articoli

INTERVISTA AL PROF. FRANCESCO BERNARDI

Nel febbraio 2020, la nostra associazione ha partecipato a Ferrara ad un convegno organizzato dal Lions Club International dal titolo:
“Le malattie emorragiche congenite”e tra i diversi temi svolti appunto la malattia di Von Willebrand, su cui relazionò il Prof. Francesco Bernardi, ex Direttore del Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare dell’università di Ferrara.
Uno degli ultimi lavori a cui ha collaborato il prof. Francesco Bernardi, è stato il documento pubblicato da AICE (la Associazione italiana dei Centri emofilia) nel 2020 nel quale ha avuto il ruolo di coordinatore assieme al dott. Giancarlo Castaman, redatto poi dal Gruppo di Lavoro ‘Genetica’, presieduto da Angiola Rocino, Presidente Reggente dell’AICE, dal titolo:
“Dalla diagnosi di portatrice di emofilia alla diagnosi prenatale e alla diagnosi pre-impianto”.
Citiamo anche nelle note a fine intervista un documento che il prof. Bernardi ha definito:
“un lavoro del nostro gruppo in uscita su una prestigiosissima rivista americana, con risvolti importanti tra “predizione informatica ed attività di laboratorio per predire la gravità delle mutazioni nell’emofilia A” *

Abbiamo deciso di impostare l’intervista in modo tale da evidenziare lo spirito e la personalità dell’illustre ospite.


Prof. Bernardi, abbiamo voluto fortemente questa intervista perché avvertiamo una crisi evidente, non solo nella nostra realtà, molto disomogenea, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e le chiediamo se anche lei la percepisce nella sua comunità.
Inoltre dalla mole delle sue pubblicazioni, colpisce la caratteristica della sua ferraresità ed internazionalità.
Come riesce quindi a conciliare la ricerca a Ferrara, polo riconosciuto di eccellenza e quella che svolge all’estero?
Abbiamo l’impressione che al lavoro svolto da voi non venga dato il giusto risalto e questo sempre secondo noi non pare corretto.
Così abbiamo deciso, dopo aver partecipato all’incontro del 22 febbraio, di illustrare ciò che fate, sia nel campo della ricerca che in quello medico.

“La ricerca che si fa a Ferrara è di un livello simile a quella che si fa in molte altre parti del mondo.
Certamente la nostra ricerca si può valutare attraverso le pubblicazioni e le collaborazioni a livello internazionale.
Per l’argomento specifico di cui parleremo oggi e cioè l’emofilia, abbiamo una lunga tradizione sia di competenze di biologia molecolare che di collaborazioni a livello medico e clinico per altre malattie emorragiche congenite, inclusa la malattia di von Willebrand.
C’è una considerazione da fare sulla visibilità dei nostri ricercatori per la loro ricerca, relativa alla comunicazione.
È visibile ciò che è comunicato bene, e comunicare bene la scienza o il risultato della scienza è molto complesso.
L’angolo con cui la guardi da profano può essere molto deformato dalla prossimità, che può amplificare qualche aspetto a sfavore di altri. Questo capita frequentemente, e per il non addetto è difficile valutare l’impatto e il valore di quello che viene ottenuto.
L’originalità è forse il punto più difficile da comunicare con oggettività.
La selezione per qualità viene fatta a livello internazionale con criteri che sono incomprensibili alla persona che è lontana dalla valutazione della scienza, mentre la comunicazione divulgativa, che si trova ora riverberata sui social (con qualche problema), è facilmente distorta da elementi che non sono propri della scienza, anche se includono tanti aspetti importanti non visibili all’interno del lavoro scientifico. Viene usata un’interfaccia diversa da quella che la ricerca usa per valutare se stessa, il suo livello, la sua importanza, la sua innovatività”.

La percezione dei pazienti e delle persone che si impegnano nel volontariato e che quindi vivono lontano dal mondo della scienza, è di vedere i ricercatori un po’ come topi da laboratorio, nel senso buono del termine, che in certe occasioni ci informano sui loro studi, le ricerche, spesso attraverso un linguaggio non sempre comprensibile, ma dopo lo svolgimento del convegno a Ferrara di cui abbiamo accennato all’inizio, speriamo diventi occasione di un percorso nuovo.
Lei ritiene ad esempio che la collaborazione con le associazioni di volontariato possa diventare una costante efficace?

