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“OLTRE OGNI OSTACOLO”

“Oltre ogni ostacolo…” era il titolo scelto dalla Associazione Talassemici “Rino Vullo” di Ferrara per questa giornata di studio del 3 settembre. Un appuntamento al quale hanno partecipato medici, clinici, ricercatori, politici e amministratori regionali e, soprattutto, le famiglie dei talassemici di tutto il nostro paese.
Ma prima di addentrarci nei vari interventi della giornata vogliamo ricordare a tutti i nostri lettori una presenza costante che rappresenta l’inizio di una lunga storia, il suo nome è Giulia ed il suo cognome, quello che ha acquisito quando si è sposata, è Vullo. Se oggi siamo qui, ancora una volta a documentarci lo dobbiamo al prof. Calogero Vullo.
“Sono lieta – ha affermato la signora Giulia – che questo Centro che mio marito ha tentato di rinnovare quando è arrivato a Ferrara nel 1972, ci sia riuscito perché come tutti sappiamo l’attuale presidente dell’associazione, Valentino Orlandi, che era fra quei pazienti ragazzini, è diventato nonno. Un tempo i pazienti avevano una sopravvivenza molto breve purtroppo e quindi mio marito ha avuto la fortuna di arrivare in un momento di spinta e certamente l’ha colto e si è dato da fare per cercare questa collaborazione di tutti gli specialisti necessari per far sì che i pazienti con talassemia raggiungessero una qualità di vita normale.
Ho visto che i pazienti hanno fatto un video con diapositive che rappresentano la storia del Centro della talassemia quando stavano ricoverati passivamente per una settimana in reparto con la loro famiglia e con le loro madri perché il prof. Ortolani aveva aperto molto precocemente il reparto alle mamme e tuttavia ha trovato questi pazienti che stavano ricoverati lungo tempo quindi modificando completamente la vita famigliare loro e dei loro parenti. Mio marito aveva pensato che fosse fondamentale trovare la collaborazione dei pazienti e delle loro famiglie per cambiare sistema, anche se non era facile perché le famiglie preferivano forse un sistema assistenziale in cui trovavano un ricovero prolungato mentre lui voleva portare i pazienti ad una vita “normale”.

E questo voler essere “normali” ha anche creato i presupposti per istituire l’associazione di Ferrara che ora appunto è dedicata proprio al prof. Vullo.
“L’importanza di questi incontri organizzati dall’associazione – come ha affermato l’onorevole Paola Boldrini, vice presidente della XII Commissione Igiene e Sanità che non fa mai mancare la sua presenza – sono assolutamente importanti le associazioni dei pazienti perché come l’ALT Vullo di Ferrara, tengono insieme varie sfaccettature; quella di essere pazienti e di essere consapevoli della loro patologia, questo è il valore aggiunto che hanno dato le associazioni.
Una volta il paziente sapeva di avere una malattia, si confrontava con il medico ma non sapeva esattamente quale poteva essere il suo potenziale per guarire o per poter stare meglio.
Attualmente le associazioni hanno questo aspetto, completare la conoscenza del paziente cioè essere consapevoli della propria malattia e fare una sorta di alleanza con il proprio medico. Medico, professionista che sia quello di base ma anche tutti i professionisti con i quali lui si confronta in modo tale che non sia inconscio di quello che avviene e se io so quello che mi stanno facendo sono ovviamente più tranquillo.
Quindi questo rapporto si è creato nel tempo e bisogna dire proprio grazie soprattutto alle associazioni. In particolare quella di Ferrara ha fatto strada e ha fatto scuola anche a tantissime altre associazioni a livello nazionale ovviamente che si occupano di talassemia.
Certamente c’è ancora molto da fare anche perché il fatto che noi predisponiamo anche a livello nazionale, normative, chi si occupano della governance in sanità, predisponiamo e pensiamo di aver fatto già bene tutto. Chi ci può dire se funziona tutto bene? Solo il paziente.
Quindi il loro ruolo deve essere anche di collaborazione per migliorare i percorsi che si devono instaurare, quindi è sempre di più un lavoro di collaborazione fra tutti e per mettere non al centro il paziente, ma è il paziente che collabora con tutti i professionisti.
Questo è il valore aggiunto che noi dobbiamo tendere ad arrivare”.

In questa giornata è stata fatta una sorta di fotografia in tutto ciò che concerne le problematiche attuali, il momento importante delle novità sulla cura della talassemia ed anche uno sguardo al futuro.

Lo ha evidenziato la dottoressa Monica Calamai Direttore Generale della AUSL di Ferrara affermando che il Centro Hub di Ferrara ha un ruolo a livello nazionale ed internazionale, infatti partecipa anche a studi clinici sulle nuove terapie geniche di livello internazionale.
“Appuntamento importante – ha affermato – perché è un momento di confronto, si va oltre ogni ostacolo pensando a quando la patologia è stata diagnosticata, alla talassemia major e l’evoluzione che c’è stata da un punto di vista medico sanitario e i risultati straordinari che ha portato oggi per la popolazione che ne è affetta. Altri sono in corso e sono eccezionali”.

