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XXI GIORNATA MONDIALE DELL’EMOFILIA

“L’amor proprio non può essere perseguito; non può essere comprato, non è mai in vendita.
Non può derivare dalle relazioni pubbliche, ci viene quando siamo soli, nei momenti tranquilli, nei luoghi tranquilli.
Quando ci rendiamo conto che, conoscendo il bene, l’abbiamo fatto, conoscendo il bello, l’abbiamo servito, conoscendo la verità, l’abbiamo detta.”
A questo mi ricollego, pensando agli interventi dei relatori a Roma e Milano, in occasione della Giornata Mondiale dell’Emofilia e al sospetto che ne consegue: che la forma prevalga sulla sostanza.
Conoscendo la verità, l’abbiamo detta nella maniera giusta?
Siamo certi di aver agito con sufficiente forza affinché prevalga la certezza del diritto, inteso come valore, al quale lo Stato deve necessariamente tendere per garantire la libertà dell’individuo e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge?
La discriminazione, attualmente in vigore, per l’accesso alla cura (faccio riferimento al Sofosbuvir), non è flessibilità, bensì divieto e con essa stiamo perdendo la forza del coraggio e la legittimità del rispetto.
“E’ un discorso di libertà e dello spirito che la racchiude.
Quello spirito che non è troppo sicuro di avere ragione e quando lo è, deve essere capace di chinare la testa, se il perseverare può danneggiare gli altri, o, peggio, chi ha fiducia in noi”.
Non possiamo  accettare la sentenza che l’economia esige, che in sintesi, vada fatta una scelta, perché non ci si può stancare di combattere per un giusto motivo e anche se, in ogni occasione, viene ricordato il momento storico e sociale, particolarmente difficile, non c’è una buona causa da perdere o vincere, ma una buona terra su cui costruire il rispetto della legalità e del diritto.

Non ci sono parole adatte per spiegare ad una persona che non è ancora sufficientemente grave, per essere curata, ne’ parole buone da dire.
C’è solo da difendere un principio, ben sapendo che le risorse ci sono e vanno destinate per tutte le buone cause, come la nostra.
è un discorso più ampio, che coinvolge tutti i “bisogni” e sono cose che emergono in occasione di questi incontri, perché ci sono tempo e spazio dedicati al confronto tra istituzioni, mondo accademico e pazienti.
Ma tutto questo non serve a nulla se le promesse e la compartecipazione non producono un cambiamento, se il muro divisorio resta, se la ragion di Stato prevale e lo spioncino per guardare oltre, resta troppo piccolo.
Eppure, la consapevolezza che ognuno di noi può perseguire il cambiamento, produce in molti una forza straordinaria, capace di trasformare una malattia in energia ed è proprio sul tema della “resilienza” che si è svolto un incontro a Milano il 21 aprile, organizzato dalla Fondazione Paracelso.
è possibile adattarsi alle difficoltà, anzi, si può andare oltre, accettare la sfida, quella stessa che anima un adolescente e gli fa dire che la malattia non deve affliggere e che “conta essere se stessi”.
Che qualunque cosa accada, qualunque favola ci vogliano raccontare, qualunque discorso compassionevole ci venga propinato, noi, dall’altra parte dello spioncino abbiamo visto abbastanza per rimanere ferrei nelle richieste legittime.
Voglio ringraziare chi sostiene queste iniziative, chi non si ferma alle parole, chi se n’è andato lasciando un ricordo, chi mi rammenta  che la natura dell’uomo è sempre la stessa, nel prevaricare come nel rispettare e chi infine ha scritto in un maggio di tanti anni fa, le frasi trascritte fra virgolette.

Maria Serena Russo

 

