Le notizie in primo piano, per quanto riguarda l’emofilia nel nostro Paese, sono incentrate quasi esclusivamente sui nuovi farmaci e sulla terapia genica.
Ma sappiamo che c’è un consistente numero di persone con emofilia che si sta sottoponendo al trattamento contro l’HIV.
Per fare il punto sulla situazione abbiamo intervistato uno dei medici che hanno fatto la storia della cura di questa patologia, il prof. Alessandro Gringeri.
Il prof. Alessandro Gringeri può vantare non solo una lunga esperienza iniziata in uno Centri di eccellenza in Italia per la cura dell’emofilia: il Centro per l’Emofilia e Trombosi “Angelo Bianchi Bonomi”, ma anche una lunga attività di ricerca nel campo della stessa che gli è valsa il riconoscimento di importanti sperimentazioni cliniche internazionali.
La sua ricerca in collaborazione con le controparti dei paesi in via di sviluppo contribuisce a favorire il progresso e la qualità dell’assistenza ai pazienti emofilici nei paesi meno privilegiati.
Le sue numerose pubblicazioni e la sua attività con le associazioni delle persone con emofilia non solo come clinico ma anche come portavoce delle problematiche dei pazienti a livello “politico” nazionale, dimostrano il suo impegno nei confronti della comunità.
È membro attivo del Medical Advisory Group dell’European Haemophilia Consortium e della Federazione Italiana delle Associazioni per l’Emofilia (FedEMo).
È stato un collaboratore fisso del nostro giornale ed oggi collabora con l’AICE per il sito web ed è nel gruppo di lavoro sulla terapia genica.
È il Senior Medical Advisor di Fondazione Charta di Milano (www.fondazionecharta.org per maggiori informazioni) e responsabile della branca di Ematologia del Centro di Sanità Solidale di Lucca (Home – Centro Sanità Solidale (amicidelcuoredilucca.it)), oltre che collaborare con un gruppo di ricerca franco-americano su un vaccino anti-HIV.
Alessandro, possiamo fare il punto sull’infezione da HIV nelle persone affette da coagulopatie congenite in Italia?
“Certamente. Nella rilevazione del 2017 del Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite dell’Istituto Superiore di Sanità risultano un totale di 246 pazienti con infezione da HIV, quasi tutte persone con emofilia A o B, di età compresa tra 41 e 60 anni. Non sono state effettuate rilevazioni successive”.
Come giudichi questo numero?
“Molto alto e molto basso, purtroppo. Molto alto perché rappresenta una grave infezione cronica di cui quasi 250 persone sono portatori da ormai 40 anni!
Molto basso in quanto originariamente le persone con emofilia infettate da HIV erano 820: il 70% non sono sopravvissute!”.
Possiamo attribuire queste lunghe sopravvivenze ai farmaci antiretrovirali?
“Certamente sì, oltre però alla risposta immunitaria dei singoli pazienti.
Infatti, sebbene la stragrande maggioranza delle persone con emofilia si sia infettata tra il 1980 e il 1985, alcuni pazienti hanno purtroppo sviluppato la malattia conclamata quasi subito e non hanno potuto beneficiare dei nuovi farmaci, disponibili dal 1994, mentre altri sono rimasti per lungo tempo asintomatici e hanno cominciato ad assumere la terapia antivirale quando stavano ancora bene”.
Qual è l’attuale terapia farmacologica dell’infezione da HIV?
“Si basa su un ampio numero di farmaci sviluppati nel tempo.
I farmaci anti-HIV sono classificabili come suggerisce l’ISS in:
• inibitori della trascrittasi inversa di HIV, cioè l’enzima che trascrive l’RNA virale in DNA. Sono suddivisi in inibitori nucleosidici/nucleotidici (analoghi dei costituenti dell’RNA e del DNA), inibitori non nucleosidici.
