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NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE PER TALASSEMIA E ANEMIA FALCIFORME

Il dott. Casini del Day Hospital della struttura Tumori Pediatrici e TMO del Mayer di Firenze ha trattato il tema della gestione attuale del talassemico.
Una sorta di lettura magistrale sulla storia della talassemia attraverso questi ultimi trent’anni, affermando innanzitutto che  le emogloginopatie sono da ritenersi un problema sociale sia a causa dei nuovi casi che si verificano ogni anno, sia in parte per i casi che arrivano a causa dei flussi migratori.
Negli anni ‘90 si è anche cominciato a parlare di trapianto da cellule staminali ed in seguito di terapia genica.
“Mentre anni fa – ha concluso – la cura del talassemico era tutta incentrata sulla prevenzione e cura della cardiopatia, con il miglioramento delle cure e l’età sempre più avanzata che il paziente può raggiungere si sono presentati altri tipi di problematiche ma grazie ad un team di clinici (non più solo l’ematologo) si può avere la corretta gestione della malattia”.

LA SOFFERENZA D’ORGANO
La dott.ssa Alessia Pepe, responsabile del centro MIOT per la T2* al CNR di Pisa ha trattato il tema della sofferenza d’organo affermando  che è causata dall’accumulo di ferro.
“La maggior rilevanza – ha affermato – è sulle complicanze cardiache.
Nel paziente ben trasfuso la cardiomiopatia è di tipo dilatativo.
Il parametro dato dalla risonanza magnetica T2* ha alta correlazione con la prognosi, differentemente dal solo valore della ferritina che non è sufficientemente correlata con il rischio cardiaco o con gli accumuli nel fegato.
Va sottolineato come prima di questa tecnica non invasiva l’unico modo per valutare la fibrosi era fare la biopsia.
La terapia ferrochelante può quindi essere adattata al tipo di accumulo passando nel tempo dal 30% di pazienti con cuore libero da ferro all’attuale 70% di pazienti con cuore libero da accumulo”.
Nel suo intervento ha poi ricordato come per il paziente talassemico però la cardiomiopatia non è solo relativa al ferro ma anche dovuta all’aumento dell’età (rischio ischemico ad esempio, come il resto della popolazione sana).
Si ha anche una maggior tendenza a miocarditi (edema e fibrosi).
Lo stress ossidativo è un fattore da tenere sempre presente.
La fibrosi aumenta se la thalassemia è associata anche a diabete e HCV-RNA+ (positività all’RNA del virus dell’epatite C).
Il diabete ha comorbilità con la talassemia cioè la presenza contemporanea di talassemia e diabete aumenta il rischio di complicanze cardiache.
Terminando poi la sua relazione ha affermato che:

LA CHELAZIONE
La dottoressa Peppe ha messo in risalto quanto sia importante una corretta chelazione per la sofferenza degli organi ed ecco che la relazione del dott. Perrotta è stata proprio incentrata sulla chelazione che è il problema comune di tutte le patologie soggette a trasfusioni periodiche.
Il primo aspetto preso in considerazione storicamente è relativo a chelazione e ferro a livello cardiaco confrontando gruppi trattati con sola desferoxamina o con solo deferiprone, poi anche relativamente alle terapie sequenziali e combinate. Un fattore importante per la valutazione delle cardiomiopatie è la frazione di eiezione. La terapia combinata desferoxamina + deferiprone riesce a migliorare la frazione di eiezione anche quando già compromessa alla partenza dello studio (tempo 0).
è stata testata anche la terapia combinata desferoxamina – deferasirox ed anche in questo caso si ha miglioramento della T2* in pazienti con frazione di eiezione normale alla partenza. I canali con cui il ferro entra all’interno delle cellule sono gli stessi canali del calcio (non nel fegato però) quindi ci sono studi in corso in cui si usano farmaci relativi al metabolismo del calcio come protettori cellulari. I canali del calcio spiegano anche come mai c’è correlazione fra accumuli in cuore e asse endocrino ma non c’è correlazione con gli accumuli al fegato. L’accumulo cardiaco indica un maggior rischio di accumulo a livello di asse endocrino. Accumuli al pancreas precedono accumuli a livello cardiaco.

Danni all’asse endocrino comportano: diabete mellito, ipotiroidismo, ipogonadismo.
La terapia chelante va modulata in base al ferro che entra con le trasfusioni, non tanto con i valori di ferritina. L’adesione alle terapie è fondamentale come anche trattare i pazienti in modo ottimale prima dei 10 anni di vita. Il nuovo exjade è molto meglio tollerato: dopo che è stato tolto il lattosio sono molto diminuiti gli eventi gastrointestinali che portavano poi a dover cambiare terapia. Grazie al fatto che deve essere preso in un’unica somministrazione può essere particolarmente indicato per la chelazione nel bambino. Il dottore considera il deferasirox la terapia primaria per il bambino che comincia la terapia chelante perché la compliance è talmente maggiore da giustificare la minor efficacia del deferasirox rispetto al desferal. La combinata deferasirox – desferoxamina è possibile, relativamente alla combinata deferasirox con deferiprone al momento si può al massimo parlare di terapia alternata con un giorno deferiprone e un giorno deferasirox.

IL TRAPIANTO: PROFILASSI E PREVENZIONE DELLE COMPLICANZE
La dottoressa Tintori ha affermato che è l’unico approccio realistico alla thalassemia. Ci sono due aspetti da considerare relativamente a questa tecnica:
1) la maggior reperibilità del donatore: non più solo il fratello compatibile.
2) supporto nella scelta di ricorrere al trapianto: il trapianto è una tecnica comunque rischiosa e la thalassemia è attualmente una patologia a basso rischio quando trattata in modo adeguato. Può quindi essere considerato eticamente inadeguato far correre dei rischi ad un paziente che non è a rischio di vita.
Occorre quindi ridurre i rischi al minimo in modo da non incorrere in problemi etici. Secondo alcuni studi la sopravvivenza in gruppi di thalassemici trapiantati e di thalassemici non trapiantati è sovrapponibile.
Cambiano le cause di morte ma non l’effetto finale. Quindi è necessario ridurre il rischio di rigetto, mortalità, di contrarre malattie di peggior gestione rispetto alla malattia di partenza. Il fattore limitante è la fase di condizionamento pre trapianto che è ancora troppo severa soprattutto nell’adulto.
Si cercano comunque continuamente protocolli di condizionamento che possano ridurre la mortalità, anche puntando al chimerismo (coesistenza di cellule del midollo derivate dal trapianto e cellule proprie del paziente) anziché alla totale sostituzione del midollo.
Anche il trapianto da cordone di un fratello parrebbe avere buoni risultati (studi di Locatelli).
Si cerca anche di ampliare il bacino dei possibili donatori non solo il fratello HLA compatibile ma anche familiari (soprattutto dove la consuetudine di matrimonio fra consanguinei è elevata) fino ad includere donatori da registro.
Questa fonte di donatori in alcuni Paesi come l’India è praticamente impossibile mentre è più possibile per la razza caucasica.
La filosofia recente è che si può abbassare moltissimo il rischio di mortalità o malattia linfocitaria data dal condizionamento accettando un maggior rischio di rigetto (anche il 43%). eventualmente a questo punto si può ripetere il trapianto successivamente sfruttando la coda di immunosoppressione successiva al primo trattamento.
Il trapianto aploidentico (cioè da registro) è l’alternativa al trapianto da fratello o familiare.
Il rischio di sviluppo di tumore a causa del condizionamento per il trapianto al momento non è valutabile nell’esperienza al Meyer perché sono ancora pochi anni, visto che vengono effettuati solo dal 2004. La dott.ssa Pepe interviene citando uno studio di prossima pubblicazione sulla correlazione fra trapianto e una probabilità significativamente maggiore di sviluppare tumore.

IL TRAPIANTO GENICO: ESPERIENZA BLUEBIRD BIO
Il prof. Locatelli si è concentrato sull’obiettivo della terapia genica che significa instaurare la produzione di catene  g (gamma) dell’emoglobina,.queste catene non avendo la mutazione che affligge invece le catene b sono efficaci nel trasporto dell’ossigeno. Nel 2010 il primo paziente sottoposto a gene terapy con uso della caspasi per l’attivazione del promotore di sintesi delle catene gamma. Uno dei problemi affrontati è la polimerizzazione delle catene con un comportamento simile a quello che si osserva nella sindrome falcemica. Si usa un vettore lentivirale per il trattamento del sangue periferico del paziente. Poi il paziente va seguito per 15 anni.
Dopo l’introduzione dell’elemento geneticamente modificato il picco di emoglobina è di almeno 6 gradi e resta costante sia nei b0 (beta zero) che nei b+. A 18 mesi di follow up i B+ sono diventati indipendenti da trasfusione con emoglobina di 9,5/12 mentre nei pazienti b0 si ha una riduzione delle trasfusioni o riduzione del fabbisogno di sangue trasfuso. Si cerca di capire il numero corretto di coppie di vettori per cellula trattata. Nello studio indicato con 204 si ha un grosso aumento della trasduzione con (se ho capito bene) 6 coppie.

La terapia genica viene utilizzata anche per trattare il paziente adulto mentre la terapia trapiantologica ordinaria è applicabile solo in ambito pediatrico. sull’adulto si è investito poco relativamente al trapianto classico a causa dei rischio troppo alti. Lo studio 204 ha dato almeno una diminuzione di 2/3 del fabbisogno di trasfusioni. Il prossimo studio, il 212, prevede il trattamento dei b0 per ottenere l’indipendenza da trasfusione.

Dott Breda / Rivella
ESPERIENZA CHOP
L’esposizione comincia illustrando il primo vettore usato in vitro. Questo vettore non si era rivelato abbastanza sicuro in precedenti studi però ha aperto il filone di ricerca. In questi studi il sangue periferico viene prelevato e trattato in modo da isolare la componente non differenziata del sangue, si tratta e poi si induce differenziazione cellulare. Il risultato è soddisfacente per i campioni con genotipo b+b+ e b0b+ ma nei campioni b0b0 non si ottengono valori accettabili di Hb (emoglobina). È stato necessario quindi ingegnerizzare il vettore, oltre a trovare un metodo di screening più rapido ed efficace per selezionare i vettori. Occorre inoltre poter distinguere l’Hb transgenica dall’Hb endogena oltre a distinguere l’ottenimento di HbA (emoglobina normale) dall’HbF (emoglobina fetale). L’obiettivo è identificare i vettori capaci di aumentare significativamente l’Hb con un basso numero di coppie vettoriali

ESPERIENZA TIGET
Progetto in collaborazione con Telethon
Il dott. Aiuti ha affermato che il bersaglio ideale è la cellula ematopoietica prelevata dal midollo, trattata e reintrodotta nel paziente. Dall’anno scorso la terapia genica è diventata una realtà nei termini di TERAPIA FARMACOLOGICA. L’approccio si è rivelato sicuro, stabile (7 anni di follow up). Nella Thalassemia ci sono voluti molti anni per ottenere il giusto bilanciamento nella produzione di b-globina al fine di avere Hb corretta.
I molti anni di ricerca sono stati necessari per trovare il corretto vettore, affrontare la fase preclinica su topo thalassemico poi la fase clinica sui pazienti (attualmente siamo in sperimentazione fase 1 e fase2).
Il condizionamento è a bassa tossicità, viene comunque preso un campione di midollo del paziente e tenuto come backup nel caso del non attecchimento delle cellule trattate, anche se nel paziente thalassemico si assiste di solito ad un ripristino spontaneo del proprio midollo. Il trattamento viene effettuato su pazienti con specifiche caratteristiche di età (fino ai 35 anni) con funzione cardiaca-polmonare non compromessa e senza infezioni HCV, HIV, accumulo di ferro assente, alto bisogno trasfusionale. Il follow up raccomandato è di 2 anni. Al momento i pazienti trattati sono tutti vivi. Buoni dati di attecchimento con reinfusione ossea. Un principio di esclusione al momento è che i pazienti da trattare non debbano avere fratelli HLA compatibili. Non ci sono stati eventi avversi nei primi 100 giorni, si sono verificati successivamente una pancreatite e un evento di calcoli. Relativamente alla riduzione del bisogno di trasfusioni: in un caso l’intervallo libero da trasfusione è stato di 9 mesi, poi il paziente è tornato alle trasfusioni. In 3 pazienti pediatrici si è raggiunta l’indipendenza da trasfusione con Hb fra 9 e 14 anche per i due casi b0b0. Verificato aumento della qualità della vita. Ci vorranno circa ancora 10 anni per l’iter di certificazione come farmaco con l’approvazione dei vari enti certificatori.

