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1990: IL DIBATTITO SUL DANNO BIOLOGICO

Il numero di gennaio è quasi interamente dedicato ai lettori che ci scrivono per raccontarsi, per chiedere aiuto o semplicemente per confermare di essere usciti da quella finestra aperta che ci eravamo inventati qualche anno prima.

Lo stesso editoriale di Brunello Mazzoli parla dei nostri lettori con un articolo dal titolo:

Caro EX ti scrivo per…

…la gente che incontriamo ci dice spesso: “Il vostro giornale è bello soprattutto perché ci sono molte lettere…”.

Dobbiamo confessarlo, non sempre, in passato, queste parole ci hanno fatto piacere. Eravamo convinti che il dare troppa importanza alle lettere facesse passare in secondo piano tutto il lavoro divulgativo e informativo che ritenevamo prioritario, ma ci sbagliavamo e questo è stato uno dei nostri più grandi errori, lo confessiamo…lo confesso!

Oggi comprendiamo meglio anche il perché, quando leggiamo certe storie non avvertiamo più la paura di fare qualche cosa più grande di noi e questo lo dobbiamo a chi ci scrive, perché “l’altra faccia della vita”, quella meno bella, credevamo soltanto di conoscerla.

Ora tutto questo ci inorgoglisce e ci dà forza e sprone per andare avanti, soprattutto cercando onestà e, possibilmente, verità.

Ecco, il numero 1 del 1990, anno XVII, lo dedichiamo a voi che ci scrivete, a voi che siete usciti da quella finestra aperta sul mondo e che ora vi rientrate con le vostre lettere, arricchendo soprattutto il nostro bagaglio di esperienze.

Nello stesso numero Brigitta Guarasci ci parla di talassemia attraverso un viaggio nelle aree più colpite. In questo servizio sorprendono le due cartine dell’Italia con il conteggio dei pazienti talassemici, nelle quali mancano i dati della Sicilia, la Regione con il maggior numero di casi.

A febbraio Vincenzo Russo Serdoz parla di un incontro svolto a Roma con due titoli: Responsabilità del medico deve essere per la qualità di vita del singolo malato e …in attesa del “miracolo” che sconfigga con l’AIDS indifferenza e solitudine.

Roma, 18 e 19 gennaio, convegno sul trattamento dell’emofilia, primo di quest’anno e primo motivo d’incontro con medici ed emofilici.

Rivedersi, contarsi, con sollievo e con dolore.

Motivo di confronto e nello stesso tempo, chiedere chiarezza di intenti e di parole, sconcerto e perplessità di fronte ad un linguaggio non sempre comprensibile “Stato dell’arte nel 1990”.

Parole incomprensibili astruse per argomenti, per richieste, già di per sé difficili e che tutti dobbiamo invece capire “chiaramente” perché, non dimentichiamolo mai, noi viviamo, con apprensione, sulla nostra stessa pelle…noi emofilici per chi non volesse capire.

Si è parlato dell’autosufficienza delle CEE, molto lodevole ed auspicabile per il nostro bisogno quantitativo e qualitativo di prodotti sicuri. Noi vogliamo che il nostro futuro, come sieropositivi e dei nostri bambini sia protetto. Gli anni ’90 devono darci la speranza di poter guardare al futuro con fiducia. I nostri bambini che grazie ai concentrati trattati sono negativi all’HIV, come hanno avuto modo di confermarci pediatri italiani e spagnoli.

Un medico, Mannucci, ha detto: “Circa la sicurezza degli emoderivati non c’erano dati sufficienti al riguardo. La mia opinione è che penso non ci sia stata negligenza da parte delle autorità sanitarie né delle industrie perché non hanno fatto altro che seguire l’evoluzione dell’informazione scientifica”.

Questo per quanto avvenuto con l’AIDS. Abbiamo cercato, nell’ambito del convegno, di incontrarci con dei medici per poter parlare con loro, per chiedere e dare, sul giornale, un’informazione alla portata di tutti i nostri lettori, delle migliaia di persone che non hanno potuto essere a Roma.

