionare e gestire le proprie ansie con forti ricadute sul rapporto con i propri figli, emofilici o meno, si aprono all’esterno imparando a parlare di problemi che fino a quel momento avevano tenuti per sé.

PROGETTO SPRINT

Nell’ottica di una sempre maggiore collaborazione fra componente sociale e componente medico-scientifica la Federazione si è fatta promotrice di un progetto incentrato sull’attività motoria, lo sport e la riabilitazione, temi che rivestono un’importanza primaria nell’assistenza globale al paziente emofilico.

CAMPI ESTIVI

Da alcuni anni ai ragazzi emofilici è offerta l’opportunità di partecipare a dei campi estivi che spesso, per loro rappresentano la prima formativa esperienza lontano dai genitori.
Grazie alla Fondazione Alberto Rangoni e ai suoi referenti operativi è stato possibile realizzare alcune di queste fantastiche opportunità.
La Fondazione ha lanciato il progetto PUNTO A CAMPO per garantire alle famiglie dei ragazzi tutto l’appoggio organizzativo ed economico necessario.
Si tratta di un’opportunità eccezionale per ragazzi dai 10 ai 16 anni di partecipare a campi estivi in cui scoprire (o ri-scoprire) le proprie capacità, sia dal punto di vista fisico sia da quello emotivo.
Esistono inoltre possibilità di soggiorni estivi anche sul territorio nazionale, in particolare il campo organizzato dall’Associazione Emofilici e Talassemici “Vincenzo Russo Serdoz” di Ravenna, e la Colonia Medico Riabilitativa che tutti gli anni viene organizzata in Puglia.

AGOPUNTURA

Il possibile ruolo dell’agopuntura nell’artropatia emofilica si basa sull’ormai dimostrato effetto antalgico, eutrofizzante e miorilassante; la scarsità di dati in letteratura è dovuta alla rarità di questa patologia rispetto ad altre forme artrosiche e alle differenti modalità classificative della nosologia medica cinese.

INFORMAZIONE AIDS

Progetto realizzato con lo scopo di ricondurre ad una maggior responsabilizzazione degli emofilici, familiari e amici e a una maggior professionalità dei volontari che prestano forme di counselling ai pazienti.
Il progetto è stato finanziato dal Ministero della Sanità nel quadro degli interventi nazionali mirati all’informazione e alla prevenzione dell’Aids.
La Federazione ha organizzato, nel corso dell’anno 2000, due importanti attività: la distribuzione capillare dei materiali informatici del Ministero (dedicati ai giovani e alle donne) attraverso la rivvista “EX” e le Associazioni aderenti; lo studio e la realizzazione di una giornata di formazione che rispondono ai centralini associati.

SPAZIO AI GIOVANI

Si apre un nuovo percorso che si preannuncia tutt’altro che semplice, per realizzare il ricambio generazionale necessario alla sopravvivenza della struttura stessa.
È sempre più necessario considerare questa fase come la transizione che muove da una società consolidata e attiva, verso una che dovrà prendersi carico di se stessa.
Nei prossimi anni la Federazione, in collaborazione con le Associazioni, porterà avanti un progetto con l’obiettivo specifico di individuare, stimolare e formare giovani che saranno nel prossimo futuro il nuovo motore.
Si è concretizzata la creazione del Fondo Solidarietà. Allo stato attuale tutte le posizioni delle persone che hanno aderito al fondo sono state pagate.
La Fondazione Paracelso è già operativa e sta già erogando dei servizi che presto si amplieranno quando la Fondazione riceverà i fondi aggiuntivi.
Tutto ciò è avvenuto in strettissima sinergia con i membri del CDA.
La Federazione è intervenuta in ambito locale dove richiesto, da associazioni con difficoltà o necessità di vario genere.
Ha incontrato le istituzioni quando è stato necessario farlo.
Ha esposto con fermezza la necessità della chiusura della transazione nel più breve tempo possibile.
Il lavoro è ancora in corso e la ferma richiesta è che il beneficio vada anche a coloro che sono in possesso di pari requisiti e diritti e nonostante ciò è ancora ingiustamente ed inspiegabilmente escluso.
I risultati si sono visti soprattutto in quelle drammatiche circostanze in cui al termine del 2004 vennero a mancare i fondi per i pagamenti delle transazioni.
In quell’occasione la pressione che la Federazione ha esercitato sugli organi ministeriali è stata determinante tanto da consentire dei pagamenti.
È intervenuta sul Ministero della Salute per accreditare le linee guida AICE (sul trattamento dell’emofilia, inibitore, Willebrand), e ha svolto azione di coordinamento fra AICE e Ministero affinché anche questo accreditamento avesse esito positivo.
È stata creata una fondazione, la Fondazione Paracelso Onlus, che si affianca alle attività della Federazione e ne sostiene organizzativamente e finanziariamente i progetti.
Grazie alla rivoluzione portata dalla creazione della Fondazione Paracelso, è stato possibile assumere a tempo pieno 2 persone che attualmente lavorano per la Fondazione e per la Federazione.
Il grande salto di qualità consentirà a entrambe le strutture e a cascata a tutte le associazioni, di migliorare la qualità della propria azione riuscendo a restare al passo con la crescita del lavoro da svolgere.
Infine non dimentichiamo le decine di paesi nel resto del mondo dove nonostante l’incidenza della patologia sia la stessa, gli emofilici non ricevono nessuna cura.
Un bambino nato in Italia ha una prospettiva di vita quanto mai promettente.
Il 75% della popolazione mondiale non dispone tuttavia di farmaci salva-vita: nei Paesi con bassa capacità di spesa per la salute, gli emofilici hanno un’elevata probabilità di incorrere in disastrose invalidità permanenti; alto è anche il rischio di mortalità per la mancanza di adeguati trattamenti.