E’ intervenuto anche l’Assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna Raffaele Donini il quale ha espresso soddisfazione nell’assistere ad un congresso così partecipato con lo scopo di aggiornare i pazienti e le loro famiglie ed informare al meglio anche i professionisti del sistema sanitario, infermieri e istituzioni che devono essere pungolate dalle associazioni stesse; un lavoro che stanno eseguendo in modo efficace.
“Quello di Ferrara – ha affermato – è un Centro Hub ed un Centro ERNS. In Emilia-Romagna siamo in rete dal 2005. Vedremo se riusciremo a concretizzare la rete Nazionale delle talassemie ed emoglobinopatie, Ferrara sia dal punto di vista clinici ed associativo è capofila nella nostra Regione ma direi anche nello scenario Nazionale”.

Ha partecipato anche il dott. Vincenzo De Angelis Direttore del Centro Nazionale Sangue, il quale parlando della giornata per fare il punto rispetto alla patologia:
”Vorrei ricordare che per i talassemici è fondamentale il ruolo del sangue ed io cercherò di spiegare il Centro Nazionale Sangue rispetto a questa patologia che ruolo ha e quali sono le funzioni.
Il Centro Nazionale Sangue è l’organo di coordinamento del sistema trasfusionale e quindi effettua supervisione, monitoraggio e programmazione per l’attività trasfusionale del paese.
Nell’ambito specifico della talassemia, il Centro è anche la sede del registro nazionale della talassemia, un registro che in realtà sta muovendo i primi passi, la cui finalità sarebbe proprio quella di avere a giorno ed in linea tutti i dati che si riferiscono ai bisogni, non solo trasfusionali ma soprattutto trasfusionali dei pazienti talassemici in giro per il paese.
Anche qui il registro ha l’ambizione di dover poi mettere insieme realtà regionali diverse che hanno velocità in questo momento diverse.
Facciamo proprio un focus, perché ci troviamo in Emilia Romagna e magari lo stesso tipo di operazione/azione che viene attuata non ha lo stesso esito rispetto ad un’altra regione. Quindi questa sorta di macchia di leopardo, lei ha detto che “essere pazienti talassemici significa essere tutelati nella donazione del sangue”, che cos’è che succede esattamente?
“Se noi siamo convinti e lo siamo, che il sangue sia una risorsa strategica per la cura di moltissime malattie e la talassemia è una di queste, allora il dovere di ogni cittadino italiano è quello domandarsi che cosa può fare per contribuire alla salute dei pazienti che hanno meno fortuna di lui e quindi tutti colore che possono donare sangue dovrebbero farlo sapendo che questo è un loro dovere per garantire il diritto dell’ammalato ad essere trasfuso.
Purtroppo come ha notato lei, la situazione in Italia è a macchia di leopardo, ci sono regione e l’Emilia Romagna è tra le prime regioni italiane ad avere un grande numero di donatori, una grande organizzazione trasfusionali, una grande organizzazione di supporto ai pazienti e il Centro di Ferrara ne è sicuramente un esempio.
Questa situazione non è uguale nel paese e non perché manchino le leggi ma perché l’applicazione e la velocità dell’applicazione di questi leggi è assai difforme all’interno del Paese, quindi l’invito è duplice: da un lato quello di ricordare a tutti i cittadini italiani che sono in buona salute che donare sangue è fondamentale per tutti i pazienti che di questo sangue hanno bisogno, i talassemici rappresentano senz’altro un esempio ma non sono i soli; e dall’altro lato alle istituzioni regionali perché le leggi che ci sono vengano costantemente applicate in maniera da rendere efficace il sistema trasfusionale italiano”.

Il dott. Valerio Cecinati dell’Oncologia Pediatrica Ss.ma Annunziata Taranto ha parlato delle nuove terapie ma, a proposito di quanto affermato dal direttore del Centro Nazionale Sangue ha affermato: “Per quanto riguarda la questione della disponibilità di sangue, abbiamo passato un periodo non facile che è legato soprattutto alla riduzione delle donazioni legato all’estate ed è sicuramente un argomento su cui dobbiamo ancora lavorare tanto per riuscire ad avere un’ottimizzazione di questi percorsi, quindi garantire sangue ai nostri paziente che poi costituisce la sopravvivenza per la loro malattia.
Per quanto riguarda le criticità se vogliamo parlare delle terapie nuove, innovative, penso che il problema più importante sia l’accesso alle cure. Abbiamo visto che le terapie sono costose e quindi la possibilità di accedere a queste cure non è per tutti e quindi l’obiettivo delle istituzioni ma anche nostro di stimolo è quello di poter garantire a chi ne ha la possibilità, che possa avere le cure per poter migliorare o addirittura risolvere la malattia.
Abbiamo comunque la possibilità di essere un gruppo in Italia e questo è molto importante su tutto ciò che va ma soprattutto su tutto ciò che non và, di imparare dalla scuola di Ferrara, dalla scuola di Torino, Napoli ecc.. e quindi crescere ancora di più.
Sicuramente queste nuove terapie quando ci sarà un accesso per tutti saranno sicuramente una rivoluzione per i nostri pazienti”.