emoex

Lunedì 11 aprile a Roma, presso il Centro Congressi di Palazzo Roncigliosi si è celebrata la XII Giornata Mondiale dell’Emofilia.
Per l’occasione la Federazione delle Associazioni Emofilici (FEDEMO), con il patrocinio del Ministero della Salute, della World Federation of Hemophilia e della Fondazione Paracelso, ha organizzato un incontro dal titolo:
“SAREMO NAZIONALI – Le terapie innovative, sviluppo delle cure e sostenibilità”.
Presenti clinici, ricercatori, pazienti, rappresentanti delle associazioni dei pazienti e delle case farmaceutiche che hanno contribuito all’evento.
Si è svolta una conferenza stampa iniziale dal titolo:
“Le terapie innovative, opportunità e sostenibilità”.
Ha fatto seguito una tavola rotonda sui trial clinici in emofilia e sulle proposte per ottimizzare a livello nazionale, l’accesso dei pazienti alle sperimentazioni con farmaci innovativi.
In conclusione un’altra tavola rotonda sui farmaci antiepatite, le prospettive di cura e le richieste dei pazienti.
Cercheremo di sintetizzare gli interventi più significativi, data l’importanza degli argomenti, ricordando comunque che si è svolto, in conclusione, un vivace dibattito con il pubblico presente.
Riprendiamo in apertura le parole della presidente di Fedemo Cristina Cassone che ha affermato:
“FedEmo celebra oggi la Giornata Mondiale dell’Emofilia, approfondendo un tema, quello delle terapie innovative, particolarmente caro a tutte le persone affette da una malattia rara.
Lo fa unendo alla prospettiva di cure sempre più efficaci una riflessione sulla loro sostenibilità di sistema”.
  
IL RUOLO DELL’AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO
È stato poi trasmesso attraverso un collegamento, l’intervento del prof. Mario Melazzini, presidente dell’Agenzia del Farmaco (AIFA), il quale ha affrontato il tema delle terapie innovative, prospettive di cura e di sostenibilità.

“Sappiamo quanto la ricerca scientifica ha fatto e mette a disposizione rispetto a ciò che era qualche anno fa – ha affermato – la cosa più importante come agenzia regolatoria, è mettere al centro sempre la persona come destinatario finale.
Parlo dell’ammissione alla rimborsabilità rispetto alle caratteristiche tecniche, rispetto alla farmaco vigilanza, rispetto a tutto il percorso di sperimentazione clinica e da questo tutto quello che stiamo facendo come ricerca indipendente ma soprattutto sulla valutazione dell’efficacia e infine anche la contrattazione del prezzo perché diventa estremamente importante soprattutto nei farmaci innovativi arrivare alla massima potenzialità.
Soprattutto nell’accesso ai cosiddetti farmaci orfani”.

Ha ricordato che un esempio classico sul quale hanno agito è il caso dei nuovi trattamenti per epatite C.
“Soprattutto perché – ha proseguito testualmente – il nostro obiettivo, l’indicazione specifica del nostro ministro è proprio di eradicare l’infezione.
Tutto ciò che è stato condotto in maniera estremamente forte da tutta la struttura di AIFA e che ha portato sicuramente ad un ottimo risultato per quanto riguarda il caso dei nuovi trattamenti HCV è fondamentale identificare potenziali risparmi futuri su altri capitoli di spesa per poter ottenere il massimo risultato”.
Ha ricordato che il futuro è l’innovazione, citando non soltanto i farmaci per l’emofilia, ma anche quelli contro le malattie degenerative come la forma di demenza halzaimer, i nuovi anti tumorali, i nuovi retro virali, la terapia genica e tutto quello che riguarda l’immunoterapia.
Ha ricordato comunque che: “…c’è già un punto estremamente importante su cui noi tutti come istituzioni e amministrazioni dobbiamo interrogarci e cioè quali possono essere le possibili soluzioni?
Prima di tutto andare a ridisegnare una nuova governance nella spesa farmaceutica, identificando strategie e orientare le politiche coerenti con ciò che è la domanda di salute ma soprattutto il bisogno di salute.
Quindi strategie condivise.
Andare ad ottimizzare tutto ciò che è un investimento per la ricerca, una valorizzazione dell’innovazione identificando ciò che è innovazione.

Spero che andremo molto ad investire per il controllo dell’appropriatezza di cui si parla tanto ma diventa anche, sia per chi propone ma soprattutto come medici, operatori, che fa parte della nostra mission quotidiana. La cosa importante è saper riconoscere e valorizzare l’innovazione e poi premiare la vera innovazione.
Gli strumenti che noi come agenzia abbiamo messo a disposizione attraverso il dialogo con le regioni, sono proprio volti a garantire questo processo e questo accesso omogeneo a tutti questi medicinali innovativi. Ma soprattutto la cosa importante su cui noi dobbiamo insistere rispetto all’identificazione nella valorizzazione di ciò che è farmaco innovativo e quindi prioritario per quello che riguarda la soddisfazione del bisogno salute e la tutela del bisogno salute.
Come paziente mi rivolgo ai pazienti che molto spesso si rivolgono ad internet per cercare di avere nuove terapie, nuovi farmaci, e si organizzano prenotando viaggi per comprare farmaci o addirittura utilizzano il mercato online.
Dobbiamo essere estremamente cauti soprattutto essere fiduciosi riguardo a ciò che il mondo scientifico reale, concreto, trasparente, ci permette e ci offre di arrivare il prima possibile.