Abbiamo ottenuto cortesi cenni di rifiuto con varie argomentazioni.

Dispiace perché il danno non viene fatto ad “EX” che, quest’anno, nonostante tanti attacchi diretti e indiretti, entra nel suo 17° anno di vita.

Ci è piaciuto invece quanto ha avuto modo di puntualizzare Aledort e cioè: “La responsabilità del medico è quella di guardare che cosa deve essere la qualità della vita dell’emofilico”, e che dire riguardo a Cash: “I nostri clienti non sono i direttori di banca ma sono i pazienti”, richiamando medici, ricercatori, ditte ad una più profonda morale deontologica, di tenere sempre più conto di quello che pensa il paziente; se è d’accordo su certe terapie che gli possono venire propinate.

Kernoff ha ribadito ulteriormente: “La ricerca smodata per l’alta purezza rischia di ridurre gli altri prodotti” e Roberts ha avuto modo di puntualizzare sul pericolo di fare una disumana distinzione di trattamento fra emofilico HIV positivo e quello negativo, richiamando i relatori presenti a ricordare sempre quei valori morali che dovrebbero essere motivo conduttore del loro operato. Nel suo discorso ha ricordato che a volte è meglio fare meno accademia, meno sofismi e puntualizzava: “Dobbiamo fare e dare un prodotto puro e darlo ai pazienti e basta”.

E ci è piaciuto quando ha ricordato con fermezza la necessità che l’emofilico HIV positivo venga mantenuto in vita al meglio “per quando avverrà il miracolo che sconfiggerà l’AIDS” e che tutti gli emofilici, positivi e negativi, debbono essere trattati in maniera eguale.

Iniziamo anche a parlare degli aspetti medico legali dell’infezione da HIV con il titolo: La questione del danno biologico o comunque la possibilità per l’emofilico di ottenere un indennizzo. L’articolo firmato dal dr. Tormaino, Primario del Servizio di Medicina Legale dell’USL 18 di Catanzaro, così si conclude:

Il diritto alla salute sancito dalla costituzione non può essere disatteso per mere questioni di bilancio o di costi economici, quanto come nel caso in esame l’intervento persegue il duplice scopo di garantire la possibilità del recupero dello stato di salute del cittadino; nonché contenere il propagarsi dell’infezione, dovendosi annoverare tale tipo di infermità tra le malattie di notevole rilevanza sociale.

Sembra di poter affermare che ove un cittadino ponesse in sede giudiziaria promossa in direzione della dichiarazione di anticostituzionalità del decreto con cui viene approvato il prontuario dovrebbe avere esito favorevole risolvendo il problema ed assicurando a tali pazienti completa, adeguata e moderna terapia.

Nello stesso numero pubblichiamo anche una lettera dell’avv. Umberto Randi, Presidente della Fondazione dell’Emofilia, diretta ai responsabili dei Centri Medici. Il titolo ci fa comprendere come l’argomento entri nel vivo: Il caso del “danno biologico” e l’esclusività del rapporto medico-paziente.
Ecco i punti più importanti:

…Da molte parti siamo stati sollecitati a prendere una iniziativa come istituzione di volontariato: alcune Associazioni ed alcune persone non hanno accettato e non accettano che i problemi siano considerati, sotto il profilo della responsabilità, problemi individuali.

Come voi sapete dal 1988 rivolgendo un appello al Ministro della Sanità presente all’Assemblea Nazionale di Torino, appello pubblicato nel Manualetto n.12, abbiamo cercato di sollecitare un intervento del Governo come è avvenuto in altri Paesi.

Né purtroppo le Case Farmaceutiche, come è avvenuto in altri Paesi, hanno sentito il dovere di proporre al Governo la istituzione di un fondo col contributo di esse e delle assicurazioni, per affrontare i problemi causati dai loro farmaci.