DALLA PARTE DELLE DONNE

Come promesso torniamo a parlare delle donne che hanno a che fare con il mondo dell’emofilia, pubblicando un’intervista a due medici: la dott.ssa Elena Santagostino – Responsabile del Centro Emofilia di Milano e la dott.ssa Chiara Biasoli – responsabile del Centro di Cesena.

Cosa significa essere portatrice in Italia?

Per poter dire cosa vuol dire essere portatrici di emofilia è necessario fare un passo indietro e chiarire le cause della malattia.
L’emofilia è una malattia ereditaria che si trasmette cioè dai genitori ai figli.
Il codice genetico di ognuno di noi è contenuto nei cromosomi che compongono il DNA.
Tutti i cromosomi sono presenti ‘a due a due’, in ciascuna coppia, un elemento deriva dalla madre e l’altro dal padre.
Delle 23 coppie, una è formata da due elementi simili ( a forma di X) nelle donne, mentre negli uomini la coppia è formata da un cromosoma ad X e da uno a Y.
Le istruzioni per fabbricare il fattore VIII sono contenute nei soli cromosomi con forma ad X, mentre quelli a forma di Y non sanno come produrlo.
Le donne hanno due cromosomi X e, anche se hanno ereditato un cromosoma “difettoso”, hanno comunque un cromosoma X normale, che riesce a produrre una quantità di fattore VIII sufficiente per una normale coagulazione.
I maschi invece che ereditano un cromosoma X “difettoso” dalla madre portatrice, saranno emofilici e avranno quindi i sintomi emorragici tipici della malattia.
Quindi sapere di essere portatrice significa avere la consapevolezza di poter trasmettere (nel 50% dei casi) la malattia ai figli maschi o lo stato di portatrice alle figlie femmine.

Le portatrici sono sempre asintomatiche?

La maggior parte delle portatrici non hanno problemi di salute sono cioè portatrici sane o asintomatiche.
Alcune portatrici hanno invece livelli di fattore VIII ridotti e di conseguenza possono mostrare una tendenza emorragica. Ad esempio, queste portatrici possono presentare un flusso mestruale abbondante o di lunga durata, ecchimosi, sanguinamento eccessivo dopo interventi chirurgici o estrazioni dentari, o emorragie durante o dopo il parto.

Esiste una cura per le portatrici sintomatiche?

Sì, esiste una terapia: è quella che si usa nelle forme di emofilia lieve.
Si usa di DDAVP (desmopressina): un derivato ormonale che nei soggetti che hanno bassi livelli di fattore VIII riporta i valori a livelli normali senza esporre il paziente a prodotti plasmatici.
Si tratta di una cura sicura, priva di effetti collaterali e a basso costo.
Per l’emofilia B è invece necessario ricorrere alla somministrazione di fattore IX ricombinante.

Le portatrici devono informare il proprio medico curante?

È opportuno che eseguano degli esami regolarmente? E se è sì, quali e con quale frequenza?
Il medico di base va senz’altro informato.
Oltre agli esami che conducono alla diagnosi di portatrice, se i livelli di fattore VIII o I sono normali, queste donne sostanzialmente non richiedono controlli periodici.

In vista di un intervento o di un’estrazione dentaria che precauzioni devono prendere le portatrici di emofilia?

Se hanno accertato che i loro livelli di fattore della coagulazione è nella norma non corrono rischi maggiori di tutte le altre persone.
È bene sapere che la verifica dei tempi di coagulazione è un esame che usualmente viene eseguito prima di sottoporre un paziente a interventi chirurgici maggiori, tuttavia questi controlli non vengono sempre effettuati prima degli interventi ambulatoriali.