Non è possibile che si lucri sulla salute e per rispondere ad una domanda di salute che a volte rimane inevasa.
Questo è un appello che rivolgo a tutti: non dimentichiamo la parola speranza che diventa quello strumento confortante per tutti noi quando si riesce ad intravedere con l’occhio della nostra mente, che sia ricercatore, che sia clinico, che sia paziente o famigliare, quel percorso che ci può condurre ad una condizione migliore”.

LE NUOVE TERAPIE PER L’EMOFILIA
Flora Peyvandi, Direttore del Centro Emofilia e Trombosi Angelo Bianchi Bonomi, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico e Università degli Studi di Milano, ha parlato delle “Nuove possibilità terapeutiche in emofilia”, ricordando che negli ultimi anni l’ingegnerizzazione dei prodotti ricombinanti ha portato allo sviluppo di nuovi farmaci in cui i fattori VIII e IX sono stati associati a molecole come il polietilen glycol (PEG) o altre proteine, come l’albumina o il frammento Fc delle immunoglobuline.
Queste modificazioni aumentano l’emivita dei prodotti riducendo la frequenza di somministrazione e permettendo di mantenere i livelli ematici potenzialmente più elevati.

“L’impatto di questi nuovi farmaci – ha detto testualmente – si traduce in una sola infusione alla settimana per i pazienti con emofilia B e di 2 volte per quelli con emofilia A, migliorando la qualità di vita dei pazienti emofilici e presumibilmente aumentando l’aderenza al trattamento.
Inoltre, altre strategie terapeutiche che sfruttano la proprietà degli anticoagulanti naturali sono in fase di studio.
Questi nuovi farmaci, basati sull’uso di anticorpi o piccole molecole di RNA (small interference RNA, siRNA), potenziano l’attività emostatica migliorando ulteriormente il regime di profilassi che prevedrebbe un’iniezione sottocutanea con intervalli da 1 a 4 settimane.
La somministrazione sottocutanea faciliterà l’aderenza dei pazienti alla profilassi particolarmente in età adolescenziale e sarà vantaggiosa anche per i pazienti con un difficile accesso venoso”.

In conclusione ha affermato che le nuove terapie hanno la potenzialità di semplificare la gestione della malattia e la vita dei pazienti mantenendo alto il livello di sicurezza ed efficacia conservando anche costi sostenibili.
Inoltre, è importante avere a disposizione dei sistemi adeguati di sorveglianza per valutare gli effetti a lungo termine dei nuovi farmaci dopo l’immissione in commercio.

I COSTI DELLA TERAPIA
Lorenzo Mantovani, Professore Associato di Igiene presso il Centro di Sanità Pubblica dell’Università Bicocca di Milano, coinvolto dalla moderatrice, Nicoletta Carbone di Radio 24, ha affrontato il tema dei costi della terapia.

“È indubbio – ha esordito – che la terapia dei pazienti emofilici genera, per la cura del singolo paziente, costi estremamente elevati.
Non è raro che il costo medio annuo per paziente superi i 100.000 Euro all’anno, superando spesso anche i 200.000.
La stima del costo complessivo (attualizzato) di un paziente emofilico lungo tutta la sua vita supera in media i 3 milioni di Euro.

Si tratta anche di costi immediatamente visibili e tracciabili, poiché la quasi totalità è rappresentata da farmaci”.

Ha però subito affrontato l’altro tema e cioè quello dei risultati che si sono ottenuti fino ad oggi per i pazienti.

“È documentato – ha proseguito – che il risultato degli investimenti della collettività nella terapia dell’emofilia è stato straordinario: sia l’aspettativa di vita sia la qualità di vita dei pazienti emofilici, hanno quasi raggiunto livelli paragonabili a quelli dei soggetti non emofilici.
Come conseguenza, le valutazioni di costo efficacia delle terapie dell’emofilia, nelle diverse fasi di malattia, hanno mostrato che le terapie efficaci sono anche costo efficaci”.
Ovviamente, le cifre enormi per un singolo individuo vanno poste nel contesto di una malattia rara: l’impatto sul sistema sanitario nel suo complesso risulta minimo.
Nel 2003 abbiamo calcolato che gli oltre 200.000 Euro annui spesi per il singolo paziente con inibitori corrispondevano ad un costo per l’intera collettività di 70 centesimi all’anno, vale a dire meno di un caffè…”
Affrontando poi l’argomento della programmazione ha detto che la storia naturale della malattia è caratterizzata però da alcuni eventi “economicamente rilevanti”, tipicamente l’insorgenza e permanenza di inibitori, l’immunotolleranza, gli interventi di ricostruzione delle articolazioni.
Questi eventi possono tranquillamente arrivare a costare anche 1 milione di euro.