L’inerzia del Governo ha fatto ritenere indifferibile ad alcuni la scelta della via legislativa mentre altri si sono preoccupati e si preoccupano del trascorrere del tempo senza alcun risultato. Altri hanno scelto la via giudiziaria.

Altri ancora si lasciano andare ad insensate recriminazioni contro l’ambiente medico e scientifico italiano, divenendo preda di calunniosi scandalismi che possono essere perdonati soltanto perché si tratta di persone che, irrimediabilmente colpite, hanno perduto ogni speranza e non sanno darsi pace. Da qui l’interessamento dell’Unione Forense e di Parlamentari al problema “del danno biologico” come in modo omni-comprensivo viene chiamata la complessiva problematica.

Riteniamo però che non appartenga alle Associazioni rappresentare ai singoli interessati od ai loro familiari quanto forma oggetto del materiale informativo che uniamo.

I prodotti che permisero a inizio anni ’70 agli emofilici di vivere una vita normale e che poi furono causa delle infezioni sono stati oggetto di studi e dibattiti. Il nostro giornale ha sempre dato il massimo dello spazio a questa informazione. A marzo, in occasione di un convegno all’Istituto Superiore di Sanità, tra le tante relazioni preferiamo dare risalto all’argomento e alla risposta del prof. Mannucci alla domanda di un paziente sulla sicurezza dei prodotti e sulle prospettive future:

La domanda è dove saremmo ora se fin dal 1979 avessimo usato il concentrato pastorizzato, ora che è stato dimostrato in modo fondato che questo tipo di prodotto non trasmette l’HIV, ed inoltre riguardava la responsabilità delle autorità e dei produttori che non hanno permesso la disponibilità del prodotto per tutti gli emofilici nel solo Paese nel quale il concentrato era registrato e cioè in Germania; oltre a ciò si vuol sapere quali sono i concentrati che ora dovrebbero essere considerati sicuri e quali no, ed anche quali sono le misure cautelative da prendere perché l’infezione da HIV non si trasformi in AIDS; naturalmente questa è una domanda da un milione di dollari e otterrebbe almeno venti diverse risposte se interpellasse a caso i cosiddetti esperti presenti in quest’aula. La sola cosa che posso veramente dirle per quanto riguarda il primo problema, cioè il problema dell’uso ritardato dei prodotti trattati al calore, ora è molto facile esprimere un giudizio perché ora abbiamo tutte le prove e naturalmente le sensazioni ed il tipo di emozione che lei prova lo proviamo anche noi, perché a volte mi accade quando non dormo la notte di pensare come potrebbe essere diversa la situazione se noi avessimo veramente fatto pressione sulle Autorità Sanitarie, quelle in Germania, quelle in questo Paese, per registrare il concentrato prima, e probabilmente noi non abbiamo fatto abbastanza, ma dobbiamo considerare che l’evidenza non era disponibile a quel tempo in cui il concentrato era molto più costoso ed anche che molta conoscenza non era disponibile a quel tempo.

Deve ricordare che questi concentrati si sono resi disponibili per il trattamento dell’epatite negli anni ’80 e l’epatite sembrava ad alcune persone, certamente a noi, una malattia piuttosto compensata negli emofilici che naturalmente volevamo a tutti i costi evitare e prevenire, ma non tutti i Paesi avevano a disposizione il concentrato pastorizzato, in ogni modo anche se fossi tedesco, voglio dire avrei fatto un gran chiasso per ottenere il concentrato, così come hanno fatto molti medici tedeschi, ma penso che il punto di vista delle Autorità Sanitarie sia comprensibile perché non c’era sufficiente evidenza a quel tempo e lo stesso vale per il concentrato termotrattato:

Un uomo che è capace di guardare al futuro con prospettive come Harold Roberts – è quello che ha scritto l’editoriale nel New England Journal of Medicine – ha detto sin dall’inizio che dobbiamo usare i prodotti termotrattati. Noi abbiamo dimostrato che essi non erano efficaci nel prevenire l’epatite, successivamente siamo i primi a dimostrare che essi erano in qualche modo efficaci nel prevenire l’HIV, per cui io penso che lei direbbe che queste sono solo chiacchiere, pochissimi dati, ma io penso che lei dovrebbe considerare che la decisione delle Autorità Sanitarie segue il progresso della scienza e non possono mettere in atto una questione. Deve ricordare anche che quando fu messo a punto il metodo a calore c’erano delle perone che dichiaravano che i prodotti termotrattati potevano essere dannosi, per esempio creare più inibitori perché il materiale non era nativo. Francamente, se vuole conoscere la mia opinione, ma dico che potrebbe sentirne venti diverse in quest’aula, ritengo che non ci sia stata negligenza da parte delle Autorità Sanitarie e posso aggiungere neanche da parte delle industrie.

Esse hanno fatto progressi ed hanno migliorato il loro concentrato, di pari passo con l’evidenza scientifica disponibile. Le misure sono state prese per tempo e lei può dire che potrebbero essere state prese alcuni mesi prima e naturalmente questo avrebbe risparmiato alcuni casi di siero-conversione, ma io intendo giudicare ora cosa è accaduto in passato, con poca evidenza a disposizione non è così facile; questo naturalmente non cambia i fatti, coloro che hanno prescritto questi concentrati che erano in effetti, ci sentiamo dispiaciuti e colpevoli, ma io penso che si tratti di una reazione emotiva presente in ognuno di noi, almeno io ce l’ho e sono sicuro che molti dei miei colleghi provano la stessa cosa, ma tutti insieme, se cerchiamo di guardare le cose a sangue freddo e di liberarci di ciò che riteniamo essere la nostra responsabilità, penso che sia il momento di intervenire. Per quanto riguarda il problema se i nuovi concentrati sono in grado forse di fermare – lei si riferisce ai concentrati altamente purificati – il progredire dell’AIDS di coloro che sono già infetti, questo è un grosso problema, le posso già dire che non c’è ancora una risposta, ci sono soltanto dei suggerimenti e delle speranze e discuteremo di questo domani mattina durante la discussione prevista per la tavola rotonda. Sarà, ne sono sicuro, l’argomento principale e sentirò ancora probabilmente delle opinioni personali, delle emozioni e probabilmente niente di veramente fondato che possa essere predetto. Il messaggio positivo, come ho detto nella mia presentazione, è che i concentrati ora sono, direi sicuri, nel limite di ciò che si può definire sicuro quando si tratta di prodotti biologici in termini di nuova infezione da HIV e stanno diventando sempre più sicuri in termini di epatite. Sono del tutto convinto che questo sia l’unico messaggio positivo che possono trasmettere.

Ancora a marzo trattiamo l’argomento Epatiti e trasfusione di sangue: l’epatite C, in un articolo del prof. Vittorio Fosella, Direttore del Centro di Pisa.

Parliamo anche di AZT, un farmaco per cercare di combattere l’infezione da HIV che purtroppo non si dimostra risolutivo.

Grande spazio poi alla talassemia, con il resoconto del Consiglio della Lega Italiana. Si dibatte sui problemi del lavoro, sul chelante orale, l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.

Il mese di aprile ci ricorda un nome: Maria Carla Orlando e l’impatto con il mondo dell’handicap fisico, quello vero, che però, attraverso la forza di volontà, ti permette di esprimere una forma d’arte, anche con i piedi. Il nostro giornale sponsorizza il suo libro e organizza insieme alla UILM e ad Amore Ravenna, un convegno dal titolo Camminiamo insieme…oltre all’handicap. Maria Carla così scrive:

La forza di credere in se stessi

Consapevole di non riuscire ad adoperare (come la società ritiene logico) gli arti superiori, per una buona autosufficienza mi son messa, (diciamo così) a testa in giù cominciando ad usare in molte attività e necessità gli arti inferiori anche per scrivere e dipingere.

