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GLI ASPETTI QUOTIDIANI DELLA MEDICINA “DI GENERE”

Lo scorso 29 marzo si è svolto a Ferrara nella bella cornice della Sala Arengo con il patrocinio del comune un evento promosso dall’Università degli Studi della città, dal titolo: “Gli aspetti quotidiani della medicina di ‘genere’”.
La città estense ha l’unico ateneo in Italia ad avere un Centro Universitario di Studi di Medicina di Genere, di cui si parla ancora troppo poco e per questo l’evento è stato l’inizio di un percorso di informazione ai cittadini intervenuti numerosi.
I relatori hanno spaziato affrontando l’importanza preventiva degli screening con approccio sesso/genere, passando alla risposta ai vaccini del Covid 19, oggi così attuale, per arrivare alle malattie neurologiche legate al sesso.
La verità è che ancora si fa molta confusione su sesso percepito e sesso biologico, abbiamo bisogno di fare tanta chiarezza e molta informazione su vari livelli, con un linguaggio semplice ed efficacie così come hanno fatto i vari relatori in questo pomeriggio dedicato e che ci auguriamo sia presto replicabile, considerato il successo dell’evento e le domande fatte dai presenti.

L’articolo 3 della legge 3/2018, approvato in Conferenza Stato Regione, prevede l’attuazione del Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere (MdG) e che pone l’Italia paese all’avanguardia in tutta Europa in questo settore e nel 2019 è stato firmato il decreto.
Il “genere”, secondo la valutazione dell’OMS, si basa su parametri sociali dettati dal comportamento, azioni e ruoli attribuiti al sesso pertanto la “medicina di genere” studia in che modo le differenze biologiche -proprie del sesso- e quelle socio-economiche e culturali -proprie del genere- influenzino le persone nel loro stato di salute e malattia. Lo scopo è di produrre protocolli di ricerca pre-clinica e clinico- epidemiologica, in cui il sesso-genere saranno i determinanti, divulgando, informando e indicando le pratiche sanitarie che nella ricerca, prevenzione, diagnosi e cura tengano conto delle differenze di genere.
Un tavolo tecnico-scientifico, l’IRCCS, l’AIFA, l’AGENAS, collaboreranno al Piano predisposto dal Ministero della salute e dall’ ISS per intensificare le ricerche sul rischio di tumori occupazionali (inquinamento e cancro al seno), applicazione della medicina narrativa come strumento di anamnesi, la telemedicina, le malattie cardiovascolari nelle donne (con bassa consapevolezza di rischio da parte delle stesse), disturbi metabolici e malattie neurodegenerative e l’obesità.

Fine ultimo è garantire la migliore cura ad ogni persona con la consapevolezza delle differenze associate al genere e che danno vita ad un nuovo punto di vista sulla medicina.
Noi confidiamo che lo studio produca i risultati sperati perché siamo consapevoli che i vantaggi dovranno essere equamente distribuiti tra le persone che hanno perso lo stato di benessere e lo Stato che deve tutelare per legge la salute come fondamentale diritto della persona.


DIFFERENZE LEGATE AL SESSO IN MEDICINA DI LABORATORIO: IL CASO DEL LIQUIDO CEREBROSPINALE

Il liquido cerebrospinale (LCS) o semplicemente liquor, è un liquido biologico limpido, incolore, che permea il sistema nervoso centrale (SNC).

È prodotto principalmente nei plessi coroidei dei ventricoli cerebrali ed è in gran parte simile a un ultrafiltrato plasmatico in quanto la maggior parte delle proteine del LCS sono derivate dal plasma.

Il LCS svolge due importantissime funzioni: proteggere il cervello ed il midollo spinale dai traumi e mantenere la delicata omeostasi del SNC.
Una caratteristica del cervello umano è il suo dimorfismo sessuale.

Queste differenze riguardano la struttura e la funzione, e possono avere implicazioni cliniche negli individui sani così come in coloro che soffrono di disturbi neurologici. Da un punto di vista laboratoristico, è stato evidenziato di recente che il contenuto proteico del liquor presenta livelli più elevati negli uomini rispetto alle donne e la causa sembra essere una maggiore permeabilità della barriera emato-liquorale (BEL) alle proteine plasmatiche nei maschi.

Molte patologie neurologiche presentano una diversa distribuzione nei due sessi, con forti differenze per quanto riguarda l’età d’esordio, la severità e il decorso clinico.

