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INTERVISTA AL PROF. MANNUCCI

Questo è un momento particolare per tutta la sanità del nostro Paese e certamente della novità Covid non se ne sentiva la mancanza. Le patologie rare, come ad esempio l’emofilia, affrontano difficoltà assistenziali, soprattutto nei momenti di criticità e quando si è costretti ad andare con urgenza nei pronto soccorso. Attualmente per chi come gli emofilici è passato negli anni attraverso alcune “docce fredde”, le novità terapeutiche e le problematiche sempre presenti nei Centri emofilia ci hanno convinti, per cercare di fare chiarezza, a programmare un incontro con chi ha storicamente legato la sua storia professionale alla cura dell’emofilia, Pier Mannuccio Mannucci.
Lo abbiamo deciso dopo la lettura di un comunicato stampa nel quale si parlava di una richiesta delle Associazioni di Milano, Pavia e Brescia, rivolta alla Regione Lombardia, a lavorare ad un progetto per l’emofilia e le malattie emorragiche congenite (MEC), per fornire “risposte assistenziali – questo diceva testualmente il comunicato – di qualità ai pazienti attraverso una rete di Centri specialistici e sulla base di protocolli diagnostico-terapeutici e procedure specifiche in caso di emergenza-urgenza”.
Ad ottobre dello scorso anno quindi è stato formato dalla Regione un gruppo di lavoro, composto da medici e rappresentanti dei pazienti, e sono stati assegnati tre mandati:
1) requisiti dei Centri Emofilia;
2) aggiornamento del PDTA.
3) sistema di distribuzione dei farmaci per l’emofilia e MEC.


Essendo il coordinatore del Gruppo di lavoro proprio Mannucci, gli abbiamo chiesto notizie più precise sul progetto:
“I principi che ho suggerito – ha affermato – e che penso siano validi per potenziare i Centri emofilia, sono quelli identificati nei tre punti sopra citati, sulla base della mia esperienza personale come ex presidente della Società Europea, carica della quale attualmente è titolare Flora Peyvandi, responsabile del Centro del Policlinico di Milano. Per approfondire l’argomento ho intervistato i dirigenti medici di una serie di realtà regionali sull’emofilia, tra cui Annarita Tagliaferri di Parma e Giovanni Di Minno a Napoli. In questo modo ho potuto fornire materiale per analisi al gruppo di studio Lombardo, seguendo il metodo scientifico e avvalendomi anche di ciò che c’è in Europa e in letteratura.
L’esperienza europea di cui noi facciamo parte, quella di alcune Regioni come Emilia-Romagna e Campania e anche una serie di considerazioni di persone che ho consultato e che hanno passato la vita ad occuparsi di emofilia, hanno portato il gruppo di lavoro alla stesura di una proposta di documento, nell’ambito di un progresso scientifico e assistenziale per cui i nostri assistiti hanno attualmente un’aspettativa di vita pari a quella del maschio non emofilico.
Naturalmente all’interno del gruppo di studio vi sono opinioni diverse tra i medici ed tra i pazienti, e sarà l’Assessorato al Welfare della Regione Lombardia a scegliere le opzioni da implementare.
Pertanto, il documento finale, che è stato approvato all’unanimità dal gruppo, è attualmente al vaglio della Regione”.

Personalmente ci torna alla mente, quando parliamo con lei dei pazienti, una frase che pronunciò in occasione di un incontro al Senato a Roma, in occasione dei trent’anni del nostro giornale e la frase era questa: “Devo moltissimo a questi malati, perché i loro successi mi hanno gratificato professionalmente e la loro collaborazione ha profondamente modificato il mio concetto, che era tradizionale, del rapporto che si deve stabilire tra medico e paziente…”
“Ho impostato il gruppo di lavoro in tre sottogruppi, e mentre ciascun medico era inserito in un gruppo solo a seconda delle competenze, i due rappresentanti le associazioni erano liberi di partecipare e contribuire a tutti e tre i gruppi.
Questo vuol dire che, sia per la classificazione dei Centri che per il percorso diagnostico terapeutico nonché per la distribuzione dei farmaci, gli assistiti avevano pari dignità dei medici”.