Sapevo di essere condannata ad una corsa ad ostacoli, sono cresciuta per mia fortuna o sfortuna (non lo so) con la consapevolezza del mio handicap, reprimendo i desideri dell’età più bella, quella dell’infanzia e di quella turbolenta dell’adolescenza.

Sola, ho imparato a credere alla mia intelligenza e nelle mie capacità (anche fisiche) e a dispetto di chi mi diceva o faceva capire che non ce l’avrei fatta, dietro lo stimolo di un’ardua serenità interiore e del credere in me stessa, mi sono resa conto che avrei potuto realizzare molto nella vita, nonostante mi giungessero da diverse parti messaggi contrari… ma l’acquisizione di quella serenità ha scaturito una testardaggine che è stata in diversi casi premiata, ed oggi posso dire che porto sul petto una bella medaglia d’oro, per la riuscita di questo libro e della sua pubblicazione che mi dà l’opportunità di cercare di far comprendere alla gente che lo leggerà che “l’abito non fa davvero il monaco”.

Anche se non saranno certo le mie parole a cambiare qualcosa, credo però che sarebbe già importante se esse facessero riflettere qualcuno e lo facessero dubitare delle sue certezze anche se solo per un momento.

Per questa pubblicazione devo ringraziare alcune persone e sono convinta che il modo migliore per farlo sia stato proprio lo scrivere quello che ho scritto in questo articolo.

Sono sempre più convinta che ognuno di noi dovrebbe convincersi di essere qualcosa di bello e di importante e che anche senza solo uno di noi la rappresentazione scenica del mondo sarebbe incompleta e che l’amore può superare veramente ogni ostacolo ed andare…”OLTRE L’HANDICAP”.

A maggio un importante servizio su un convegno a Roma organizzato dall’Unione Forense per la Tutela dei Diritti dell’Uomo sul tema Danno biologico da emoderivati: fondamenti giuridici e sociali del risarcimento di trasfusi e politrasfusi per HIV.

Partecipano insigni avvocati, deputati e senatori. I temi trattati: gli eventi dannosi e le cause, la previsione di assistenza economica, le perplessità tra il nesso di causalità e le conseguenze dannose, il danno e la stima del risarcimento.

Nei numeri di maggio e giugno spazio a una patologia nuova, quella degli anticoagulati che si costituiscono in associazione a Ferrara insieme agli emofilici aderendo alla Federazione Emiliano-Romagnola. Pubblichiamo articoli e servizi informativi su questa patologia.

Un numero speciale a luglio dedicato al XIX Congresso Internazionale della Federazione Mondiale dell’Emofilia, in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo.

I titoli Perché il meglio non sia nemico del bene e Dobbiamo vivere e sperare in un domani migliore sono nell’articolo di Vincenzo Russo Serdoz; Riflessioni sul mondo dell’emofilia è di Declan Murphy, Rendiamo i prodotti disponibili ad un prezzo adeguato di Louis Aledort.

Nel numero di agosto celebriamo il ventennale della Fondazione dell’Emofilia con un editoriale del Direttore.

La Fondazione dobbiamo essere tutti noi. Il 1990, come tutti gli altri anni che aprono una decade, doveva essere un anno simbolo, soprattutto per gli italiani che amano gli apparati spettacolari, le citazioni roboanti. “Gli anni…anta saranno il simbolo di….!”; quante volte abbiamo ascoltato questa frase, salvo poi, andando a guardare bene, quanto queste “grandi frasi” siano vuote di contenuti e soprattutto di risultati.

Questa volta però gli ingredienti per gli anni ’90 ci sono tutti.

Esaminiamo ad esempio i fatti e le vicende da tutto il mondo; lo possiamo fare a pieno diritto perché ne siamo parte integrante. Ricordate?….”siamo cittadini del mondo, non più con il naso schiacciato contro i vetri e volando fuori dalla finestra lo abbiamo visto, conosciamo di più noi stessi ma conosciamo anche gli altri” (EX – gennaio 1989).