Tra queste, la sclerosi multipla (SM): una malattia infiammatoria cronica, demielinizzante, di presunta natura autoimmune.

L’analisi del liquor, e in particolare la dimostrazione di una reazione infiammatoria caratterizzata dalla produzione di anticorpi dentro il SNC, la cosiddetta sintesi intratecale di IgG, è a tutt’oggi l’unico strumento laboratoristico a supporto della diagnosi di SM.

Alla luce delle differenze emerse tra i due sessi nell’esordio e nel decorso della SM, e osservati gli effetti del sesso sulla permeabilità della BEL e sul contenuto proteico liquorale, recentemente abbiamo investigato se questo dimorfismo potesse influenzare anche la determinazione della sintesi intratecale di IgG.

Sono stati analizzati retrospettivamente i dati di pazienti affetti da SM e con sindrome clinicamente isolata (CIS).
Le analisi di laboratorio erano state eseguite secondo buona prassi clinica a scopo diagnostico senza determinare nessun carico aggiuntivo per il paziente e per il sistema sanitario.

La routine liquorale prevedeva: la valutazione della funzionalità della BEL, con il calcolo del quoziente dell’albumina (QAlb); la determinazione della sintesi intratecale di IgG mediante l’uso di formule matematiche (approccio quantitativo) e attraverso la ricerca di bande oligoclonali IgG nel liquor (approccio qualitativo).

Nei pazienti SM i valori mediani di QAlb risultavano più elevati nei maschi rispetto alle femmine (5,6 Vs. 4,34). Analogamente, la percentuale di pazienti con un valore di QAlb superiore alle soglie di normalità risultava maggiore nei pazienti SM di sesso maschile rispetto alle femmine (33 Vs. 10%).

L’età, al momento del prelievo liquorale, correlava positivamente con il QAlb nei pazienti SM analizzati in toto e suddivisi per sesso, con un costante valore maggiore nei maschi rispetto alle femmine indipendentemente dall’età.

Questa correlazione era confermata anche nei soggetti con CIS analizzati nel loro insieme e nel solo sottogruppo maschile.

Non emergevano invece differenze statisticamente significative tra i due sessi per quanto riguarda la determinazione della sintesi intratecale di IgG sia con metodica quantitativa che qualitativa nei pazienti SM e CIS.

I nostri dati confermano quindi in pazienti SM e CIS l’esistenza di un dimorfismo sessuale del contenuto proteico liquorale dovuto ad una diversa funzionalità della BELvalutata tramite il QAlb.

Nell’era della medicina personalizzata è auspicabile la stesura di nuove linee guida per la diagnostica del LCS che tengano conto del sesso del paziente, per ridurre il rischio di sopravvalutare il danno di BEL nel sesso maschile, o, di contro, di sottovalutarlo in quello femminile.

Dott. Massimiliano Castellazzi
Ricercatore di Biochimica, Dip. Neuroscienze e Riabilitazione, Facoltà di Medicina, Farmacia e Prevenzione, Università degli studi di Ferrara


DIFFERENZE DI SESSO E GENERE NELLE MALATTIE AUTOIMMUNI

Le malattie autoimmuni sono patologie caratterizzate da aggressione da parte del sistema immunitario che attacca fino a distruggere tessuti sani del nostro organismo, riconoscendoli erroneamente come estranei.

Si tratta di oltre un centinaio di patologie a decorso cronico, con effetti debilitanti e che complessivamente colpiscono il 3-10% della popolazione.
Tra esse sono annoverate l’Artrite reumatoide, la Sclerosi multipla, la Sclerodermia, la Sindrome di Sjögren ed il Lupus eritematoso sistemico. Le malattie autoimmuni sono considerate patologie multifattoriali, cioè condizioni generate da una suscettibilità genetica di base che interseca una esposizione a fattori di rischio ambientale, ascrivibili questi ultimi ad aspetti nutrizionali, infettivi, farmacologici o ad inquinanti.