• inibitori della proteasi: sono farmaci che inibiscono un enzima che ha il compito di “digerire” le proteine virali prodotte e di attivarle
• inibitori dell’integrasi, cioè l’enzima virale che provvede all’integrazione del genoma virale all’interno del DNA della cellula ospite
• inibitori del legame, la fusione e l’entrata del virus: sono un gruppo di farmaci che impediscono il legame fra il virus e i suoi recettori (una specie di ancoraggi) sulla membrana delle cellule, la fusione del virus con la cellula, o il suo ingresso nella cellula anche se già legato ai recettori di membrana”.
Qual è l’efficacia di questi farmaci?
“La terapia antiretrovirale è in grado di bloccare la moltiplicazione del virus in maniera efficace e duratura e quindi la carica virale nel plasma, riducendo il rischio di trasmissione di HIV fra partner per via sessuale ed il rischio di trasmissione da madre a neonato durante la gravidanza e il parto (trasmissione verticale di HIV). Affinché la terapia antiretrovirale (anti-HIV) sia efficace, è quindi necessario ottenere che l’HIV non sia più rilevabile nel sangue.
Tale obiettivo è raggiungibile solo se si impiegano insieme più antiretrovirali.
La disponibilità di farmaci con diversi meccanismi d’azione riescono ad aggirare potenziali resistenze ad alcuni farmaci che pre-esistono o che possono svilupparsi durante la terapia.
Purtroppo, i farmaci antiretrovirali non sono in grado di eliminare l’HIV dall’organismo perché rimane in permanenza presente nelle cellule già infette.
Pertanto, una volta iniziata, la terapia deve proseguire per sempre, e non essere mai interrotta”.
Qual è il futuro della terapia antivirale?
“La terapia antiretrovirale si è enormemente sviluppata da quando il primo farmaco, l’AZT, è stato messo in commercio.
Sono oggi disponibili formulazioni semplici con cui è possibile assumere tutta la combinazione di più farmaci in una singola somministrazione al giorno, anche come unica compressa da assumere.
Inoltre, mentre finora l’unica possibilità era assumere quotidianamente la terapia per via orale, sono ora disponibili combinazioni di farmaci per iniezione intramuscolare che possono essere somministrate ogni mese o ogni due mesi.
Sono in studio altri farmaci che possono essere iniettati ogni quattro mesi.
Queste preparazioni sono pensate per chi non può o non riesce ad assumere la terapia orale con regolarità, senza interruzioni”.
Hai detto che la terapia antiretrovirale deve essere assunta per sempre. Non c’è niente all’orizzonte che possa curare l‘infezione?
“Purtroppo, come detto il virus grazie ai farmaci antiretrovirali sparisce dal sangue, ma rimane all’interno delle cellule già infettate.
Occorre indurre una risposta immunitaria contro il virus che lo possa sterilizzare.
I vaccini possono in teoria fare questo, ma sfortunatamente L’HIV ucciso non induce la produzione di anticorpi neutralizzanti e pure uno vivo attenuato potrebbe essere oltre che pericoloso inefficace.
Inoltre, la maggior parte dei vaccini proteggono contro la malattia, non contro l’infezione, come il vaccino anti-Covid; l’infezione da HIV fortunatamente rimane asintomatica (cioè senza la malattia conclamata, l’AIDS) per anni grazie ai farmaci”.
Quindi nessuna speranza in un vaccino curativo?
“La ricerca non si è fermata.
Per avere una risposta vaccinale efficace, questi vaccini devono saper indurre non solo la produzione di anticorpi neutralizzanti, ma anche l’induzione di linfociti chiamati T citotossici (una sorte di killer) che siano in grado di uccidere le cellule infettate dall’HIV.
Sono attualmente in sperimentazioni diversi vaccini che utilizzano per esempio un adenovirus, il canarypox virus o la Salmonella indeboliti (quindi che non danno malattia) che fungono da vettori (trasportatori) di DNA ricombinante o mRNA in grado produrre alcune proteine dell’HIV (come nef, pol, gag o tat). La risposta immunitaria contro il virus vettore indurrebbe la produzione di anticorpi contro le proteine dell’HIV trasportate, essenziali per la replicazione del virus. Inoltre, dovrebbero essere in grado di indurre lo sviluppo di linfociti citotossici.
Finora i risultati non sono stati molto promettenti, ma molti studi sono ancora in corso”.