Per riassumere?…

Per riassumere è indispensabile che le portatrici (o sospette portatrici) si rechino, almeno una volta, presso un centro emofilia in modo da accertare il loro stato mediante dosaggio del fattore della coagulazione e mediante indagini familiari e genetiche.
Il centro fornirà tutte le informazioni pertinenti al caso specifico.

Viene sempre fatta la diagnosi famigliare?

È sempre stata richiesta e consigliata fin dagli albori perché l’emofilia è una malattia rara, ereditaria che può quindi riguardare più elementi della stessa famiglia.

A che età suggerisce di sottoporre la potenziale portatrice agli esami per la diagnosi?

Oggi l’adolescenza è considerata l’età ideale per effettuare una diagnosi portatrice di emofilia.
La diagnosi in pubertà consente di monitorare gli aspetti ginecologici e di affrontare con calma il percorso medico-psicologico necessario per far raggiungere alla donna portatrice la piena consapevolezza della situazione e ad affrontare gli aspetti psicologici più complessi legati alla procreazione che potrà gestire con più serenità riuscendo a controllare gli irrazionali quanto inevitabili sensi di colpa.

Oggi c’è un’attenzione maggiore nei confronti delle donne portatrici?

Si c’è una crescente attenzione quantomeno nei Centri Emofilia di riferimento, tuttavia tale attenzione va ulteriormente sollecitata negli ambienti meno specialistici.
L’approccio dei medici alle portatrici ed alle problematiche che la riguardano in prima persona sta migliorando.
In passato l’attenzione era centrata sulla portatrice quasi esclusivamente in quanto madre di un emofilico, e quindi spesso la donna finiva per considerarsi “causa” della malattia del figlio.

L’attenzione rivolta al mondo delle portatrici andrebbe comunque migliorata?

Si chiaro, ancora non basta, perché dobbiamo riuscire a trasmettere alla donna portatrice, il cui vissuto dell’emofilia spesso richiama le infezioni contratte dal sangue, l’AIDS, la cirrosi e la morte, che l’emofilia oggi non è più causa di tutto questo e, che, anche se rimangono i rischi propri della malattia, la vita può essere affrontata con un atteggiamento più positivo e con più attenzione anche verso se stessa.
Le giovani mamme che si affrontano la diagnosi di emofilia la prima volta oggi hanno una percezione delle prospettive completamente diversa.
I casi di emofilia sporadica, cioè senza storia familiare sono circa il 30%.
In molti di questi casi e la mamma è portatrice ma non sa di esserlo perché la storia familiare si era persa nel tempo o in alcuni casi si verificano delle mutazioni genetiche che insorgono nella mamma o nel suo bimbo.

Da parte dei medici c’è la consapevolezza sull’importanza di informare ampiamente la donna portatrice (che sia o meno sintomatica) e la famiglia riguardo la malattia per fornire in questo modo anche un supporto emotivo oltre che scongiurare i rischi di una diagnosi di portatrice tardiva?

Sì, assolutamente diciamo che oggi l’approccio più comune è quello di fare sempre la mappatura genetica dell’emofilico e della sua famiglia, in questo modo si arriva facilmente alle diagnosi di portatrice nelle donne della famiglia.
Si cerca di ricostruire subito l’albero genealogico ed informare meticolosamente le donne della famiglia per spingerle ad intraprendere l’iter diagnostico che è il primo modo per prenderci cura di loro.

IL “PRETESTO” DELL’ASSISTENZA PSICOLOGICA

L’associazione di Ravenna, finalmente, riesce a coronare un lungo lavoro legato a questo progetto che prevede la figura dello psicologo in stretta collaborazione con il medico, il tutto a carico dell’associazione stessa e con la collaborazione dei Centri di Cesena, di Ravenna e delle strutture di cui fanno parte.
Lo scritto che i nostri lettori si apprestano a leggere, firmato da Serena Russo, prende lo spunto proprio da questa relazione ma allo stesso tempo coglie il pretesto per affrontare gli argomenti più delicati e, per qualche verso ancora “oscuri”, di quel mondo prettamente al femminile legato alla malattia.