Le malattie autoimmuni sono tipicamente associate alla produzione di autoanticorpi e/o di cellule T autoimmuni. In condizioni normali specifici checkpoint molecolari rimuovono queste fonti di autoimmunità.
Anomalie in questa funzione determina perdita di immunotolleranza e porta all’aggressione dei tessuti.
Per le patologie autoimmuni sono disponibili trattamenti farmacologici, che consentono di controllare la malattia, ma non di curarla.
Peculiarità di molte malattie autoimmuni è che in media nel 75% colpiscono le donne.
In alcune il divario tra donne e uomini si apre ulteriormente, arrivando a 10:1 nel Lupus eritematoso sistemico e quasi a 20:1 nella Sindrome di Sjögren.
Le differenze di incidenza tra uomini e donne si rilevano in tutte le popolazioni umane, lasciando intendere che hanno una base connaturata all’eziologia della patologia.

Comprendere le cause di queste differenze di incidenza tra uomini e donne ha particolare valore in quanto può orientarci verso la comprensione delle basi molecolari di queste patologie e indirizzarci verso lo sviluppo di trattamenti più efficaci ed innovativi.
Al momento sono state proposte almeno quattro diverse ipotesi per spiegare queste differenze, focalizzando elettivamente su differenze di genere, ormonali, genetiche e legate alla gravidanza.
Il genere condiziona significativamente l’esposizione a fattori di rischio ambientale: uomini e donne effettivamente tendono ad interagire con inquinanti ambientali, radiazione solare e alimenti con intensità e qualità diversa, e questa differenza potrebbe indurre effetti diversi a livello endocrino e in ultimo predisporre le donne ad un maggiore rischio di autoimmunità.

Una seconda ipotesi considera che gli ormoni sessuali giocano un ruolo nell’immunità, e che gli uomini generalmente hanno una risposta immunitaria minore rispetto alle donne. Questo, se da un lato espone gli uomini ad un maggior rischio di patologie infettive, dall’altro espone le donne ad un maggior rischio di una reazione immune esagerata e ad una maggior propensione sviluppare autoimmunità.
Una ipotesi ormone-indipendente fa perno sulle differenze cromosomiche che ci sono tra femmine e maschi, e quindi sulla presenza di due cromosomi X nelle femmine, e di un cromosoma X ed un cromosoma Y nei maschi.
Per compensare il dosaggio dei geni sull’X nelle femmine uno dei due cromosomi rimane prevalentemente inattivo, con però un 25% dei geni che sfugge questa inattivazione.
Il cromosoma X è particolarmente ricco di geni dell’immunità, per cui si ipotizza che la presenza di due cromosomi X possa costituire un elemento favorevole per lo sviluppo di autoimmunità.
Questo concetto trova supporto nell’evidenza che soggetti maschi con tre cromosomi sessuali, due X e un Y, affetti da sindrome di Klinefelter, e che quindi hanno due X come le femmine, manifestano effettivamente una aumentata suscettibilità a sviluppare patologie autoimmuni.

Questa ipotesi, che considera un ruolo del cromosoma X nell’autoimmunità, trova sostegno anche dal ritrovamento di alterazioni dell’inattivazione del cromosoma X in cellule ematiche di pazienti affetti da patologie autoimmuni.
Una quarta ipotesi riguarda la gravidanza ed in particolare la storia ostetrica della donna.
Nelle donne che hanno avuto una o più gravidanze si osserva la presenza e persistenza di cellule fetali.
Queste sono particolarmente riconoscibili quando provengono da feti maschili. Il fenomeno è fisiologico, viene definito microchimerismo fetale, ed è originato dal traffico di cellule che nel corso della gravidanza si stabilisce tra feto e madre ed al possibile mantenimento di queste cellule fetali nel corpo della donna anche dopo il termine della gravidanza e negli anni successivi.

Di particolare rilevanza è l’evidenza che nelle donne affette da patologie autoimmuni viene osservata la presenza di microchimersimo fetale negli specifici distretti anatomici interessati dalla malattia.
Infatti si ritrovano cellule fetali nella tiroide di donne affette da Tiroidite autoimmune, nelle articolazioni in donne con Artrite reumatoide e nelle ghiandole salivari e lacrimali nella Sindrome di Sindrome di Sjögren. La coincidenza delle sedi di reperimento delle cellule microchimeriche fetali con i distretti anatomici dove si manifestano le patologie autoimmuni solleva l’ipotesi che le cellule microchimeriche fetali possano avere un ruolo causale, ruolo che necessariamente può manifestarsi solo nelle donne con una storia ostetrica positiva.