Ed è qui che ha affermato: “L’investimento, qualunque investimento, che sia in grado di evitare o ridurre la probabilità di verificarsi di questi eventi è destinato a ridurre il totale dei costi nel lungo periodo. Come abbiamo dimostrato ancora recentemente per l’immunotolleranza.
Si pone tuttavia un problema di programmazione sanitaria: questi eventi sono rari e predicibili accuratamente quando la popolazione da cui essi scaturiscono è sufficientemente ampia, ad esempio l’Italia o regioni con ampia popolazione. Essi, però, possono concentrarsi, per il puro gioco del caso, in un determinato periodo in un determinato luogo, ad esempio una singola ASL di piccole dimensioni, la quale si troverà, come conseguenza, in difficoltà finanziarie. È perciò auspicabile che il budget necessario a gestire questi eventi sia riferito a popolazioni sufficientemente ampie”.

Sulla ricerca poi ha parlato degli straordinari progressi compiuti nella terapia dell’emofilia sono stati compiuti grazie alla ricerca, sia di base, sia clinica, sia di outcomes.
“Sostenere la ricerca – ha concluso – significa continuare in questo lungo cammino, anzi in questa maratona”.

PUNTI SU RICERCA E INFRASTRUTTURE LOCALI
Il senatore Maurizio Romani, vicepresidente della commissione Sanità di Palazzo Madama, ha preso atto che negli ultimi 40 anni la cura è migliorata molto ma la strada da percorrere è ancora lunga.
Una più ampia disponibilità di cure, con la garanzia di trattamenti sicuri, rimane l’obiettivo principale da raggiungere.

“Una sfida che possiamo affrontare – ha detto testualmente – solo attraverso un lavoro corale di specialisti in campi diversi anche e soprattutto investendo in progetti innovativi. Non è più tollerabile che l’Italia spenda sempre meno in ricerca: con appena l’1,25% del Pil.
Bisogna pure migliorare l’accesso ai farmaci (difficile per il 30,2% degli emofilici, secondo i dati dell’Osservatorio per le malattie rare) e le dotazioni di personale per il servizio a domicilio.
L’aumento dell’età media della popolazione emofilica, che causa quasi sempre quadri clinici più complessi, comporterà un carico di lavoro sempre maggiore per i Centri emofilia.
Ecco perché, accanto all’investimento in ricerca e sviluppo, è fondamentale anche il potenziamento delle infrastrutture e, quindi la creazione di reti e programmi territoriali”.

IL MESSAGGIO DELL’ASSOCIAZIONE DEI CENTRI EMOFILIA
Ed è proprio in questo punto che possiamo inserire il messaggio  del prof. Giovanni Di Minno, Presidente Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE), che non è potuto essere presente ed è stato letto dal prof. Massimo Morfini Past-president di AICE.

“La comunità dell’emofilia sta vivendo un’epoca di grande entusiasmo e aspettative. Negli ultimi anni la cooperazione a livello nazionale, europeo e mondiale ha permesso di ottenere importanti informazioni, grazie a studi multicentrici di dimensioni mai raggiunte prima, su aspetti fisiopatologici, clinici e terapeutici.
La ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie stanno rendendo disponibili o prossimi alle fasi più avanzate di sperimentazione clinica, nuovi approcci di trattamento che potranno ulteriormente migliorare il livello già molto elevato della terapia in questo settore, almeno per quello che riguarda i Paesi ‘ad alto reddito’.
Dai concentrati a più lunga emivita, agli approcci alternativi alla terapia con i fattori carenti (che offrono interessanti prospettive anche per i pazienti con inibitore), al rinnovato slancio, con risultati finalmente incoraggianti, delle esperienze di terapia genica.
I medici e ricercatori dei Centri emofilia Italiani aderenti all’AICE e i loro pazienti hanno dato, e continuano a dare, un importante contributo.