Il 1989 è finito con gli sconvolgimenti politici che tutti sappiamo; sono crollati miti storici fino a pochi anni fa impensabili e ci prepariamo a vivere questi nove anni che ci separano dal 2000 con uno spirito veramente diverso. E a noi (e per noi intendiamo gli emofilici soltanto, questa volta), cosa rimane dei proclami e delle lotte intraprese con gli anni ’70 e proseguiti con gli anni ’80?

Com’è iniziato e come continua questo 1990? Le quattro date che citiamo documentano i fatti più importanti e la presenza del nostro giornale, fedele informatore di questi avvenimenti.

ROMA: GENNAIO

Concentrati di fattore VIII e trattamento dell’emofilia: stato dell’arte nel 1990.

Un servizio di 8 pagine nel numero di marzo.

ROMA: APRILE

Danno biologico da emoderivati: fondamenti giuridici e sociali del risarcimento di trasfusi e politrasfusi da HIV.

Un servizio di 4 pagine in maggio.

WASHINGTON: AGOSTO

XIX Congresso Internazionale della Federazione Mondiale dell’Emofilia


Una nuova decade: speranze e sfide

Un numero speciale tradotto in cinque lingue e un nostro stand nella sede del convegno.

BARI: SETTEMBRE
VII Congresso triennale della Fondazione Nazionale

Vent’anni di lotta alla emofilia
8 pagine in questo numero.

Il congresso di Bari è quello in cui ci sentiamo emotivamente più coinvolti perché la Fondazione dell’Emofilia è stata il nostro primo punto di riferimento.

I vent’anni di lotta all’emofilia ci fanno tornare alla mente tutto il percorso di queste due decadi.
Ma perché ci sentiamo così legati a questa istituzione, nonostante gli scontri e alcune delle scelte non condivise? Semplicemente perché la Fondazione siamo tutti noi e oggi più che mai la posta in gioco è la più alta: la nostra vita.

Al di là di quelli che potranno essere i riscontri e le prospettive strettamente mediche, vogliamo sottolineare l’importanza della presenza di tutte le associazioni, per una nuova autentica unità d’intenti. È un invito a ritrovarci, soprattutto in questo momento, se vogliamo decretare la sconfitta delle divisioni, delle incomprensioni e insieme tentare di sconfiggere anche la malattia.

Noi qui, da queste righe e poi dalla tribuna, ci proponiamo come portavoce a favore di quella Fondazione che tutti vogliamo: di tutti e non di pochi intimi.
Per farlo dobbiamo essere presenti, far sentire la nostra voce, anche a nome di coloro che in questi vent’anni si sono persi per strada, ma che hanno comunque lasciato tracce indelebili, iniziando qui, in questa sede di Bari. Un nome su tutti, Teo Ripa.

E con questo nome in rappresentanza di tanti cerchiamo di cancellare ciò che di negativo ha detto il passato per fare tesoro del positivo, attraverso un’azione comune, perché, lo ripetiamo: la Fondazione dobbiamo essere tutti noi.

A settembre l’Associazione di Ravenna, la UILM e Amare Ravenna, organizzano un convengo sulla distrofia muscolare all’interno del Meeting di Rimini. Il servizio a commento dice:

Coerenti con i nostri principi, con i nostri comuni obiettivi e grazie alla grande disponibilità degli organizzatori di questa importante manifestazione, anche quest’anno le nostre associazioni hanno avuto la possibilità di far sentire la propria voce. Un convegno sulla distrofia muscolare e sulle prospettive attuali e future del trattamento di questa patologia.

Per la verità, escludendo la relazione centrale del dott. Lissoni, il filo del discorso e degli interventi ha finito con lo scivolare verso uno dei sottotitoli: “Il volontariato visto come aiuto sociale in collaborazione con le istituzioni”; la locandina di presentazione aveva una frase significativa in questo senso: “Scopo dell’incontro è quello di informare, a carattere generale, sulla problematica della distrofia muscolare e più specificamente sulle prospettive di terapia attuali e future della malattia stessa e contemporaneamente creare, una sempre maggiore cultura della solidarietà con l’aiuto del volontariato come sostegno generoso e imparziale alle istituzioni per un’assistenza più dignitosa”. Il volontariato quindi, affiancato alle istituzioni, ed in questo caso, ai medici per aiutare a superare alcuni dei tanti problemi creati da questa malattia.