Il ruolo delle cellule microchimeriche fetali nell’autoimmunità non è chiaro: si ipotizza che quest’ultima possa generarsi come effetto collaterale da fenomeni di conflittualità tra cellule microchimeriche provenienti da feti diversi. L’ipotesi dell’esistenza di un ruolo del microchimerismo fetale nella patogenesi delle malattie autoimmuni potrebbe spiegare il divario di incidenza tra donne e uomini, e ricondurre l’eccesso di donne alla presenza tra queste di soggetti con storia ostetrica positiva e persistenza di cellule fetali.

Le attuali evidenze scientifiche, nel complesso, convergono ad indicare la gravidanza come il principale fattore alla base della più elevata incidenza di malattie autoimmuni nelle donne. L’identificazione delle componenti molecolari alla base di queste differenze potrebbe condurre allo sviluppo di potenziali nuove ed innovative misure di prevenzione e cura.

Prof. Michele Rubini
Associato di Genetica medica, Dip. Neuroscienze e Riabilitazione, Facoltà di Medicina, Farmacia e Prevenzione, Università degli studi di Ferrara


POSSIBILI GENI COINVOLTI NELLA RISPOSTA INDIVIDUALE AI VACCINI: IL RUOLO DEL SESSO

Qualità e durata della risposta immunitaria scatenata dal vaccino anti-SARS-CoV-2 (o dal virus stesso) per contrastare il Covid-19, sembrano essere legate ad alcuni geni chiave e a selezionate varianti geniche presenti nella popolazione in maniera sesso specifica.
E’ quanto emerge da uno studio condotto dal team del Professor Donato Gemmati e della Prof.ssa Veronica Tisato del Dipartimento di Medicina Traslazionale dell’Università di Ferrara.

Nell’ambito del progetto internazionale Host Genetics Initiative (HGI), creato per combattere la pandemia da COVID-19 ed indirizzato ad identificare ed attuare ricerche traslazionali sulla suscettibilità e la prognosi da infezione SARS-CoV-2, un gruppo dell’Università di Ferrara ha svolto una ricerca sulla risposta anticorpale al vaccino anti-SARS-CoV-2 con approccio di medicina di genere.

“Questo risultato si aggiunge alle ricerche su Covid-19 pubblicate del nostro gruppo. I geni individuati (TP53, ABO, APOE, ACE2, HLA-A, CRP) e una loro profonda caratterizzazione genomica, potrebbero essere estremamente utili per predire lo sviluppo di una risposta anticorpale al vaccino o al virus definibile weak (debole) o strong (forte) e/o short- o long-lasting (breve o lunga durata), nell’ambito di differenti popolazioni ed etnie” sottolinea il Professor Gemmati.

Oltre a questi geni, nello studio abbiamo individuato anche altri geni e aplotipi (associazioni di varianti geniche) informativi che stiamo ulteriormente investigando in casistiche di pazienti COVID-19 in collaborazione con i colleghi dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Ferrara.

Il risultato è stato ottenuto anche grazie alla disponibilità del personale del Centro Emostasi e Trombosi UNIFe e altro personale UniFe e Azienda Ospedaliera di Ferrara”, che si sono prestati al prelievo di sangue e analisi genetica dopo doppia dose di vaccino anti-Sars-CoV-2 per la valutazione dei livelli e della dinamica di anticorpi circolanti anti-spike IgG e neutralizzanti.

“Il reclutamento ha coinvolto 230 persone (circa 50% rapporto maschi/femmine) di cui 195 selezionate per lo studio (tutte vaccinate con doppia dose Pfizer o AstraZeneca), è durato circa 12 mesi e l’intervallo di valutazione della risposta anticorpale post-vaccino è stato di circa sei mesi. Una analisi stratificata per sesso ed età ha inoltre attribuito alle femmine una risposta anticorpale al vaccino leggermente superiore particolarmente se valutata nei primi 90 giorni del follow-up (tempo-T1 nel lavoro pubblicato). Questo è stato valutato sia in termini di livelli totali di anticorpi circolanti IgG che di specifici anticorpi neutralizzanti contro la spike protein del virus per entrambi i vaccini anche se AstraZeneca mostrava livelli di anticorpi circolanti significativamente inferiori a Pfizer senza influire sulla protezione da COVID-19” continua il Professor Gemmati.

La ricerca sarà inoltre parte integrante di una tesi di dottorato in Medicina Molecolare nel prossimo luglio 2023 con tematica “Basi genetiche della risposta individuale al vaccino anti-SARS-CoV-2: Studio UniFe-AzOspFe” dal titolo “Exploiting Host Genetics and sex Differences to Predict Immune Response after Sars-Cov-2 Vaccination” (dottoranda dr.ssa Giovanna Longo).