I Centri Italiani hanno promosso e partecipato attivamente a studi su base nazionale ed internazionale.
Un numero crescente di Centri Italiani, in diverse aree del Paese, è stato coinvolto ed è tuttora impegnato nei trials dei nuovi concentrati, prima sperimentati in adolescenti e adulti, ora anche nei bambini non precedentemente esposti a trattamento; alcuni grandi Centri sono coinvolti anche nei trials degli approcci terapeutici più innovativi, compresa la terapia genica.
In questo impegno è fondamentale “l’alleanza” che i medici stringono con i loro pazienti.
Il rapporto di fiducia e di collaborazione che, in una patologia cronica e congenita come l’emofilia, è la chiave per ottenere i migliori risultati in ogni scelta terapeutica, garantendo l’aderenza ai trattamenti e consentendo una buona raccolta delle informazioni da parte del paziente.
AICE da sempre favorisce, grazie al suo network di collaborazioni cliniche e scientifiche tra i centri italiani, la partecipazione dei pazienti alle sperimentazioni nazionali ed internazionali, nell’osservanza della rigorosa conduzione degli studi, dalla selezione e arruolamento dei pazienti e a tutte le fasi del loro coinvolgimento nella sperimentazione.

Se per i Centri occorre fare i conti con i requisiti per l’inserimento nei diversi tipi di sperimentazione, non vanno sottovalutate le inevitabili limitazioni che riguardano i pazienti, che devono offrire una disponibilità totale, che spesso va oltre le buone intenzioni e un interesse generale alla partecipazione.
È di grande importanza che FedEmo, oggi, focalizzi l’attenzione di noi tutti sulle terapie innovative e sull’enorme impegno della ricerca verso questi traguardi, ed AICE è in prima linea a garantire il massimo contributo possibile dei Centri Italiani, nel rigore della conduzione degli studi e a tutela dei medici e dei pazienti.
Affascinati da queste prospettive, non possiamo dimenticare l’impegno per AICE fondamentale a garantire, nel quotidiano, livelli assistenziali ottimali per i nostri pazienti su tutto il territorio nazionale, troppo spesso ancora messi in discussione da problemi organizzativi, spending review e dalla necessità di ricambio generazionale.
Su queste problematiche è ancora importante un impegno concreto e costante, con voce unanime, di medici e pazienti con le loro Associazioni”.

NUOVE TERAPIE ANTI HCV, LE PROSPETTIVE DI CURA E LE RICHIESTE DEI PAZIENTI
Ci sembra rilevante poi citare l’intervento del Prof. Massimo Colombo,
 Direttore del Dipartimento delle Units Multispecialistiche e dei Trapianti
della Unità Operativa di Gastroenterologia ed Epatologia della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico
della Università degli Studi di Milano.
H preso la parola alla tavola rotonda che aveva come titolo:
“Le nuove terapie anti epatite C – I benefici per il paziente emofilico”.

“Sino ad oggi oltre 35.000 pazienti italiani affetti da epatite cronica C sono stati trattati con i nuovi regimi orali anti HCV, con un tasso di guarigione definitiva superiore al 95%. Le cure si fondano su trattamenti della durata di 12 settimane, prive di tossicità e ben tollerate.
Gli schemi di terapia anti HCV privi di inibitori delle proteasi sono efficaci e sicuri anche nei pazienti con decompensazione clinica o severa diatesi emorragica, sino a ieri controindicati al trattamento con regimi a base di interferone.
La strategia AIFA di dare priorità al trattamento dei pazienti con più severa malattia epatica, dettata da ragioni puramente economiche, nel volgere di pochi anni determinerà una profonda ristrutturazione della coorte di italiani infetti da HCV.
Il gruppo storico di pazienti generato nel periodo post bellico attraverso emotrasfusioni e strumenti medico chirurgici infetti e composto da pazienti di età compresa tra i 65 e gli 80 anni sarà costituito da pazienti aviremici, però con residua eccessiva fibrosi epatica.

È facilmente prevedibile che in questa coorte il trattamento ridurrà il tasso di mortalità da cause epatiche e probabilmente anche da cause extraepatiche, visti i molteplici rapporti che intercorrono tra HCV e complicanze metaboliche e vascolari.
la strategia salvavita di prioritizzare al trattamento orale i pazienti più gravi, pur rispondendo a logiche di giustizia distributiva, difficilmente soddisferà i criteri di costo efficacia.