Torniamo a questo punto ai Centri MEC rimanendo sulla Lombardia, che da sempre è stata un punto di riferimento non soltanto per il nostro Paese.
“L’unica cosa che c’è finora istituzionalmente in Lombardia sono i Centri che possono rilasciare la diagnosi di malattia rara della coagulazione: tra le quali non ci sono solo le MEC (malattie emorragiche congenite – n.d.R.), compresa l’emofilia ma anche le malattie trombotiche congenite: che sono tutte comprese nel codice CDR020 che permette a chi ha questa diagnosi di avere l’esenzione dal ticket.
Da questo punto di vista la Regione Lombardia aveva riconosciuto finora per questi scopi quindici Centri di cui cinque a Milano.
Ma non come centri MEC ed emofilia, soltanto come Centri che rilasciano il codice di esenzione, tenendo anche conto che alcuni di questi centri si occupano solo di trombosi”.

Se noi abbiamo un paziente emofilico che sta facendo un determinato prodotto, ipotizziamo l’arrivo di questo paziente traumatizzato in Pronto Soccorso.
Che cosa suggerisce di fare per facilitare e velocizzare la presa in carico del paziente?
“E’ uno dei problemi che preoccupano maggiormente i nostri assistiti. In Lombardia ad esempio, è l’AREU che si occupa dell’emergenza urgenza e che in generale porta il paziente al PS più vicino.
Pare che ciò non sempre avvenga in modo ottimale, perché l’emofilico dovrebbe sempre avere un codice prioritario.
I nostri sono pazienti esperti e sanno come gestire varie situazioni routinarie, salvo che in caso di emergenze veramente gravi quali il grande trauma e l’emorragia cerebrale.
In questi casi per fortuna rari, io consiglierei ad AREU di portare il paziente nel Centro che ha la più grande esperienza, perché essendo l’emofilia una malattia rara, il numero di pazienti in carico e l’esperienza acquisita contano moltissimo ai fini di una idonea diagnosi e terapia in caso di queste reali emergenze.
Ritengo poi in generale che il sistema Hub & Spoke attuato da tempo in Emilia-Romagna sia eccellente, perché è su basi solide: mentre mi pare che in Lombardia, tanto per fare l’esempio di cui stiamo parlando, quindici Centri, di cui ben cinque a Milano e provincia siano eccessivi, perché molti di questi centri non seguono regolarmente il numero di pazienti emofilici necessario per acquisire una reale esperienza specifica: che nelle malattie rare è fondamentale, tant’è vero che i criteri europei per qualificare i Centri Hub & Spoke (che si differenziano in Centri ad alta specializzazione e Centri emofilia semplici), si basano sul numero di pazienti con emofilia A e B grave e sono esclusi dai criteri della qualifica tutti gli altri deficit congeniti della coagulazione assai meno impegnativi clinicamente”.

Quale ritiene quindi sia la migliore futura organizzazione dei Centri che si occupano specificatamente di emofilia e MEC in Lombardia?
“Espongo la mia personale opinione, ma naturalmente sarà la Direzione Generale della Assessorato Welfare della Regione che deciderà. Nel 2010 l’organizzazione Europea ha implementato quando ero Presidente un primo esercizio di accreditamento dei centri emofilia basato sostanzialmente su sistema Hub & Spoke che ha riconosciuto il Centro di Milano come Hub e quello di Pavia come Spoke.
Naturalmente sono passati più di 10 anni da questo primo tentativo Europeo.
La Regione Emilia Romagna, che ha una popolazione di circa 5 milioni di abitanti, ha istituito un Hub a Parma ed due Spoke a Bologna e Cesena.
La Regione Campania ha intenzione recente di istituire un Hub e due Spoke a Napoli.
A mio parere in Lombardia ci dovrebbero essere, per una popolazione di 10 milioni di abitanti e un numero proporzionale di emofilici, un Hub e tre-quattro Spoke, ma ripeto che sarà la Regione a decidere”.

Confermato che lei, pur essendo trascorsi molti anni, non ha cambiato idea sui Centri che devono essere pochi e con accesso reale a tutte le specialità mediche e chirurgiche di cui l’emofilico ha bisogno, le chiediamo a proposito dei prodotti (che oggi sono tanti), un parere sulla sentenza che c’è stata ultimamente a proposito dell’equivalenza terapeutica.
“Quando si parla di fattore VIII e altri fattori della coagulazione, tutti i prodotti sono ugualmente funzionanti, perché contengono tutti lo stesso principio attivo.
Detto questo, ci sono differenze da prodotto a prodotto.
Capisco anche che ci sia da parte di medici e pazienti la richiesta della continuità terapeutica, che tra l’altro permette di fare meglio la farmaco-vigilanza.
Ma capisco anche ciò ha scelto di fare in il Regno Unito, dove per risparmiare si sono fatte aste sulla base del principio attivo, abbassando così in maniera sostanziale i costi dei prodotti.
Inoltre aspetti che noi medici consideriamo poco, come la facilità di ricostituire il prodotto e tutti quei sistemi che le ditte farmaceutiche mettono in atto per facilitare le infusioni, sono in ospedale di poca rilevanza, perché non siamo noi né i pazienti ma bensì l’infermiere che prepariamo il farmaco.
Ma dettagli che possono sembrare secondari per l’efficacia terapeutica possono essere importanti per la qualità di vita dei nostri assistiti!”.

Vorremmo tornare ancora sull’argomento, perché EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco, ha preso una posizione e AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, praticamente non ne ha presa nessuna.
La sentenza di luglio 2020 del Consiglio di Stato, ha però revocato, evento straordinario, una sua precedente sentenza, sulla base di una errata valutazione, secondo il giudice, dei cinque livelli per la valutazione dei farmaci in considerazione. Inoltre se è vero che il paziente si affeziona ad un farmaco, è pur vero che l’emofilico è un paziente esperto e informato e che accede ad informazioni provenienti da fonti autorevoli. Quindi ci si chiede come mai, se la sentenza sull’equivalenza è stata annullata, siamo ancora in questa situazione di stallo? Perché AIFA non si esprime?
“Secondo i più recenti dati di AIFA, al primo posto per il costo di farmaco pro capite c’è il FVIII.
Però alla fine di ogni anno, l’osservatorio nazionale OSME di AIFA sui farmaci, quando lamenta l’eccessivo consumo e relativo eccessivo costo di determinati farmaci, non cita mai quelli per gli emofilici: perché se è vero che pro capite il fattore VIII è il farmaco più costoso, ciò che pesa veramente per i consumi ospedalieri e sul territorio sono soprattutto i farmaci antitumorali, cardiovascolari, reumatologici e gastrointestinali. Questo è secondo me il motivo per cui AIFA non ha preso finora posizione, contrariamente ai britannici che facendo le aste sono riusciti ad ottenere un grande risparmio.
I progressi di questi ultimi 10 anni nella terapia, che hanno permesso ai nostri assistiti di avere una aspettativa di vita pari alla mia, sono avvenuti per una serie di studi derivanti dalla ricerca scientifica: faccio riferimento al fattore VIII ricombinante, ai fattori ad emivita prolungata e all’emicizumab. Le case farmaceutiche sono molto attive e interessate ai prodotti per l’emofilia e questo avviene perché è evidentemente un mercato assai redditizio.
Altrimenti non si spiega perché negli anni 70 vi fossero poche aziende altamente specialistiche e oggi siano entrati nel mercato anche colossi di Big Pharma come Pfizer, Roche, Bayer e Sanofi.
zE’ un mercato remunerativo proprio perché, attraverso l’intervento delle associazioni dei pazienti, in genere le autorità regolatorie nazionali, sia quelle in Europa come EMA e AIFA o negli USA come FDA e le assicurazioni, questi farmaci li passano. E penso che ciò avverrà anche per la terapia genica quando avrà raggiunto il traguardo definitivo”.

A questo punto cosa sarebbe preferibile per i pazienti che sono molto attenti, i prodotti long acting o terapia genica?
“Ci sono i pro e i contro.
I pazienti, specialmente i più giovani, chiedono quando ci sarà la cura, cioè la guarigione, perché pur avendo i prodotti long acting ridotto il carico delle loro iniezioni endovenose non ottengono la guarigione.
Arriveranno presto altri prodotti che ridurranno ulteriormente e sostanzialmente le infusioni per l’emofilia A, come già avvenuto per la B. La terapia genica, se mantiene le promesse attuali e non vengono fuori effetti collaterali, vuol dire guarigione e i nostri pazienti vogliono essere guariti.
Ho recentemente scritto un editoriale sul maggiore giornale di medicina nel mondo (New England Journal of Medicine 2020;383:1068-1070) dove espongo i pro e i contro delle diverse opzioni per l’emofilia.
Per fare un esempio, se io avessi l’emofilia B, non so se sceglierei la terapia genica quando sono già in grado di trattarmi ogni 10/15 gg, sia pure per via endovenosa: e ciò presto avverrà anche per la carenza di fattore VIII”.

L’emofilico, che oggi invecchia, va incontro ad una serie di comorbilità legate all’età e ci chiediamo se si stia lavorando bene in quest’ottica.
Ritiene che si parli abbastanza dei rischi emorragici cerebrali nel paziente emofilico?
E’ un argomento che fa paura, è un tabù o la neurologia non si occupa abbastanza dell’emofilico?
“Il problema dell’emorragia cerebrale nell’emofilico è una delle poche cause di vera emergenza con due picchi di incidenza di questa grave complicanza: uno è nell’anziano e un altro nell’infante, tant’è vero che alcuni sostengono che appena fatta la diagnosi andrebbe fatta subito la profilassi con emicizumab sottocutaneo: piuttosto che con il FVIII, perché in un bimbo di pochi mesi diventa estremamente difficile l’infusione profilattica ripetuta per problemi di accesso venoso. Naturalmente ci sono studi in corso e bisogna vedere i risultati, perché questo farmaco funziona bene ma non dà zero bleeding.
Per quanto riguarda l’anziano, se ne sta occupando lo studio Italiano SPHERA.
Sono stati presi in esame in tutti i Centri italiani 102 pazienti di 60 anni o più, che essendo nati in un periodo in cui la terapia era agli albori, hanno inevitabilmente problemi legati all’artropatia e epatopatie croniche.
Quindi questo studio prospettico, che si conclude quest’anno, evidenzia che le comorbilità principali sono quelle del fegato e quelle legate all’età.
E’ anche un altro problema importante da affrontare la riabilitazione fisioterapica per i problemi muscolo-scheletrici, inevitabili nell’anziano e ancora di più nell’emofilico”.

Tornando all’epatopatia in un emofilico, in caso di vaccinazione Sars Cov2, ci possono essere delle controindicazioni, legate alla immunodeficienza che tale patologia comporta?
“In tutti gli emofilici che sono guariti dall’ HCV e hanno eliminato il virus permane il rischio di sviluppare il carcinoma epato-cellulare, anche se l’epatite C è stata eradicata per mezzo dei nuovi farmaci.
Non c’è però nessuna controindicazione a fare il vaccino, perché essi non sono immuno depressi nel senso tradizionale del termine.
Diciamo però che negli studi registrativi dei vaccini sono stati scelti pazienti altamente selezionati che non sono quelli della vita di ogni giorno, perché naturalmente si vogliono evitare gli effetti collaterali: per cui gli immunodepressi e gli epatopatici sono stati in genere esclusi”.

La storia di Pier Mannuccio Mannucci e soprattutto la sua irripetibile carriera è stata piena di soddisfazioni, di vittorie ma anche di momenti tristi.
C’è qualcosa di cui lei è particolarmente fiero o qualcosa che non rifarebbe?
Sappiamo ad esempio che attualmente ha incarichi in ambiti diversi dall’emofilia.
Si occupa di ecologia e inquinamento, coautore di due libri: “Aria da morire” e “Cambiamo aria”.
E’ anche presidente della Fondazione MBBM, Monza e Brianza Bambino e Mamma.
“Sono contento di ciò che ho fatto nella mia vita e qui parlo soprattutto dell’argomento emofilia, di cui sono stato il primo in Italia ad occuparmi: cercando di trovare il modo, soprattutto nei primi anni 70, perché venissero curati nelle loro sedi di residenza attraverso il trattamento a domicilio e la creazione di Centri specializzati nella cura e nell’assistenza, quando ancora una vera e propria profilassi con i concentrati non esisteva e ci si doveva accontentare prima del sangue e plasma e poi dal 1968 del crioprecipitato!
Sono stati anni di lavoro intenso ma anche e di grandi soddisfazioni legate al rapporto anche con i pazienti e le loro famiglie.
Anni nei quali ho incontrato e collaborato con persone eccezionali come l’avvocato Umberto Randi e Vincenzo Russo Serdoz.
Un altro momento importante è stata la creazione della Associazione Italiana dei Centri Emofilia, ora presieduta da Angiola Rocino di Napoli.
Ovviamente i momenti più tristi e tragici sono legati alle tante perdite di straordinari amici negli anni 80, per via dell’AIDS più che per l’epatite.
Dal momento in cui sono andato in quiescenza, pur continuando a occuparmi di l’emofilia ho affidato il tutto ad una persona alla quale potevo trasmettere la grande tradizione e eccellenza del Centro di Via Pace del Policlinico: Flora Peyvandi.
Oggi mi occupo anche di altri argomenti legati alla mia curiosità scientifica ed anche e soprattutto al fatto che sono problematiche attuali e serie.
Uno è quello legato all’inquinamento dell’aria che causa circa 90.000 morti premature in Italia, soprattutto nella Pianura Padana.
Poi seguo il problema dei farmaci multipli (10 o più) che utilizzano spesso gli anziani e quello conseguente della loro scarsa appropriatezza prescrittiva ed effetti avversi.
Infine, nel libro che ho recentemente scritto e pubblicato assieme a Guglielmo Mariani dal titolo: “Il nostro sangue”, abbiamo cercato di spiegare in maniera divulgativa questo fluido vitale, soprattutto per i non esperti.
Naturalmente, si parla anche di emofilia e trasfusioni (http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788825536478&fbclid=IwAR3WzDr8hKcD2hCy7Bbl9vBuqfBHzeDZvy2IT3xhE2fKMPXQQjrMed5de80).

Ritiene, alla luce degli attuali ritardi nell’attuazione del modello Hub & Spoke, per i Centri MEC, in Italia tutta (come previsto nella Conferenza Stato Regioni del 2013), che una direzione più centralizzata a livello statale, possa essere utile?
“Penso che di questa attuazione organizzativa dovrebbe occuparsi attivamente le Regioni, come prescritto dalla Conferenza ormai tanti anni fa.
L’Emilia Romagna è un modello da tempo, sembra che la Campania segua la stessa strada e spero presto anche la Lombardia. Le altre, si spera, seguiranno”.

Non sarebbe auspicabile che nei centri MEC, l’ematologo che affida il paziente ai vari specialisti si potesse confrontare con gli stessi, per il tramite di meeting con scadenze programmate, al fine di avere una gestione collegiale del paziente coagulopatico.
E l’organizzazione di questa prassi potrebbe essere eventualmente gestita da una case manager?
“Ciò di cui lei parla è il cosiddetto check-up, che penso e spero ogni Centro emofilia in Italia dovrebbe aver già implementato e attivato regolarmente almeno una volta all’anno, come da almeno 40 anni facciamo a Milano al centro del Policlinico.
Sono sicuro che ciò avviene anche in molti altri centri in Italia, tra cui sicuramente a Parma.
Non ho mai pensato alla possibilità di un case manager per gestirlo e renderlo più efficace, ma mi sembra un’eccellente idea che andrebbe esplorata e quindi perseguita”.

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