Lo studio genetico intitolato ‘Host Genetics impact on SARS-CoV-2 vaccine-induced immunoglobulin levels and dynamics: The role of TP53, ABO, APOE, ACE2, HLA-A, and CRP genes’ è stato pubblicato il 30 novembre 2022 su Frontiers in Genetics

doi.org/10.3389/fgne.2022.1028081
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fgene.2022.1028081/full

Prof. Donato Gemmati
Ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica, Dip. Medicina Traslazionale e per la Romagna, Direttore del Centro di Ricerca Emostasi e Trombosi, Facoltà di Medicina, Farmacia e Prevenzione, Università degli studi di Ferrara


LE DIFFERENZE DI SESSO NEI BIOMARCATORI DI MALATTIA: UNA RIVOLUZIONE CULTURALE

Le differenze tra i sessi influiscono su diversi aspetti della vita umana, dallo sviluppo alla costruzione del comportamento. Tuttavia, tali differenze sono anche in grado di influenzare lo stato di salute e la malattia degli individui, impattando sulla ricerca biomedica e sull’assistenza sanitaria. A riprova di ciò, basti pensare alla diversità che esiste nella manifestazione sintomatologica di alcune patologie come l’infarto del miocardio: mentre negli uomini il dolore al torace retro-sternale è frequente, nelle donne risulta meno comune. Oltre alla manifestazione sintomatologica, le differenze di sesso si rispecchiano anche nella prevalenza di alcune patologie. Per esempio, le malattie cardiovascolari (MCV), del tratto respiratorio e digerente sono più frequenti nell’uomo che nella donna, mentre per contro le malattie che interessano il sistema endocrino ed immunitario, dell’apparato muscoloscheletrico e del tratto orale sono più frequenti nelle donne. Questa disparità tra i sessi si ritrova anche in diversi biomarcatori circolanti. La nostra esperienza di ricerca si è concentrata sullo studio di diversi biomarcatori di MCV e malattie neurologiche (MN), evidenziando come un approccio sesso-specifico sia essenziale:
1) per rivelare i motivi che sottendono alle differenze di sesso osservate;
2) per poter identificare soggetti a maggior rischio di sviluppare MCV o MN.
In particolare, ci siamo focalizzati sullo studio delle differenze di sesso nella paraoxonasi-1 (PON-1), beta-secretasi 1 (BACE1) e nelle metalloproteasi di matrice (MMPs), tutti enzimi coinvolti a vario titolo in MCV e MN.
La PON-1 è un enzima antiossidante presente in circolo associato alle lipoproteine ad alta densità (HDL), che svolge una funzione ateroprotettiva attraverso la detossificazione dei perossidi lipidici e dell’omocisteina tiolattone, composti che si generano in presenza di stress ossidativo. Numerose evidenze hanno osservato che una bassa attività di PON-1 è associata ad un aumentato rischio di MCV. Nei nostri studi, abbiamo osservato che le donne possiedono un’attività di PON-1 maggiore rispetto agli uomini, indipendentemente da fattori confondenti come età, fumo, e variabili antropometriche.
Questa differenza, tuttavia, non sembra dovuta ad un effetto ormonale: infatti, confrontando uomini e donne, di comparabile età, ancora in età fertile (<45 anni) ed in menopausa (>55 anni), le diversità permangono.
La BACE1 è un enzima che interviene nella produzione del peptide beta-Amiloide, uno dei principali responsabili della formazione delle placche amiloidi collegate all’insorgenza della malattia di Alzheimer. Studi precedenti hanno dimostrato che i pazienti affetti da Alzheimer possiedono livelli circolanti di BACE1 maggiori rispetto ai soggetti sani. Studiando le differenze di sesso in questo biomarcatore, abbiamo osservato che le donne possiedono una quantità circolante di questo enzima maggiore rispetto agli uomini, indipendentemente da fattori confondenti. Inoltre, abbiamo identificato una categoria di soggetti, donne con un’età superiore ai 70 anni, con livelli maggiori di BACE1 che potrebbe esporli a maggior rischio di sviluppare la malattia. Bisogna ricordare che la malattia di Alzheimer è una delle principali patologie neurologiche causa di mortalità in Italia, con una maggiore prevalenza nelle donne.
Infine, abbiamo concentrato la nostra attenzione sulle MMPs, enzimi coinvolti nel rimodellamento della matrice extracellulare sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Il coinvolgimento di questi enzimi risulta particolarmente evidente sia nelle MCV che nelle MN, dove una loro sovra espressione è generalmente considerata dannosa, partecipando al processo patogenetico. Osservando gli studi riportati in letteratura, la maggior parte dei dati non risultano disaggregati per sesso: diventa, perciò, evidente come la mancanza di queste informazioni limiti la possibilità dei ricercatori di identificare nuovi potenziali meccanismi patogenetici responsabili delle differenze di sesso. Nonostante questa limitazione, siamo riusciti ad osservare che gli uomini sono caratterizzati da livelli di MMPs generalmente superiori rispetto alle donne in MCV come aneurisma, infarto del miocardio e malattia coronarica. In questi casi, il profilo sfavorevole di MMPs è anche associato ad una prognosi peggiore della malattia. Per contro, le donne possiedono un profilo sfavorevole di MMPs nelle MN maggiormente frequenti in questo sesso, quindi malattia di Alzheimer e sclerosi multipla, associato anche in questi casi ad una gravità maggiore della malattia. Questi dati suggeriscono, quindi, che ci possano essere dei meccanismi di malattia differenziati in base al sesso.
Dagli esempi riportati finora, provenienti dalla nostra esperienza di ricerca, risulta quindi evidente come sia essenziale effettuare in ogni studio una analisi dei dati disaggregati per sesso. Infatti, la mancanza dello studio delle differenze di sesso nei biomarcatori può danneggiare sia gli uomini che le donne, impedendo:
1) l’identificazione di soglie patologiche differenziate per sesso;
2) la determinazione di nuovi meccanismi patogenetici diversi nei sessi, che potrebbero rappresentare anche possibili target terapeutici.