“I rapporti e l’informazione possono essere senz’altro mantenuti in un modo più intenso e continuo.
Quanto al fatto che possano essere importanti questi rapporti sono assolutamente d’accordo, il ricercatore deve sforzarsi di comunicare al meglio.
Devo però dire che una grossa parte dei risultati della ricerca, magari con una bella accoglienza internazionale, non tocca immediatamente la vita dei pazienti, delle associazioni. Magari passano molti anni prima di valutarne l’effettiva importanza applicativa.
Faccio un esempio partendo dal 1984, quando a Ferrara eravamo in grado di compiere diagnosi certa di portatrice di emofilia a livello di DNA, ed in Italia non c’era nessuno che ancora la poteva fare.
Ci siamo trovati in una situazione spiacevole, in cui questa attività di diagnostica in realtà non era applicabile ai pazienti ed alle loro famiglie, perché non c’era nessun finanziamento a supporto nel nostro laboratorio.
C’erano finanziamenti per poter fare ricerche diverse, ma per estendere quella linea di ricerca applicandola in quegli anni non avevamo nessun finanziamento.
Non è dipeso dalla buona volontà di nessuno, ma da un Paese che aveva difficoltà a portare nella pratica le ottime cose che venivano prodotte dalla ricerca.
Questo è un limite che si è ripetuto diverse volte e che potrebbe manifestarsi anche oggi.
Riguardo alla capacità di personalizzare l’approccio terapeutico della terapia sostitutiva, ci sono informazioni recenti che sempre più mostrano condizioni anche genetiche che vanno in qualche modo a modificare il decadimento dei fattori infusi.
Questi sono aspetti di grande interesse perché possono comportare per qualche paziente un’infusione più frequente, per metterlo in sicurezza, e per altri pazienti infusioni meno frequenti, a parità della stessa concentrazione di fattore.
Questi risultati dal momento in cui vanno dalla fase di ricerca (e noi stiamo conducendo ricerca in questo senso) ad una fase applicata, scontano un problema di “cinghia di trasmissione”.
Ed è proprio qui che secondo me il rapporto con le associazioni diventa fondamentale, perché nella fase in cui la ricerca può essere applicata, le associazioni possono avere un ruolo privilegiato.
Allo stesso tempo, per la ricerca di base il paese deve prendersi le proprie responsabilità, ovvero stanziare le risorse adeguate”.

Il ricercatore o lo scienziato spesso è autoreferenziale, nel senso che comunica in un ambiente chiuso, ristretto e la divulgazione risulta complessa, perché le persone non sono abituate ad ascoltare parole complicate, ad immaginare qualcosa che si realizzerà dopo 10-15 anni, quindi la scienza dovrebbe aprirsi in qualche modo, e non rimanere chiusa in un ghetto?

“Spendo una parola in difesa del ricercatore che spesso sviluppa un linguaggio super specializzato che serve a lui per comunicare con altre persone che si occupano degli stessi argomenti.
È un valore aggiunto perché permette una comunicazione molto efficiente e produttiva, che potenzia la ricerca.
Lo stesso linguaggio diventa chiaramente una barriera nel momento in cui si vada a comunicare con persone che non lo possiedono.
Come farlo?
Serve un’iniziativa mirata, che è uno sforzo importante per i ricercatori che dovrebbero curare una forma di informazione strutturata, rivolta alla società in generale e specialmente ai portatori di interesse.
Sono convinto che si debbano inserire figure dedicate.
Ogni gruppo di ricerca dovrebbe avvalersi di un comunicatore e nei corsi di specializzazione universitari dovrebbe essere incluso un corso dedicato alla comunicazione della scienza”.

Sulle carenze congenite congenite di fattore XI, molto rare, si trovano poche pubblicazioni, ricordiamo quelle del 1993 su Thrombosis and Hemostasis, sulla carenza congenita degli ebrei eschenaziti.
Può indicarci se i casi in Italia, sono geneticamente simili o hanno diversa origine?
E quanto giocano le mutazioni del fattore IX sulla farmacocinetica in una prospettiva di sviluppo dei ricombinanti in questo caso meno sensibili per lo sviluppo dei farmaci?