Abbiamo ascoltato la voce di Daniele Perini, Assessore alla Sanità, Servizi Sociali e Volontariato del Comune di Ravenna:
In questo mondo dominato oggi dalla corsa agli armamenti, in questo mondo che vive la pace del terrore, che spreca troppe energie per la forza e per la potenza nucleare, sembra non esserci posto per i giovani, i malati, gli anziani; per quelli cioè che sembrano gli esclusi. Ma esiste un mondo apparentemente fuori causa in cui vivono persone, uomini e donne di buona volontà di fare, di aiutare. Deve esistere la solidarietà umana di cui il mondo ha bisogno oggi. Felicità è sapere che viene qualcuno.

In novembre si dà spazio alla nostra iniziativa a favore dei talassemici della Romania, di cui parliamo nell’editoriale.

Alzando lo sguardo verso il cielo o spaziando verso un grande orizzonte siamo consapevoli dell’immensità di questa “casa” in cui tutti viviamo. Una casa, oggi, senza pareti che possano nasconderci o nascondere gli avvenimenti dal più banale al più importante. Una casa comune in cui la nostra ideale finestra sembra oggi troppo stretta o comunque non adatta a far entrare o uscire tutto ciò che vorremmo, tante sono le cose che si potrebbero fare e non abbiamo tempo materiale a disposizione. Una cosa però la sappiamo e la dobbiamo fare: descrivere infatti, lanciare iniziative, richiedere solidarietà e aiuti. Oggi, attraverso la vitalità e l’abnegazione di una della “grandi donne” che questo giornale si onora di avere come collaboratrice, conosciamo la realtà della Romania, un’altra delle tante tragedie, quella dei ragazzi thalassemici, privi delle più elementari forme di assistenza medica, senza futuro, accompagnati attraverso mille difficoltà, nei nostri centri di terapia o per i trapianti di midollo.

In questo numero sono descritti i fatti che ci hanno spinti a lanciare un messaggio a favore di quei bambini, di quei giovani, ai quali serve quasi tutto. Un messaggio che parte da tre direttrici: la Sicilia, Pesaro e Ravenna, ma che speriamo faccia da cassa di risonanza per tutti, anche per coloro che non hanno il tempo per guardare attraverso la nostra finestra…”insieme, per una concreta solidarietà, per superare le difficoltà, per contribuire a diffondere una cultura che a chiunque riconosca il diritto alla vita”. Facciamo che quel “muro” e quella “cortina di ferro” che fino a ieri ci dividevano dai nostri fratelli non siano ripristinati dal nostro egoismo. Alziamo lo sguardo verso quel cielo che è lontano da noi ma che appartiene alla grande casa di tutti. Lanciamo insieme gli aquiloni ed attraverso quei fili uniamo i nostri sforzi con la loro e la nostra voglia di vita.

Sempre nel numero di novembre la relazione sul convegno per i vent’anni della Fondazione dell’Emofilia, con l’intervento di Umberto Randi con cui si rivolge al Ministro della Sanità, dicendo tra l’altro:

La nostra non è un’associazione di consumatori ma di volontari che vogliono sostenere, potenziare e spingere in via prioritaria la soluzione di problemi, la gran parte dei quali ci viene dal mondo medico. Qualunque sia la nostra sigla associativa, ed i soci individuali e gli aderenti a volte esprimono altre realtà con altre associazioni, noi non siamo un’associazione che possa avere caratteristiche di questo genere. Siamo consumatori che se potessero farne a meno non consumerebbero neanche un’unità di fattori della coagulazione. La nostra realtà associativa vuole che ogni emofilico, ogni genitore prendano in carico se stesso e riescano a portare avanti battaglie per risolvere i problemi.