Cominciammo a parlare della necessità di uno psicologo già qualche tempo fa, di fronte alle richieste palesi di alcuni e a quelle silenziose di altri, sapendo di avere davanti un percorso abbastanza impervio.
Le difficoltà non sarebbero state quelle di affrontare il tema “psicologo”, con gli associati e le loro famiglie, ma anche come e dove inserire la nuova figura del professionista e soprattutto quali strumenti utilizzare per individuare la persona giusta.
Credo di poter dire che una buona dose di buona fortuna abbia premiato la volontà, se nell’ambito della nostra ultima assemblea si è riusciti a dare lettura dei risultati emersi dai questionari distribuiti in precedenza e all’elaborazione di essi da parte del dott. Domenico Zampolla che da oggi chiameremo il “nostro” psicologo.Abbiamo cercato di lasciare fuori la nostalgia per discutere, da angolazioni diverse, come è giusto che sia, quello che si può fare o va fatto per migliorare la qualità della vita.
Di tutti.
Dell’emofilico, che prima di essere tale è persona.
Della donna, madre, sorella, moglie, che prima di tali ruoli è persona.
Dal padre, che prima di essere tale è persona.
Dei medici, che innanzitutto sono persone.
Ma il parametro che ciascuno di noi utilizza per ritenersi soddisfatto della propria qualità di vita non è lo stesso per tutti, c’è il padre che partecipa al posto del figlio in tutt’altre faccende affaccendato , c’è il padre che non c’è (“il migliore psicologo per la donna è il marito che le tiene la mano quando s’infonde il figlio” lo dice lo psicologo), c’è la madre che riconosce per prima il bisogno d’aiuto per se stessa e per un figlio adolescente, c’è chi tema di ammettere il bisogno per non apparire fragile e ancora tante storie.
Dietro la paura a volte c’è anche l’incertezza sui risultati, che nessuno può garantire, l’impegno da mettere in conto, l’imbarazzo ad aprire ad uno sconosciuto, la richiesta di farlo nell’ambito della struttura ospedaliera e poi il dubbio che non sia la scelta migliore.
Come darne notizia, come confermare.
Scegliere un metodo diretto o la casualità.
Chi spontaneamente aderirà?
Nessuno per ora può saperlo.
Di certo c’è la persona che ha saputo conquistare con la sua semplicità, con la capacità di ascolto.
Il tema della qualità della vita, che a me è diventato criticamente caro, è emerso anche nell’incontro avuto lo scorso ottobre a Beijing con la dott.ssa Wu, che si occupa degli emofilici in età pediatrica nel più grande ospedale per bambini della Cina.
Precedentemente eravamo stati a visitare il grande ospedale della capitale, divenuto tristemente famoso ai tempi della SARS, per le morti avvenute al suo interno, di pazienti, medici ed infermieri.
Qui vengono curati gli emofilici adulti; qui essi si recano in caso di emorragia o bisogno e sempre qui ricevono l’assistenza che è strettamente collegata ma alla sua possibilità di poter acquistare il farmaco.
Qui, anzi lì, non esistono la profilassi e le unità da infondere necessarie, ma quello che si può comprare con i soldi che si hanno.
Ho chiesto alle dottoresse, felici di incontrarmi, perché la trattativa per i colloqui ha richiesto circa 15 giorni essendo l’apparato burocratico molto severo, cosa volessero sapere della situazione in Italia.
Entrambe hanno chiesto se ci sono emofilici anziani.
Alla mia risposta affermativa, entrambe, hanno risposto con un sorriso.
Tipicamente cinese, ho pensato, ma anche tremendamente triste.
Ma poi ho pensato che solo le donne sanno sorridere così.
Che ci fa pensare che così va il mondo e allora avanti per un altro giorno.
La fragilità diventa forza e consapevolezza, quando la solitudine ci fa capire che quella splendida capacità che la natura o il buon Dio ci ha dato di nutrire e assistere e accompagnare ed esserci è solo nostra.
A volte siamo delle splendide leonesse, allontanate dal branco che da solo nutrono, difendono, cacciano, giocano e lottano.
Oppure a volte rimaniamo rintanate, per uscire allo scoperto solo all’ultimo momento.
Forse a qualcuna di noi è stato insegnato a non dare fastidio, e di rispondere solo all’appello, quando ce n’è bisogno.
Ma noi prima di essere madri, sorelle, mogli, figlie, siamo persone.
Siamo donne portatrici anche e ci preoccupiamo di questo “dettaglio”, spesso solo in occasione della maternità, quasi mai prima, dimenticando che, forse, anche noi potremmo sapere di più di noi stesse, anche solo il perché di flussi mestruali troppo abbondanti.
L’emofilia fa parte della nostra vita, non c’è colpa o vergogna per questo, è un tarlo che è dentro molte di noi, oggi nel 2006, come cinquant’anni fa.
I progressi della medicina non sono stati affiancati da cambiamenti nell’atteggiamento delle persone.
Nascondere le cicatrici non serve, prima o poi qualcuno ci chiederà di mostrarle.