“Provo a rispondere a questa domanda specifica.
Ho avuto occasione di incontrare Uri Seligsohn, che molto ha contribuito a questo capitolo di biologia molecolare del difetto di FXI.
Nella popolazione di origine ebraica alcune mutazioni prevalenti rendono più facile la diagnosi, perché più del 90% dei pazienti ha solo un paio di mutazioni.
Questo risultato ha dato uno spunto a numerose ricerche.
Nel caso di altre popolazioni, le cose sono molto più articolate e le mutazioni eterogenee, con altre componenti etniche.
I colleghi di Milano dell’Humanitas, hanno pubblicato un bellissimo lavoro recente** nel quale vedono che nella popolazione normale, non riferita a nessun centro clinico, sono presenti diverse mutazioni del FXI in forma eterozigote, probabilmente non sintomatiche.
In sintesi, le mutazioni trovate da Seligsohn e collaboratori, sono presenti anche nella nostra popolazione, ma da noi il pattern di mutazioni è molto più ampio** (più di venti mutazioni diverse).
Le mutazioni che sostituiscono gli aminoacidi, le cosiddette mutazioni missenso sono piuttosto frequenti.
E una sintesi molto breve, ma possiamo rimandare ad uno o due lavori, per approfondire e, scherzosamente, complicarci la vita!
Ci sono centinaia di lavori, anche pubblicati in tempi recenti consultabili in tempo reale, una vera meraviglia da un punto di vista dell’informazione.
Aspetto interessante, nel database ISS il difetto di fattore XI e quello di fattore VII, non legati al cromosoma X, hanno sorprendentemente un’incidenza che non è troppo lontana da quella dell’Emofilia B, legata al cromosoma X.
Ma le forme veramente gravi, fortunatamente sono rare”.

Quindi, Prof Bernardi la differenza tra fattore VII, molto conosciuto e fattore XI, conosciuto invece pochissimo è perché quest’ultimo, non ha manifestazioni importanti?

“In effetti c’è una forte ricerca per il fattore VII. Il primo lavoro sul fattore VII lo abbiamo pubblicato nel 1991, quindi sono trent’anni che ci occupiamo di questo difetto. Di recente, insieme al Prof. Mariani, abbiamo scritto una review estesa***, cercando di rivedere gli aspetti clinici e biologici.
Il fattore VII è impiegabile in forma ricombinante attivata per complicazioni emorragiche diverse.
E’ una molecola che ha la capacità di innescare la coagulazione anche in soggetti che non hanno il difetto di fattore VII, ad esempio in emofilici con inibitore.
L’impulso della ricerca sul fattore VII è stato sicuramente superiore, e questo spiega il fatto che quella sul fattore XI, non sia completamente allineata.
er di più le forme gravi di difetto di fattore settimo possono essere particolarmente severe, con emorragie intracraniche.
uttavia, negli ultimi anni l’interesse nel fattore XI è aumentato enormemente, anche perché è stato evidenziato come target per interventi anti-trombotici, meno proni ad emorragie.
icuramente ci sarà un ampliamento delle conoscenze della deficienza di FXI nella popolazione”.

Ed è vero che l’incidenza del fattore XI è prevalente negli anziani?

“Nella popolazione ebraica sono stati riportati sanguinamenti importanti in fase neonatale, a livello del cordone ombelicale.
Non ho informazioni riguardanti il difetto nell’anziano, devo documentarmi meglio.
Tuttavia un’incidenza del difetto del fattore XI più alta in età adulta o avanzata potrebbe essere spiegata da difetti lievi.
Per il difetto di fattore VII più il difetto è grave, più si manifesta in modo precoce, più è precoce la diagnosi.
La presenza di difetti lievi potrebbe rimanere sconosciuta per molto tempo, ma essere rivelata in un’indagine approfondita della coagulazione per ragioni chirurgiche, ad esempio della via intrinseca, nella quale il FXI esprime la sua funzione”.

Possiamo parlare dei casi legati alle mutazioni genetiche?

“È un argomento che mi ha appassionato fin dal primo momento**** in cui mi sono affacciato al mondo dell’emofilia.
Nel caso dell’emofilia A non ci sono evidenti cambi di incidenza riportata, nel senso che c’è sempre stata una forte incidenza di casi di emofilia A che hanno mutazioni “nuove”, ma ci sono stime diverse.
Dipendono dal prolungamento della vita degli emofilici, fino a giungere a valori simili a quelli della popolazione non emofilica grazie a terapie sempre più efficaci.
n passato, quando gli emofilici non venivano trattati, l’incidenza delle mutazioni nuove “de novo era superiore, ed apparentemente è scesa. Grazie alle terapie sostitutive le mutazioni “vecchie” sono mantenute nella popolazione, e può apparentemente diminuire la percentuale di quelle “de novo”. Ci sono in proposito numerosi studi che tentano di capire come avvengono le nuove mutazioni”.