Per il fabbisogno di farmaci c’è una legge dello Stato che ci fa intravvedere la possibilità di una produzione nazionale per quelli che servono alla lotta contro l’emofilia attraverso il progressivo raggiungimento del fabbisogno di plasma. Quindi attraverso l’avvio del plasma alla lavorazione industriale. Alcuni ricorderanno che con la legge precedente, quella del ’77, che è stata applicata in piccola parte, lo Stato affidava a Centri regionali la produzione degli emoderivati sostanzialmente fatti nei Centri trasfusionali. Questi lunghi anni hanno dimostrato che non è possibile produrre artigianalmente un prodotto di questo genere. Nel 1981, in 11 Centri ne sono state prodotte 2000 unità. Pensate che il fabbisogno dell’Italia, secondo gli ultimi dati del 1988 del Ministero della Sanità è stato di 56 milioni di unità.

L’obiettivo è quindi di coprire il fabbisogno di plasma collegandosi con tre industrie nazionali che operino al nord, al centro e al sud, e affidato alle regioni. E qui c’è il punto debole della legge che è priva di finanziamenti. Chi fa parte di un Consorzio di emoderivati come quello toscano o lombardo volti ad ottenere questo risultato, sa che gli sforzi ad esempio della Lombardia sono arrivati al massimo con l’apertura di 5 centri di plasmaferesi, raccogliendo 22.00 litri di plasma da frazionare.

Questo significa che senza un massiccio intervento dello Stato, la possibilità di riuscire entro la fine del 1982 a coprire il fabbisogno nazionale resta una chimera.

Siamo vicini a quella svolta nell’uso del prodotto non plasmatico che costa però molto e che è ancora molto discusso fra gli scienziati ed i medici ed è quindi necessaria l’informazione, ecco quindi che l’ematologo deve informare il medico di famiglia e come farlo? Quando noi lo stimoliamo a darlo. Ecco quindi che riscopriamo il rapporto medico-paziente. Un rapporto che faccia sì che le nostre associazioni si battano affinché i centri aumentino gli organici altrimenti non sono in grado di far fronte a tutti gli impegni e le problematiche che abbiamo.

Incontra resistenza durissima anche tra coloro che condividono l’assenza di responsabilità a livello di scienza medica o medicina legale (responsabilità soggettiva). Al Senato ci è stato detto che eravamo pazzi e che il progetto non avrebbe fatto un passo avanti a causa delle grandi somme che si dovrebbero mettere in movimento. Infatti è rimasto fermo: scalpitante ma fermo!

Auspichiamo che la sua presenza serva a gettare un ponte anche verso la nostra organizzazione. Un ponte necessario rivolto a chi ha ricevuto dal sangue che serviva per curare, l’infezione da HIV. Abbiamo chiesto ai parlamentari di avanzare proposte di legge di soluzione. Il Ministro della Sanità ha allo studio un provvedimento ma sta andando avanti molto lentamente.

In base alla esperienza straniera noi fidiamo che il suo mestiere possa interessarsi di questa problematica. Canada e Australia hanno ritenuto queste infezioni come una catastrofe sociale e il contributo alla soluzione di questi problemi in materia economica, di supporto sociale per sostenere gli emofilici sieropositivi, le loro famiglie, è venuto con due provvedimenti di legge che sono all’interno dei ministeri che si occupano delle conseguenze alla salute. Noi pensiamo di poterle illustrare, se ci riceverà, una soluzione anche all’interno del Governo.

Non bocciate la ricerca di questa soluzione che potrebbe servire a moltissimi altri aspetti che hanno un impatto sociale sulla salute e potrebbe stimolare il suo ministero che in questo momento, pur essendo meritorio di quest’ultimo provvedimento e la posizione assunta nel fabbisogno del sangue del plasma lei potrà muoverne sicuramente l’inerzia.