Per un paziente o un rappresentante dei pazienti che partecipa al convegno annuale della Associazione Italiana dei Centri Emofilia, ascoltare le parole del presidente Di Minno quando afferma l’importanza dell’appartenenza rivolgendosi non soltanto ai medici ma anche a noi, è un messaggio di una importanza fondamentale, semplicemente perché riconosce, ed i medici con lui, quanto sia vera l’affermazione che si ascolta sempre più di frequente in cui si parla del “paziente esperto”.
Ed è proprio da pazienti che cercano di informarsi, ascoltando i tanti interventi che si sono susseguiti a Bologna il 26 e 27 ottobre, ci è sembrato importante dare spazio, fra le tante, alla relazione della dottoressa Emanuela Marchesini componente della Commissione della Farmacocinetica che ha svolto la sua proprio su questo tema:
“La farmacocinetica è davvero un’acquisizione nella pratica clinica?”.
Per completare l’informazione abbiamo rivolto alcune domande anche alla dottoressa Chiara Biasoli che in quella sede ha presentato i risultati della survey sui laboratori promossa dall’omonima Commissione per valutare qualità dei dati, disponibilità dei risultati nei tempi ottimali per una corretta gestione delle MEC. Nella gestione delle malattie emorragiche oltre ad una qualificata esperienza clinica è necessaria la presenza di laboratori dedicati con la supervisione di personale esperto .
Quanti Centri possono eseguire una corretta farmacocinetica, hanno strumenti, il tempo per farlo.
Il tutto a beneficio, prima del paziente e poi anche dei costi dell’assistenza globale.
Perché oggi si parla tanto di farmacocinetica?
Quale né è l’importanza? E perché dobbiamo farla?
La cura per l’emofilia in questo momento sta vivendo uno dei suoi momenti migliori.
Sempre più farmaci si stanno affacciando nel mercato e sempre maggiore è l’attenzione ai bisogni dei pazienti.
Nel nostro mondo occidentale si parla di fare la profilassi personalizzata adattandolo allo stile di vita dei pazienti, si parla di profilassi terziaria per i pazienti anziani, cresce dunque la domanda di fattore VIII a fronte però di una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità. La farmacocinetica si offre come lo strumento in grado di garantire il massimo dell’efficacia con il minimo della spesa. Lo studio farmacocinetico sembra la risposta.
Già nel 1983 Carlsson aveva dimostrato che adattando i dosaggi dei fattori sulla base dell’analisi farmacocinetica si poteva ottenere lo stesso risultato con un risparmio di fattore pari al 30%. Ma in quell’epoca si proponeva di aumentare la frequenza di infusioni.
Ma perché allora non abbiamo incominciato a fare la farmacocinetica sistematicamente dagli anni 80?
Le resistenze sono state legate a tre aspetti:
• uno studio farmacocinetico costa sacrificio per il paziente e una certa complessità organizzativa per i centri. Negli anni 80 fare una cinetica completa costava di 12 prelievi da eseguire in 3 giorni.
Questo rappresentava per il paziente un problema sia in termini di accettazione della procedura che di organizzazione.
Oggi per fortuna siamo in grado di fare una cinetica classica con 6 prelievi in 3 giorni oppure addirittura con due o 3 con metodi un po’ meno precisi ma ugualmente affidabili come la PK population.
• In pochi sapevano interpretare i risultati della farmacocinetica anche tra i medici più esperti e allora non sembrava valerne la pena. Oggi si stanno facendo grandi sforzi per colmare questa lacuna, tanto che AICE ad esempio ha sentito l’esigenza di creare una Commissione Farmacocinetica sotto la guida del Prof Morfini, uno dei più grandi esperti di farmacocinetica del mondo.
• Allora eravamo in un mondo ricco e non ci preoccupavamo tanto della sostenibilità. Ma oggi invece abbiamo ormai tutti acquisito la consapevolezza che le risorse che abbiamo in ogni settore (dall’ambiente all’economia) non sono infinite e vanno preservate e utilizzate al meglio.
MIGLIORI PRODOTTI, PIU’ CONTROLLI, MIGLIORE COMPLIANCE
Oggi le maggiori conoscenze a nostra disposizione, e i passi avanti nell’industria ci mettono inoltre a disposizione prodotti sempre più malleabili ed adattabili e anche a più lunga durata d’azione.
Oggi quello che si tenta di fare con la farmacocinetica è proprio di ottenere il miglior livello emostatico tarato sullo stile di vita del paziente con il numero di infusioni e i dosaggi più bassi possibile.
Quindi il massimo della sostenibilità possibile anche nel nostro mondo sviluppato.
La personalizzazione della terapia rappresenta oggi lo strumento principale per ottenere una medicina che mette al centro il paziente. Cosa significa questo?
Significa che il medico oltre a conoscere il fenotipo emorragico del paziente deve entrare in empatia con il paziente e fare anche uno sforzo di capire quali sono le sue esigenze e deve impostare la terapia tenendo conto di queste.
Ma il medico da solo non può farcela; per ottenere il massimo ha bisogno del paziente. Ha bisogno che il paziente lo segua e comprenda la necessità di mantenere quella precisa frequenza di infusione e quella precisa dose.
Il medico ha bisogno della compliance del paziente.
In questo discorso si inserisce lo studio farmacocinetico.
Ma in cosa consiste lo studio farmacocinetico?
Essenzialmente consiste nel sottoporre il paziente ad un prelievo basale, seguito dall’ infusione del concentrato che viene fatto dal paziente e da una serie successiva di prelievi che hanno lo scopo di determinare come i livelli di fattore si modificano nel tempo. In questo modo il medico ottiene una curva che gli fa vedere come il paziente elimina il farmaco e quanto può ottenere in termini di sicurezza ed efficacia con una precisa dose di farmaco.
Il paziente da parte sua dallo stesso studio può capire perfettamente quanto è protetto e in quali periodi della settimana durante il trattamento può chiedere di più al suo organismo e quando invece è bene che faccia più attenzione.
In questo modo sarà possibile pertanto ottimizzare la terapia magari in base agli allenamenti o alle gare che il paziente fa.
Tutto funziona in un mondo ideale se c’è una sinergia tra l’azione del medico e quella del paziente e il comprendere fino in fondo è probabilmente il metodo migliore per realizzare tale sinergia.
Quante volte i pazienti si sono sentiti dire che devono assolutamente seguire la prescrizione del medico? Quante volte sono stati “rimproverati”?
Ma perché poi il paziente non segue le prescrizioni che gli vengono fatte?
Beh sicuramente il trattamento endovenoso a livello subconscio non ci aiuta, come non ci aiuta talvolta la voglia di non sentirsi sempre malati.
Il capire però le motivazioni profonde che spingono il medico ad una data prescrizione e il cambiare prospettiva, incominciando a vedere che il trattamento è uno strumento che ci permette di essere “persone con emofilia” e non pazienti e non malati potrebbe esserne la chiave.
E allora la commissione farmacocinetica all’interno di AICE si pone l’obiettivo di trasformare davvero la farmacocinetica in una reale acquisizione clinica per i medici dei Centri Emofilia, ma anche per i pazienti.
AICE si sta dimostrando all’altezza dei cambiamenti che si affacciano sul panorama mondiale e siamo convinti che anche i nostri pazienti sono pronti a fare il salto di qualità di una terapia sempre più consapevole e mirata con rinnovata consapevolezza e convinzione.
Dottoressa Biasoli, lei a Bologna a parlato di una indaginedefinita “Survey AICE”.
Possiamo collegare questo argomento alla relazione della dottoressa Marchesini?
“L’AICE ha istituito varie commissioni che trattassero gli argomenti più importanti nella gestione delle problematiche dei Centri emofilia.
Una di queste era rivolta appunto alla farmacocinetica che è diventata molto importante soprattutto con l’introduzione delle nuove terapie.
Un altro problema da affrontare è quello relativo laboratori perché nell’ottica della centralizzazione non sono oramai più appannaggio dei Centri emofilia, per cui già dall’anno scorso si pensò di istituire una Survey (indagine) per capire come e chi sarebbe stato in grado di eseguire correttamente la farmacocinetica”.
Qual è la risposta della maggior parte dei Centri?
“Alla Survey hanno partecipato 43 Centri su 51, è emerso che circa la metà dei centri può ancora utilizzare un laboratorio interno e l’indice di soddisfazione tutto sommato è stato anche abbastanza alto.
Sono emersi però anche grossi problemi per quel che concerne l’esecuzione dei controlli di qualità esterni sui dosaggi Fattori e inibitori, la percezione di rilevanza clinica degli stessi da parte del personale di laboratorio, orari di apertura e la disponibilità di ottenere i risultati in tempi idonei.
La commissione quindi ha esposto dei progetti per promuovere esercizi regolari di controlli di qualità gestiti da AICE per tutti i Centri Emofilia”.
Verrano fatti veramente in tutti i Centri?
Se Aice promuove il progetto penso proprio di si. è importante anche avere una maggior collaborazione con i responsabili dei laboratori ed il personale tecnico ai quali noi affidiamo controlli di qualità e campioni dei nostri pazienti per poi condividere i risultati.
L’altra strategia e progetti della Commissione, per mantenere elevate queste competenze, è quella di fare dei corsi di formazione interattivi dove ci sia pratica e teoria per i laboratoristi, corsi suddivisi per macroaree Nord, Centro e SUD e mettere disposizione borse di studio per tecnici, biologi o biotecnologi.
Un altro grosso problema è quello degli orari di apertura o reperibilità dei laboratori.
Si è visto che ci sono Centri in cui l’esecuzione dell’esame viene fatto dopo ore o anche giorni, con tempi che non garantiscono l’emergenza, quindi come si può migliorare?
Questo è un obiettivo che dovrà essere condiviso attraverso collaborazione con le Regioni e con le istituzioni ed i pricipi di accreditamento”
Facciamo un esempio partendo dalla situazione in Emilia-Romagna che è considerata tra le più attrezzate in merito.
“Ci sono realtà diverse.
I due Centri della Romagna (Cesena e Ravenna) si avvalgono di un laboratorio esterno ai 2 centri, l’ormai famoso Laboratoriuo d’Area Vasta Romagna.
Logisticamente si trova al Centro della Romagna ed è a circa 10 km da Cesena e 30 da Ravenna.
Ci possiamo vantare di una buona organizzazione della fase preanalitica che è molto importante e rilevante sulla qualità dei dati.
La dimensione del laboratorio ci ha anche permesso di avere la possibilità di eseguire i famosi controlli di qualità esterni di cui si parlava pocanzi.
La partecipazione ai controlli è anche promossa nella Delibera Regionale sulla Pianificazione dell’attività dei Centri della RER.
Buona anche la tempistica di refertazione e abbiamo assicurata la reperibilità notturna e festiva per altro attivabile solo dai referenti dei 2 Centri e non da altri sanitari della Romagna.
Poi abbiamo la realtà di Ferrara, Modena, Piacenza e Reggio che hanno buoni laboratori ma non soddisfano tutti i criteri sopramenzionati.
Bologna è attualmente in una fase di riorganizzazione mentre Parma nostro HUB ha tutti i criteri di accreditamento sopradescritti.
Come AICE possiamo fare progetti sulla qualità ma come dicevo prima l’apertura del laboratorio con orari istutuzionalizzati deve essere argomento affrontato a livello Aziendale con un’integrazione con l’assessorato regionale che dia queste possibilità.
Ci appelliamo al famoso documento Stato-Regioni”.
A questo punto parliamo veramente di farmacocinetica.
La dott.ssa Marchesini fa molto affidamento sulla sinergia fra l’azione del medico e quella del paziente, in questo caso guardando ancora all’Emilia-Romagna, esiste questa sinergia?
“Per fare la farmacocinetica ci vuole il laboratorio efficiente e questo è ciò di cui abbiamo appena discusso e non tanto la farmacocinetica è relativa alla qualità, non tanto agli orari di apertura dei Centri, è la qualità dei laboratori che interessa.
Come facciamo a pretendere buoni risultati?
Attraverso un personale che sia formato con una mentalità legato a queste problematiche, facendo corsi di formazione e con la pretesa che i nostri laboratori partecipino ai controlli di qualità esterni.
Il paziente deve presentarsi più difrequente al Centro a fare prelievi per poter stabilire la farmacocin tica di un concentrato nel suo organismo.
Non credo che ci siano problemiquando fra paziente e medico c’è quell’alleanza che ha da sempre contraddistinto il nostro mondo”.
Quindi voi sapete con certezza che questa farmacocinetica è sicuramente di un’efficacia eccezionale però a questo punto, com’è la situazione italiana?
Intanto devo dire che non abbiamo scoperto l’acqua calda come del resto ci spiega la dott.ssa Marchesini.
I responsabili dei Centri sanno, però la farmacocinetica non è una novità o un nuovo stumento.
Infondiamo i nostri pazienti da sempre e avremmo sempre dovuto avere un riferimento alla farmacocinetica.
Chiaramente adesso sono state acquisite nuove evidenze che ci hanno “semplificato“ lo strumento.
C’è più attenzione alle abitudini e allo stile di vita del paziente, alle sue necessità di copertura ed allo stesso tempo maggiore attenzione al non sprecare il farmaco o sprecare un foro.
Vent’anni fa non avevamo tutti i farmaci a disposizione come abbiamo oggi e non facevamo certo tante profilassi .
La profilassi ha cambiato tantissimo la vita ai nostri pazienti ,ma usavamo quasi sempre un dosaggio standard mutuato certamente da evidenze scientifiche ma comunque standard. Prima avevamo a disposizione il plasmatico, un ricombinante di 1° e poi di 2° generazione, ora ci sono farmaci diversi
Abbiamo anche un obbligo morale a cercare e trovare il concentrato più adatto ad ogni singolo paziente.
Cosa vuol dire può essere più adatta al paziente?
Noi dobbiamo soprattutto TROVARE un trattamento che sia il più sicuro possibile,il più efficace a soddisfare le necessità individuali, il più maneggevole, con un rapporto di costo/efficacia altissimo”.
Farmacocinetica e personalizzazione significa soprattutto anche risparmio?
“È un risparmio in tutti i sensi, sia di costi che di fori.
Al paziente interessa anche il tempo che impiega ad infondersi e quello che perde a ricostituire il tutto.
Garantirgli un’efficacia alta, riducendo le infusioni, riducendo il tempo di somministrazione e nello stesso tempo alla comunità, puoi evitare sprechi.
Il tutto però porta a richiedere didedicare maggior tempo da parte del medico al paziente”.
E voi medici, la maggior parte, non lo avete. E’ così?
“Ne abbiamo sempre di meno per le molteplici attività che siamo preposti a svolgere”.
E cosa può fare l’AICE in questo senso?
“Deve insistere sul riconoscimento
dei Centri per la cura di una malattia rara, complessa, della multidisciplinarità che la contradistingue.
è necessario avere tempo per vedere, parlare con il paziente ma anche con i colleghi del team perché vuol dire avere tempo di parlare con il laboratorista, il fisioterapista, l’ortopedico avere tempo di organizzare visite, incontri, di studiare la tipologia di vita, di lavoro che fa il tuo paziente ecc.
Siamo d’accordo che i pazienti sono pochi, però ogni paziente costa tanto e secondo me, se un medico ha tempo per potere studiare la migliore cura, il risparmio è inevitabile.
Io dico invece, e con me tutti i mieicolleghi, che se conosciamo bene il nostro paziente, vediamo crescere i nostri ragazzi, dobbiamo avere tempo per studiare la loro vita e questo tempo che noi spenderemo sarà a tutto beneficio sia della qualità della loro vita stessa ed anche e non è poco, nell’eliminare gli eventuali sprechi”.