Lei ritiene che oggi il ruolo centrale della cura dell’emofilia sia sempre quello della terapia sostitutiva oppure in un prossimo futuro la terapia genica prenderà il sopravvento?

“Non c’è dubbio che dopo numerosi anni ci sia la possibilità di praticare terapia genica nei pazienti, ma non dimenticherei il successo straordinario della ricerca ed i nuovi prodotti ad emivita prolungata.
Se per il fattore IX le difficoltà sono state inferiori, portare un fattore VIII funzionante a livelli significativi per un tempo prolungato è stato un grande successo, pur nelle difficoltà che possono sempre colpire singoli pazienti.
Non so con certezza dove andremo a parare, anche perché il rapporto “costi/benefici” si va definendo, soprattutto per la terapia genica, comunque definita.
E qui posso tornare ai difetti dei fattori più rari dell’emofilia, come ad esempio quello del fattore XI di cui abbiamo parlato prima.
Tutto si basa sulla qualità e sulla quantità degli studi applicati, che possono essere legate al numero dei pazienti.
Più pazienti ci sono e più possibilità di finanziamenti ci sono per la ricerca applicata, non è un discorso cinico ma realistico per molti interventi dell’industria, anche di quella high-tech necessaria alla terapia genica.
Credo si possa creare una sorta di equilibrio dinamico tra i nuovi prodotti “long acting,” che permettono e permetteranno sempre più ai pazienti di ridurre il numero delle somministrazioni e la terapia genica a tutti i pazienti.
Non dobbiamo dimenticare che ci sono Paesi che non sono ancora in grado di dare il minimo di assistenza attraverso i prodotti attualmente in commercio.
Sono differenze che continueranno a pesare e che quindi, a mio parere, permetteranno ad entrambi gli approcci di procedere di pari passo”.

————————–

Abbiamo ritenuto importante elencare a conclusione, in queste note, tutte le indicazioni contrassegnate da asterischi che il prof. Bernardi ha avuto modo di darci sugli studi e le ricerche in corso.

*Please cite this article in press as: Lombardi et al.,
Dissection of pleiotropic effects of variants in and adjacent to F8 exon 19 and rescue of mRNA splicing and protein function, The American Journal of Human Genetics (2021), https://doi.org/10.1016/j.ajhg.2021.06.012

Dissection of pleiotropic effects of variants in and adjacent to F8 exon 19 and rescue of mRNA splicing and protein function
Silvia Lombardi, Gabriele Leo, Simone Merlin, Antonia Follenzi, John H. McVey, Iva Maestri, Francesco Bernardi,1 Mirko Pinotti,1,* and Dario Balestra1,
** Exploring the global landscape of genetic variation in coagulation factor XI deficiency.
Asselta R, Paraboschi EM, Rimoldi V, Menegatti M, Peyvandi F, Salomon O, Duga S.
Blood. 2017 Jul 27;130(4):e1-e6. doi: 10.1182/blood-2017-04-780148.

*** The spectrum of factor XI deficiency in Italy.
Castaman G, Giacomelli SH, Caccia S, Riccardi F, Rossetti G, Dragani A, Giuffrida AC, Biasoli C, Duga S.
Haemophilia. 2014 Jan;20(1):106-13. doi: 10.1111/hae.12257

**** Biochemical, molecular and clinical aspects of coagulation factor VII and its role in hemostasis and thrombosis.
Bernardi F, Mariani G.
Haematologica. 2021 Feb 1;106(2):351-362. doi: 10.3324/haematol.2020.248542. Review.

**** RFLP analysis in families with sporadic hemophilia A. Estimate of the mutation ratio in male and female gametes.
Bernardi F, Marchetti G, Bertagnolo V, Faggioli L, Volinia S, Patracchini P, Bartolai S, Vannini F, Felloni L, Rossi L, et al.
Hum Genet. 1987 Jul;76(3):253-6. doi: 10.1007/BF00283618

Please cite this article in press as: Lombardi et al., Dissection of pleiotropic effects of variants in and adjacent to F8 exon 19 and rescue of mRNA splicing and protein function, The American Journal of Human Genetics (2021), https://doi.org/10.1016/j.ajhg.2021.06.012 Dissection of pleiotropic effects of variants
in and adjacent to F8 exon 19 and rescue of mRNA splicing and protein function
Silvia Lombardi, Gabriele Leo, Simone Merlin, Antonia Follenzi, John H. McVey, Iva Maestri, Francesco Bernardi,1 Mirko Pinotti and Dario Balestra1,

Tag: