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NATO PER CORRERE

Giovedì 13 giugno presso la sede di Telethon di via Poerio a Milano si sono incontrati, alla presenza di un folto pubblico di invitati, coordinati da Adriana Bozzi del Corriere della Sera, Salvo Anzaldi autore e giornalista, Francesca Pasinelli Direttore Generale di Fondazione Telethon, il Prof. Luigi Naldini Direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica, il Dott. Alessio Cantore ricercatore Istituto San Raffaele – Telethon per la terapia genica, il Prof. Luigi Solimeno Direttore UOC traumatologia d’Urgenza della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Andrea e Buzzi Presidente di Fondazione Paracelso.

La brochure consegnata per l’occasione esordiva così:
“È possibile correre 42 km della Maratona di New York  con un ginocchio in titanio e una malattia considerata sinonimo di immobilità?
Sì, e ce lo ha dimostrato Salvo Anzaldi, il primo novembre 2015.
Salvo è un giornalista,appassionato di calcio e un fan sfegatato di Bruce Springsteen.
Ma soprattutto Salvo è emofilico.
Questo vuol dire anche la caduta più banale può avere conseguenze serie: i versamenti delle articolazioni portano le cartilagini a consumarsi e le ossa a modificarsi, e mentre il dolore aumenta le possibilità di movimento diminuiscono.
La cosa migliore, per Salvo, sarebbe stata vivere una vita tranquilla, al riparo da ogni possibile trauma.
Quella che racconta in questo libro, però, è una storia diversa, la storia di una persona che, nonostante le difficoltà e la sofferenza, non ha mai voluto rinunciare a nulla, neanche a una singola, devastante partita di calcetto, a un viaggio dall’altra parte del mondo o, perché no, a essere uno dei cinque emofilici che per la prima volta nella storia hanno corso la maratona più famosa al mondo.
Una corsa per dimostrare a se stesso e, grazie anche al sostegno della Fondazione Paracelso e alla collaborazione di Telethon, a ogni singolo emofilico che nessuna sfida è troppo grande da non poter essere affrontata e che se ci credi puoi arrivare dove non avresti mai nemmeno osato sognare.
Salvo Anzaldi è nato nell’estate del ’69 ed è iscritto all’Ordine dei giornalisti dall’89.
Ha lavorato per oltre vent’anni nei giornali (nazionali e locali) maturando in seguito importanti esperienze di comunicazione istituzionale, soprattutto in ambito sanitario. Bulimico di libri, rock e pallone, ha giurato a sua figlia di 12 anni che la pietra filosofale si trova sotto il prato di San Siro, proprio dove si incontrano un riff di Bruce Springsteen e una sgroppata di Javier Zanetti.
Docente di “Tecniche del linguaggio giornalistico” e di “Ufficio stampa in ambito pubblico” all’Università del Piemonte Orientale, ha vinto nel 2005 il Premio Saint-Vincent di Giornalismo”.

L’autore, sollecitato dalla conduttrice ha raccontato alcuni episodi della sua vita di emofilico cinquantenne, con la semplicità ed anche la simpatia che gli sono congegnali e che si scoprono leggendo il suo libro.

Ma io approfitterei biecamente a questo punto, della  presenza di Naldini e Cantore, riportando un sunto del loro racconto, compreso anche nella brochure che ci era stata consegnata, per sapere a che punto sia la ricerca scientifica sull’emofilia, incentrata da una parte sul miglioramento delle terapie esistenti, dall’altra sullo sviluppo della terapia genica che permetterebbe di trasferire ai pazienti una versione corretta del gene per il fattore della coagulazione mancante attraverso una versione “riveduta e corretta” di un virus, opportunamente modificato in laboratorio in modo da mantenere la capacità di entrare nelle cellule (quelle del fegato in questo caso) ma di non avere più effetti patologici.

“Attualmente la terapia genica – ha esordito il prof. Naldini – è già in fase di sperimentazione clinica in diversi Paesi del mondo per entrambe le forme di emofilia tramite l’utilizzo di vettori adeno-associati (AAV), con buoni risultati in termini di sicurezza e di efficacia nel ripristinare l’attività del fattore mancante.
La somministrazione avviene tramite un’infusione nel circolo sanguigno, tramite il quale il vettore raggiunge il suo organo bersaglio, il fegato, che inizia a produrre la proteina mancante fornendola a tutto l’organismo.
Tuttavia, questo approccio presenta attualmente due limiti principali.
Il primo che non è efficace in età pediatrica, perché il vettore non si integra  e viene quindi “diluito” con la crescita.
Inoltre, una fetta significativa della popolazione presenta anticorpi pre-esistenti diretti contro il virus originale che di fatto ne neutralizzano l’effetto.
Per questo, all’Istituto San Raffaele Telethon di Milano il nostro gruppo, sta lavorando da diversi anni per mettere a punto la terapia genica con altri tipi di vettori virali, quelli derivati dal virus Hiv (detti lentivirali): questo tipo di vettori, che proprio all’Istituto San Raffaele Telethon di Milano sono già stati utilizzati per il trattamento di altre gravi malattie genetiche, permetterebbero di ovviare a entrambi questi ostacoli, perché si integrano stabilmente nel SNA della cellula ospite e vengono così trasmessi anche alle cellule figlie nel corso dello sviluppo.
Inoltre, derivando dal virus Hiv, sono sostanzialmente “sconosciuti” per il sistema immunitario.
La terapia genica con vettori lentivirali potrebbe quindi rappresentare una valida opzione terapeutica per i pazienti di età pediatrica e per quelli “resistenti” alla terapia con vettori AAV: questa ottimizzazione dei vettori rappresenta dunque un ulteriore passo in avanti verso la sperimentazione clinica”.