Dobbiamo ricordare, infatti, che il sesso ed il genere rappresentano le fondamenta della medicina personalizzata, e le differenze osservate dovrebbero aiutare nella promozione dell’equità della salute.

Dott. Alessandro Trentini, Dott.ssa Maria Cristina Manfrinato, Prof.ssa Tiziana Bellini – Università degli Studi di Ferrara


L’IMPORTANZA DEGLI SCREENING PER LA PREVENZIONE CON UN APPROCCIO SESSO/GENERE

Lo Screening è un programma organizzato di Sanità Pubblica che si rivolge ad una ben definita popolazione, considerata a particolare rischio per età o per altre caratteristiche, alla quale è attivamente offerto un test di Screening di facile esecuzione, innocuo, ripetibile, facilmente accettabile, al fine di selezionare un sottogruppo di popolazione positivo al test da sottoporre ad ulteriori indagini diagnostiche.

Ciò può consentire di cogliere una malattia pre-tumorale o tumorale nelle sue prime fasi di sviluppo, in modo da garantire un tempestivo intervento terapeutico.
Un intervento precoce, che sarà limitato e conservativo, consentirà la risoluzione della patologia e aumenterà le probabilità di guarigione completa.

Gli Screening sono offerti sul territorio in maniera capillare data la densità e la vastità del territorio e la rarefazione e dispersione della popolazione residente, soprattutto nelle aree del delta.
– Screening di prevenzione dei tumori del collo dell’utero; 9 Consultori distribuiti sul territorio dove effettuare il test di I° livello e 4 sedi di colposcopia dove effettuare gli approfondimenti necessari.

Lo Screening del collo dell’utero è attivo dal 1996 (100.000 donne) e prevede il Pap test ogni 3 anni per le donne in fascia di età 25-29 anni e l’ HPV test ogni 5 anni per le donne in fascia di età 30-64 anni, nel 2022 ha avuto un’adesione del 73%.
– Screening per la diagnosi precoce dei tumori della mammella; 7 Centri di Senologia distribuiti sul territorio dove effettuare il test di I° livello e 1 chirurgia dove effettuare gli approfondimenti necessari.