MODULAZIONE DELL’ERITROPOIESI
Il dott. Piga ha ricordato che le talassemie sono un insieme di malattie geneticamente varie, uno dei parametri per fare una valutazione è l’Hb totale oltre che la fatica spesa per ottenere quella Hb tot. Un obiettivo per aumentare l’Hb tot è l’induzione di HbF (emoglobina fetale) rimuovendo il blocco genetico che impedisce la produzione di HbF nell’adulto. L’idrossiurea è ottimo nella drepanocitosi, usato anche in thalassemia in alcuni (pochissimi) casi dall’1 al 3% che hanno un genotipo particolare. Ci sono studi in Paesi come l’Iran dove mancano le terapie convenzionale o la conoscenza medica. La terapia genica potrebbe essere usata per modulare la produzione di HbF anziché per introdurre un gene sano.
Ormoni coinvolti eritropoietina, transferrina (solitamente bassa nel thalassemico), epcidina. La somministrazione di epcidina abbassa la sideremia, anche una singola somministrazione ha permesso di rilevare effetti. Un altro obiettivo è portare i livelli di saturazione della transferrina a livelli normali.
Il problema dell’eritropoiesi nel talassemico è che è accompagnata da grande proliferazione cellulare con scarsa maturazione delle cellule a causa della morte precoce delle cellule stesse. Per limitare questo fenomeno bisogna disporre di trappole delle attivine, proteine induttori del differenziamento cellulare.
C’è un farmaco in sperimentazione tipo 2 in pazienti non trasfusione dipendenti che porta ad un innalzamento dell’Hb totale.
Il farmaco è un’iniezione sottocutanea fatta più o meno una volta al mese. In pazienti trasfusione dipendente con un fabbisogno di due sacche ogni tre settimane si abbassa il bisogno di sangue di almeno il 33%, in alcuni casi si hanno risultati anche maggiori ed in qualche caso anche il passaggio a trasfusione indipendente.
Questo si rifrette anche sull’accumulo di ferro con una terapia chelante meno severa.
Criteri di esclusione: sono stati esclusi i b0b0 (la risposta è parzialmente correlata al genotipo ma non solo). Questo tipo di genotipo non dà mediamente aumento di HbF, i casi verificati non sono correlabili con il genotipo b0b0. Può essere una terapia in attesa del trapianto genico o del trapianto classico perché anche l’espansione eritropoietica è un parametro da considerare per procedere o meno con il trapianto. Non rilevati effetti collaterali severi. Ci sono stati degli effetti che potrebbero essere correlati ma non ce n’è sicurezza, per correttezza sono stati comunque segnalati con l’annotazione “possibile correlazione”.

RIPOSIZIONAMENTO DEI FARMACI
Il prof. Gambari ha ricordato che l’iter necessario per avere un farmaco dal momento dell’idea iniziale al momento della vendita è di anche 10 anni di ricerca.
“In questo lasso di tempo – ha affermato – ci sono molte possibilità di insuccesso connessi anche ai costi visto che ad esempio la thalassemia non conta così tanti malati da rendere particolarmente vantaggioso lo sviluppo di un nuovo farmaco. Si pensa allora al riposizionamento di farmaci già sviluppati per altre patologie. Questi farmaci hanno già superato alcune costose fasi preliminari come i testi di tossicità ecc.
Vegono prelevate cellule eritropoietiche dal paziente e trattate con eritropoietina in presenza di molecole (già abilitate per altre patologie) da testare per verificarne l’efficacia nel caso della thalassemia. Nel caso del paziente thalassemico si arriverebbe così ad un veloce riconoscimento di farmaco orfano oppure le molecole hanno già ottenuto questo riconoscimento per altre malattie rare. Ad esempio la rapamicina che è un immunosoppressore in trapianto di rene. La risposta è estremamente eterogenea sia a causa del genotipo ma anche dovuta ad una soggettività di risposta (alcuni pazienti rispondono a idrossiurea, altri a rapamicina, altri a entrambi). Si cerca al momento di capire il perché di questa variabilità. Si cerca di costituire una biobanca delle cellule dei pazienti trattati in modo da testare i genotipi e arrivare a spiegare con il tempo le ragioni della variabilità di risposta. Si cerca di identificare anche la variabilità di polimorfismi nei siti del promotore o dei repressori delle catene g dell’Hb in quanto possono predisporre alla risposta al trattamento”.

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