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ROMA 17 APRILE – XIX GIORNATA MONDIALE DELL’EMOFILIA

La XIX GME svoltasi a Roma il 17 aprile è stata occasione di bilancio tra:
– le sfide della scienza attraverso la ricerca di nuove terapie
– le aspettative dei pazienti, desiderosi di traguardi raggiungibili e auspicabili
– le risposte delle istituzioni, sospese tra i limiti richiesti dalle procedure di controllo e la volontà, vogliamo sperare, di comprendere il valore delle richieste
– il ruolo delle aziende nel valutare l’efficacia o meno di procedere nell’esplorazione di nuovi farmaci.

È probabile che la questione sia tutta qui: cercare di accontentare tutti ma è evidente e palpabile lo stato di pressione cui tutti sono sottoposti e che evidentemente, va considerato. Ma dal momento che le parole non servono se non sono accompagnate dai fatti, diventa inutile chiedersi come mai non tutte le regioni abbiano attuato quello che era stato definito 10 anni fa con l’accordo Stato-Regioni, quanto piuttosto si acceleri il processo per realizzare il disegno laddove ancora non c’è.

A tal proposito così si è espressa la presidente di FedEmo, avvocato Cristina Cassone, sui progressi della ricerca e la carenza dell’assistenza alle MEC: “Nonostante le nuove opportunità terapeutiche, come la terapia genica ad esempio, mancano ancora medici, PDTA regionali e investimenti per strutturare i Centri e le reti per le Malattie Emorragiche e Congenite (MEC). Dopo un decennio dalla sigla dell’accordo Stato-Regioni sull’assistenza alle Malattie Emorragiche e Congenite, la terapia genica per l’emofilia è ormai alle porte e attualmente in fase di registrazione.
A fronte di ciò le problematicità del sistema assistenziale dedicato alla malattia sono invece aumentate, nonostante l’impegno quotidiano dei clinici specialisti. Il post covid ha visto le Regioni ridurre sistematicamente gli investimenti sui Centri Emofilia e sulle professionalità che vi operano.
FedEmo chiede, perciò, con forza a tutte le istituzioni che operano in sanità di destinare più risorse strutturali e umane all’assistenza alle MEC e un maggior coinvolgimento diretto dei pazienti all’interno dei tavoli tecnici nazionali e regionali di programmazione”.

Le criticità evidenziate dalla presidente Cassone, sono state riprese dai relatori presenti.
In primis la gestione della terapia nella persona con MEC da effettuarsi in centri ad alta specializzazione con struttura articolata non solo del personale medico infermieristico, ma anche di data manager e infermieri di ricerca, ovvero figure che svolgono attività di ricerca clinica applicata all’assistenza di pazienti reclutati in protocolli sperimentali.
Questo significa che è indispensabile che il sistema hub & spoke venga attuato in tutte le regioni al più presto.
Attualmente anche il rapporto tra clinico e paziente ha comportato una modifica legata all’utilizzo delle ultime innovazioni terapeutiche e su questo si è espressa la Professoressa Flora Peyvandi, Direttore del Centro Emofilia e Trombosi “Angelo Bianchi Bonomi” del Policlinico di Milano: “L’evoluzione del trattamento dell’emofilia, nell’ultimo decennio, ha portato notevoli miglioramenti nella vita del paziente.
Un primo progresso è stato ottenuto con i prodotti a lunga emivita che hanno permesso ai pazienti in regime di profilassi di infondersi intravena un minor numero di volte. Successivamente, l’utilizzo di un nuovo farmaco, a somministrazione sottocutanea, ha reso ancora più semplice la profilassi, soprattutto nei pazienti più piccoli nei quali è stata eliminata la necessità di impiantare dispositivi di accesso venoso, come il port-a-cath. Tale farmaco inoltre è stato dimostrato essere molto efficace nella profilassi delle emorragie nei pazienti con e senza inibitore.
Ma la svolta nel trattamento dell’emofilia si è ottenuta con la terapia genica: con un’unica infusione è possibile raggiungere la protezione dalle emorragie per diversi anni. In un futuro molto prossimo, questa nuova terapia potrà rientrare tra le opzioni terapeutiche a disposizione delle persone con emofilia in Italia, visto che nel 2022, l’agenzia europea del farmaco (EMA, European Medicines Agency) ha concesso l’approvazione condizionata, e quindi con maggiori garanzie, a due farmaci di terapia genica per l’emofilia A e per l’emofilia B.
L’evoluzione nel campo terapeutico sta contribuendo a modificare la gestione complessiva delle persone con emofilia e a rivedere il compito degli specialisti.
La vasta gamma di prodotti ora a disposizione e in particolare l’uso della terapia genica, impone ai medici non solo di essere ben preparati, ma di discutere con ogni singolo paziente, secondo le sue esigenze individuali, quale sia la terapia più adatta, rendendo i pazienti, o i genitori dei pazienti più piccoli, più consapevoli e partecipativi nel loro percorso di cura.
Inoltre, le linee guida internazionali raccomandano ai pazienti pediatrici, per comprendere al meglio l’esperienza individuale del paziente, quali siano i suoi bisogni quotidiani e come vive la sua malattia per offrire la miglior strategia terapeutica legando il piano terapeutico alla sfera personale e sociale”.

Naturalmente quando si parla di farmaci che intervengono sulla genetica è comprensibile la cautela e la necessaria verifica di ogni singolo passo.