Probabilmente già dal prossimo anno le dinamiche al ribasso dei prezzi delle cure anti HCV, innescate dall’arrivo di almeno altre due case produttrici, favoriranno l’ampliamento dei criteri di cura, con l’obiettivo di reclutare alle cure anche pazienti con minore malattia HCV.
Di conseguenza, pazienti HCV attualmente negletti dalle raccomandazioni AIFA, ma che sul piano clinico meriterebbero anch’essi priorità di cura, come i numerosi pazienti con epatopatia lieve associata a comorbilità impegnative, avranno finalmente la possibilità di liberarsi dall’HCV come i molti pazienti con difetti congeniti della coagulazione o del globulo rosso.

Probabilmente nel volgere di pochi anni riusciremo a trattare la maggioranza dei pazienti con malattia HCV severa presenti nel mondo ricco di risorse, di modo che il prossimo
obiettivo del mercato dei farmaci anti HCV saranno i 150 milioni di persone infette che vivono in aree geografiche povere di risorse.
In queste regioni, le più importanti barriere al trattamento dopo il prezzo delle terapie sono le difficoltà di accesso alla diagnosi e alla definizione del profilo virologico e, in misura minore, all’aderenza al trattamento.
Per semplificare il processo di cura dell’epatite C, necessario per conquistare il mercato nelle aree geografiche più povere, le aziende farmaceutiche si stanno concentrando sullo sviluppo di farmaci ad elevata potenza terapeutica da somministrare in un algoritmo fisso in termini di dose, durata ed attività pangenotipica”.

Quasi in risposta alle affermazioni del prof. Colombo è intervenuto Andrea Buzzi, Presidente della Fondazione Paracelso, voce autorevole delle istanze dei pazienti il quale in riferimento ai farmaci antiepatite di recente introduzione e che pongono questioni che vanno al di là dell’ambito economico e persino di quello sanitario, investendo il campo dell’etica, il ruolo di tutela dello Stato verso i suoi cittadini e il rapporto tra profitti e beni comuni.

“A fronte di un profilo di efficacia e tollerabilità estremamente favorevole, – ha affermato – vi è un costo elevatissimo che ne limita drammaticamente l’accesso, impedendo di fatto una gestione ottimale della salute pubblica.
Dovendo misurarsi con risorse che certamente non sono in grado di sostenere il carico di spesa per trattare tutte le persone con infezione da HCV, sono stati stabiliti criteri di priorità che oggi autorizzano la terapia solo per i pazienti che si trovano già in uno stadio avanzato della malattia.
Se è evidente che chi fronteggia un grave rischio immediato per la propria salute va curato al meglio e con tempestività, il mancato intervento su chi è ancora asintomatico (e grazie alla terapia potrebbe guarire diventando così un costo zero per il servizio sanitario) è crudele verso i malati e per di più inefficiente in termini di spesa pubblica.
Inaccettabile appare l’orizzonte temporale del 2022 per il trattamento di tutti i pazienti italiani, indicato recentemente dal Direttore dell’AIFA Luca Pani in un’intervista televisiva: per moltissime persone sei anni possono essere troppi.

Più che eccepibile è stato poi aver accettato di mantenere la riservatezza sul prezzo negoziato dalle autorità italiane, in violazione alle norme sulla trasparenza della pubblica amministrazione, mettendo tristemente a nudo la debolezza delle istituzioni e dello Stato di fronte alle multinazionali.
Resta da capire quali siano i criteri adottati dall’azienda Gilead per arrivare alla determinazione del prezzo per ciclo di trattamento. Un’inchiesta in tal senso è stata avviata dal Senato USA. Il sospetto è che quel prezzo sia largamente svincolato dai costi di ricerca e sviluppo e sia stato invece calcolato su un obiettivo di fatturato.
Nel frattempo l’India ha ottenuto una licenza per la produzione e la commercializzazione del generico in 91 Paesi in via di sviluppo, dove guarire una persona dall’epatite C costa circa 1000 dollari.

Siamo felici che i cittadini di buona parte del continente africano e di alcuni Stati sudamericani e asiatici abbiano la possibilità di curarsi.
Se però questo non avviene nei Paesi ad alto reddito vuol dire che bisogna cambiare qualcosa, a partire dai brevetti sulla proprietà intellettuale, come ha suggerito fra gli altri Silvio Garattini.
Anche perché i medicinali innovativi sono la nuova frontiera di mercato di Big Pharma…”.

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