Lo Screening per la diagnosi precoce dei tumori della mammella è attivo dal 1997 (90°000 donne) e prevede una mammografia annuale per le donne in fascia di età 45-49 anni e una mammografia biennale per le donne in fascia di età 50-74 anni, nel 2022 ha avuto un’adesione del 101%.
Nel 2012 è stato introdotto il Protocollo per “l’individuazione e sorveglianza delle donne ad alto rischio di carcinoma mammario e ovarico eredo-familiare”, che stratifica la popolazione in 3 profili di rischio;
– profilo di rischio 1, rischio assimilabile la popolazione generale 45-74 anni;
– profilo di rischio 2, rischio raddoppiato rispetto la popolazione ed è previsto l’anticipo della chiamata ad effettuale la mammografia a 40 anni;
– profilo di rischio 3, LT risk > 30% e BRCA1/2 positive e/o profilo di rischio 3, LT < 30%, per i quali è prevista una sorveglianza clinico-strumentale personalizzata in base alla fascia di età (visita senologica, ecografia mammaria semestrale, RM mammella annuale).
Nel periodo dal 2012 al 2022 sono state valutate presso il Centro Spoke del Centro Screening di Ferrara 1309 donne di cui:
– 318 riconducibili al profilo di rischio 1;
– 378 riconducibili al profilo di rischio 2;
– 384 riconducibili al profilo di rischio 3;
– 99 con mutazione accertata per i geni BRAC1/2

– Screening di prevenzione dei tumori del colon-retto; 138 Farmacie pubbliche e private dove è possibile ritirare il kit per eseguire il FIT, 24 Centri di raccolta dove depositare il campione, 1 Laboratorio Unico Provinciale dove viene processato il campione, 4 Endoscopie digestive e 3 Radiologie per l’esecuzione degli esami di approfondimento diagnostico e 3 chirurgie per l’esecuzione degli interventi chirurgici.

Lo Screening per la diagnosi precoce dei tumori del colon-retto è attivo dal 2005 (100°000 tra donne e uomini) e prevede la ricerca del sangue occulto fecale in fascia di età 50-69 anni, nel 2022 ha avuto un’adesione del 53%.
Nella Provincia di Ferrara si può notare un tasso di incidenza 2016-18 (tx st EU27 x 100.000) del 83.8% con 177 negli uomini e del 52.8% con 149 casi nella donne.
Si può notare, anche, un tasso di mortalità 2016-18 (tx st EU27 x 100.000) del 34.2% con 73 negli uomini e del 23.4% con 70 casi nella donne.
Numerosi studi di valutazione di impatto hanno dimostrato l’importanza dello Screening confrontando il numero di casi di cancri colorettali in presenza e in assenza del protocollo di Screening ed emerge che dal 2005 (anno in cui è stato introdotto in Italia lo Screening per il colon-retto), si vede un’impennata dei casi che decresce poi significativamente negli anni successivi, con un totale di casi prevenuti dal 2005 al 2016 di 800. (“How a faecal immunochemical test screening programme changes annual colorectal cancer incidence rates: an Italian intention-to-screen study”, British Journal of Cancer 20-04-2022)

Da uno studio Regionale di valutazione di impatto di casistica per sede emerge che nel colon distale, nel retto ma anche nel colon prossimale lo Screening ha effetto, sia nella popolazione maschile che in quella femminile, perché si nota una diminuzione delle diagnosi di cancro, contrapposta alla previsione di aumento esponenziale senza l’effetto dello Screening. (Courtesy Dr. L. Bucchi et Al. IRST-IRCCS Meldola (FC))

Inoltre, l’efficacia del programma di Screening è sottolineata dalla dimostrazione che al progredire dei round di Screening aumenta il numero di lesioni diagnosticate ad uno stadio precoce (pT1) rispetto a quelle avanzate.
Dal 2004 al 2013 si è registrato un notevole aumento dei casi diagnosticati in stadio I e II e una diminuzione in stadio IV e NAS. (Courtesy Dr. L. Bucchi et Al. IRST- IRCCS Meldola (FC)).

Si sottolinea che prevenzione e terapia agiscono in ugual modo sulla sopravvivenza alla diagnosi in maschi e femmine e che non è presente alcuna differenza per stato socioeconomico sempre per quanto riguarda la sopravvivenza successiva alla diagnosi.

Dott.ssa Caterina Palmonari,
Direttrice del Distretto Ovest della Azienda Usl di Ferrara, Responsabile UO Dipartimentale “Screening Oncologici, Epidemiologia e Promozione della Salute” Azienda Usl di Ferrara

Si ringraziano Roche S.p.A. e
CSL Behring S.p.A. per il loro contributo incondizionato alla realizzazione del ChatBot.