A tal proposito l’intervento del dott. Mirko Pinotti, Direttore Dipartimento biotecnologie, Università degli Studi di Ferrara il quale ha testualmente affermato: “Il nostro paese vanta eccellenze nella ricerca in campo biomedico ed anche nel campo della terapia genica delle malattie genetiche. Se restiamo nel campo della terapia genica dell’emofilia, ed a quanto abbiamo imparato nel corso degli ultimi decenni con l’utilizzo di virus adeno-associati, è chiaro che sono stati fatti passi enormi in questo approccio che mira a “curare” il paziente con una unica singola iniezione intravenosa. Ne è la dimostrazione l’autorizzazione concessa dagli enti regolatori a due approcci di terapia genica per Emofilia A e B.
Tuttavia è doveroso riconoscere che ci sono ancora questioni aperte che necessitano di ulteriori studi, ed in questo i ricercatori ed i clinici italiani stanno contribuendo in modo molto importante.
Senza voler essere in alcun modo esaustivo penso a gruppi che studiano i meccanismi del sistema immunitario in un’ottica di indurre immunotolleranza alle terapie correnti oppure contrastare la risposta al virus terapeutico. Altri gruppi studiano come far produrre alle cellule che fisiologicamente producono il fattore VIII, le cellule endoteliali del fegato.
E ancora, clinici italiani hanno un ruolo chiave nel monitorare pazienti trattati con terapia genica per valutare efficacia e sicurezza e suggerire protocolli di follow-up unitamente a saggi di laboratorio idonei a misurare correttamente i livelli del fattore post-trattamento.
Questo associato ad un ragionamento sulla nuova organizzazione che dovranno avere le strutture sanitarie per gestire un “farmaco” non convenzionale come un virus ingegnerizzato, ed in questo l’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE) ha un ruolo chiave.
Concludo sottolineando che il termine terapia genica è un termine che include non solo quello che ora è nei comunicati stampa con l’utilizzo di virus AAV ma abbraccia tutta una gamma di approcci che intervengono sui nostri geni o sui loro prodotti di processamento. E, a questo, eccellenti ricercatori italiani lavorano per sviluppare “terapie geniche differenti” che includono virus diversi, già usati con successo per altre patologie (es. Immunodeficienza severa combinata; ADA-SCID) e/o terapie cellulari in cui cellule del paziente vengono isolate, modificate e reintrodotte.
Ed in quest’ultima nicchia si inserisce la ricerca italiana nel campo della correzione diretta del gene difettivo detto “gene editing”.
Ma trovo difficile parlare dei risultati della ricerca italiana visto che i nostri ricercatori spesso sono parte di network collaborativi internazionali, ed è proprio questa sinergia che apre sempre nuovi orizzonti, e con essi speranze, per i portatori di malattie genetiche come l’Emofilia, e non solo”.

Dall’innovatività di un farmaco alla sua disponibilità sul mercato, una volta effettuate le valutazioni necessarie, c’è tutto un percorso regolatorio da rispettare, lungo e complesso, descritto nella delibera 519/2017.

Si valutano: il bisogno terapeutico, il valore terapeutico aggiunto e la qualità delle prove, ritenuti elementi fondamentali. Ma la cosa non finisce qui perché la valutazione partorisce tre scenari diversi, frutto appunto della cura e attenzione dedicata nella prima fase di accertamento e qui noi confidiamo nella presenza, in quei tavoli, di personale qualificato ed eticamente corretto.

Purtroppo l’accesso a farmaci innovativi, per tutte le patologie, è un equilibrio da trovare tra due istanze contrapposte (non solo “apparentemente” come sostenuto dalla dirigente Aifa): i diritti dei pazienti e la sostenibilità economica.

Ci fa ben sperare che la partecipazione delle associazioni di pazienti in modo attivo e consapevole, possa contribuire a rendere più efficienti sia le fasi dello sviluppo di un nuovo farmaco, che di una nuova procedura terapeutica.

È interessante l’intervento della dottoressa Claudia Santini, dell’agenzia italiana del farmaco (Aifa) la quale ha affermato: “Come anticipato, i pazienti svolgono un ruolo determinante a partire dalle prime fasi dello sviluppo di un farmaco, ovvero durante la fase della ricerca clinica.
A testimonianza di ciò, a livello europeo, il regolamento (EU) n.536/2014 sulla sperimentazione clinica per uso umano prevede la partecipazione di persone non addette ai lavori, in particolare di pazienti o di organizzazioni di pazienti.
A livello nazionale, la Legge n.3 del 2018 prevede la “definizione delle procedure di valutazione e di autorizzazione di una sperimentazione clinica, garantendo il coinvolgimento delle associazioni di pazienti, soprattutto nel caso delle malattie rare.
Nel 2018 è infatti stato istituito, presso l’Aifa, il Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici che svolge attività di coordinamento, indirizzo e monitoraggio delle attività di valutazione degli aspetti etici relativi alle sperimentazioni cliniche sui medicinali e sui dispositivi medici demandate ai Comitati Etici territoriali. Come previsto dalla Legge n.3/2018, tre rappresentanti delle associazioni dei pazienti fanno parte del Centro di coordinamento.
Infine, anche nei Comitati Etici, sia territoriali che nazionali, la cui funzione principale è la valutazione degli aspetti etici e scientifici delle sperimentazioni cliniche, deve esserci un rappresentante del volontariato o dell’associazione dei pazienti.
in questo modo si è arrivati a definire, anche con processi legislativi, il ruolo fondamentale ed ineludibile che i pazienti possono e devono svolgere nel contesto della ricerca scientifica”.

Se tutto quello che è stato detto o anche solo una parte di esso arriverà a realizzarsi, potremo dire che è stato fatto un buon lavoro e questo noi auspichiamo.
Che la GME non sia una giornata senza eco nella società, perché le tematiche affrontate riguardano non solo il mondo delle malattie rare ma quello più grande della cura per tutte le persone affette da patologie.

Si ringraziano Roche S.p.A. e
CSL Behring S.p.A. per il loro contributo incondizionato alla realizzazione del ChatBot.