E’ intervenuto anche il dott. Cantore affremando che: “in collaborazione con altri ricercatori, abbiamo dimostrato la sicurezza e l’efficacia della terapia genica nel modello animale: una singola somministrazione del vettore ha ripristinato stabilmente l’espressione del fattore della coagulazione mancante e ridotto considerevolmente i sanguinamenti spontanei a più di 5 anni dal trattamento.
Questi risultati così promettenti hanno convinto nel gennaio 2015 la biotech americana Biogen Idec a fare un importante investimento nello sviluppo di questa strategia terapeutica, nella speranza di offrire in futuro una cura definitiva e sostenibile, anche dal punto di vista economico (successivamente, Biogen ha trasferito il programma alla spin-ogg Bioverativ, poi acquistata dall’azienda Sanodi).
Come descritto in un lavoro appena pubblicato su Science Translation Medicine, abbiamo ulteriormente perfezionato questi vettori in modo che riescano a evitare che i macrofagi, cellule “sentinelle” del sistema immunitario presenti nel fegato, li percepiscano come estranei e di conseguenza li distruggano.
Così modificati, i vettori lentivirali sono ben tollerati dall’organismo e sono in grado di trasferire in modo efficiente il gene terapeutico.
Questo studio rappresenta quindi un ulteriore passo in avanti verso la sperimentazione clinica nell’uomo di questo tipo di terapia genica.
Obiettivo del prossimo futuro è infatti avviare uno studio clinico in collaborazione tra l’Istituto SR-Tiget e il Policlinico di Milano, per valutare sicurezza ed efficacia di questa terapia genica affetti da emofilia”.
La professoressa Flora Pejvandi Direttore della Medicina Generale Emostasi e Trombosi del Policlinico di Milano e la dottoressa Elena Santagostino Presidente di AICE, che sono intervenute, hanno evidenziato  quanto descritto.

IL LIBRO DI SALVO
Scusandomi con i miei pazienti lettori cerco di tornare al motivo dell’incontro ricordando che non è la prima volta che il nostro giornale pubblica racconti scritti da emofilici sulla loro esperienza di vita.
Il primo in ordine di tempo era stato “Sul ciglio dell’acqua” di Enrico Gentili (vedere EX di ottobre 2009 alla pagina 14 – n.d.R.).
Il significato più importante del messaggio che ogni volta abbiamo voluto dare è stato: “l’emofilico oggi vive come gli altri fra gli altri”.
Ad onor del vero quando sono stato invitato alla presentazione del libro dalla gentilissima Alessandra Camerini di Telethon conoscevo già il titolo perché era stato presentato alla giornata mondiale dell’emofilia a Milano organizzata da Fondazione Paracelso.
Da non emofilico e da sportivo accanito, il battage pubblicitario che aveva preceduto e poi seguito l’impresa di un gruppo di emofilici alla maratona newyorkese non mi aveva convinto perché ritenevo e ritengo tutt’ora che quelle sono “esagerazioni”, in tutti i campi, ma soprattutto in questo e mi avevano dato modo di intervenire ad alcuni convegni ribadendo che l’attività sportiva per un emofilico debba essere vista innanzitutto anteponendo su tutti un primo obiettivo, quello della qualità della vita.
Quando poi ho sentito parlare addirittura di “eroi” allora mi sono un poco irrigidito, ma mi  sono tenuto per me ciò che avrei voluto dire, in fondo chi sono io, per giudicare, sono soltanto un “emofilico ad honorem”.
Poi, tornato a casa, ho letto il libro di Salvo ed ho scoperto innanzitutto che ci accomunano tre passioni: la bulimia da libri, la passione per Bruce e quella per il calcio….
E quello io l’ho giocato veramente…
Vorrei parlare anche del libro, 266 pagine che si leggono d’un fiato, ma per me, con quella strana sensazione di “disagio”, quello dovuto alla mia opinione sulla esaltazione dell’impresa. Un’impresa del resto, raccontata in modo elegante e leggero, senza eccedere troppo ma facendoci conoscere la vita di una persona che le sue battaglie le ha combattute e che io conosco molto bene, per averle vissute assieme ad un amico/fratello e poi a fianco di altri che mi hanno insegnato molto, soprattutto a riconsiderare la mia “normale”.
Poi, a pagina 249, sotto il titolo: “Cinque pezzi facili”, Salvo ha scritto:
“Siete degli eroi”. La prima volta l’avevo sentito dire il 17 aprile 2015 al simposio della Fondazione Paracelso, quando il dottor Solimeno aveva rivelato con un qual certo contegno la nostra identità alla comunità emofilica.
Ce lo hanno ripetuto spesso, nelle occasioni pubbliche alle quali abbiamo preso parte prima e dopo la Maratona.
Talvolta ce lo hanno anche urlato, durante gli allenamenti, le persone che ci incrociavano in palestra o in piscina ed erano a conoscenza delle nostre intenzioni.
Mi ha sempre dato molto fastidio e procurato imbarazzo: un po’ perché la nostra vita quotidiana è ammorbata, soprattutto sui media (e non sto parlando solo dei social), da un’odiosa corsa all’iperbole e poi perché – non scherziamo – gli eroi sono altri.
Gli eroi sono quelli che ancora oggi lottano contro l’emofilia ad armi impari, gli stessi che prima o poi potranno forse essere i veri destinatari degli effetti della nostra impresa e potranno beneficiare di un massaggio tanto forte per migliorare la propria qualità di vita”.

Caro Salvo, dentro di me sapevo che lo avresti scritto, sapevo che sarebbe stato questo il tuo messaggio… ed anche il mio.

Brunello Mazzoli

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