Siamo a Ferrara ed è quindi anche giusto ascoltare le parole di Matteo Bertini, cardiologo dell’Azienda Ospedaliera il quale ha parlato di una patologia ancora abbastanza diffusa in questi pazienti legata alle problematiche cardiologiche.
“Le aritmie – ha affermato – oggigiorno per quel che riguarda le complicanze cardiologiche nel paziente talassemico la fanno da padrona. Per fortuna una volta lo scompenso cardiaco che era la malattia più pericolosa è stata, non dico debellata, ma ridotta molto come incidenza grazie anche alle nuove terapie come terapie chelanti del ferro però il cuore continua a dare segno di sé in questi pazienti attraverso le manifestazioni di episodi aritmici che possono compromettere la qualità di vita.
Esistono diversi approcci terapeutici per gestire queste aritmie. In particolare possiamo andare dal semplice approccio attraverso dei farmaci fino ad approcci più complessi come quella interventiva attraverso l’ablazione di questo tipo di aritmia attraverso sistemi innovativi che ultimamente abbiamo a disposizione.
L’ablazione ad esempio della fibrillazione atriale in questi ultimi anni ha avuto a disposizione tutta una serie di tecnologie innovative che consentono di eseguire la procedura in assoluta sicurezza e anche aumentano l’efficacia della procedura stessa soprattutto garantendo la sicurezza nei pazienti più fragili.
L’ablazione presenta il fatto che solitamente queste azioni vengono fatte con diverse forme di energia, cioè noi bruciamo una piccola parte di tessuto cardiaco, di cellule del cuore, che elettricamente fanno origine a queste aritmie. Possiamo fare questa bruciatura con la radiofrequenza quindi applichiamo proprio del calore all’interno del cuore per bruciare queste cellule miocardiche oppure con una temperatura estremamente bassa ovvero la crioablazione, che ha la stessa efficacia.
Abbiamo a disposizione una nuova forma di energia che si chiama elettroporazione che è l’applicazione di un campo elettrico molto forte per pochissimi secondi in queste cellule cardiache per far sì che la cellula elettricamente diventi inerte quindi non conduca più la sua elettricità e non faccia più quei danni elettrici che faceva prima”.

Quali sono le nuove terapie di cui parlano tutti lo ha in qualche modo spiegato il prof. Antonio Piga del San Luigi Gonzaga di Orbassano, il quale ricordando ciò che è emerso in questa giornata ha affermato:
“Le novità in campo terapeutico per la talassemia finalmente diventano concrete.
Si parla da tanti anni di terapia genetica o di terapie che possano diminuire o eliminare le trasfusioni nei pazienti con talassemia, oggi siamo su aspetti concreti nel senso che ad esempio c’è un farmaco approvato e disponibile da pochi mesi per i pazienti talassemici che fanno le trasfusioni per diminuire e in qualche caso per annullare le trasfusioni.
È un farmaco semplicissimo da fare, si chiama Luspatercept ed è come se fosse un’iniezione di insulina che si fa una volta ogni 21 giorni. C’è la terapia genetica di cui si parla da 45 anni perché si è iniziato proprio nel mondo della talassemia con i tentativi della terapia genetica.
Oggi una prima forma di terapia genetica è approvata da pochi giorni negli Stati Uniti.
Era stata approvata in Europa ma poi la casa si è ritirata per ragioni economiche.
Negli Stati Uniti c’è dal 17 agosto 2022 ed è la terapia più cara al mondo che esista, ogni paziente che viene trattato costa 2,8 milioni di dollari, però con un rimborso fino all’80% in caso di successo o successo parziale, molto interessante”.

Lo stesso argomento è stato trattato dal dott. Mattia Algeri, pediatra emato oncologo dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma il quale ha fatto il punto sulla terapia genica come nuova frontiera per la cura della talassemia.
“La situazione attuale – ha affermato – è che ci sono una serie di protocolli in fase di attiva sperimentazione che possono poi tradursi in una guarigione per i pazienti talassemici.
Eravamo in procinto di attendere, sul panorama europeo, i risultati e la possibilità di trattare in forma commerciale pazienti con approcci di terapia genica di tipo additivo con vettori lenti virali.
Questo però non si è tradotto in realtà per una decisione della Company, fortunatamente ci sono altri approcci come quello del gene editing in fase avanzata di sperimentazione. Speriamo nell’arco di qualche anno di poter far sì che siano universalmente disponibili.
La terapia genica consiste in un senso generale di prelevare le cellule staminali del paziente e andarle a modificare geneticamente con tecniche che sono differenti da approccio ad approccio, per correggere il difetto genetico responsabile della malattia.
La talassemia, ad esempio, dove le cellule malate sono le cellule del sangue, si vanno a correggere le cellule staminali emopoietiche del midollo osseo, quelle che producono le cellule del sangue andando a correggere questo difetto genico e consentendo a questi pazienti di produrre emoglobina e quindi globuli rossi funzionanti con cui andare a ossigenare tutti i tessuti e nel momento in cui questi pazienti sono poi in grado da soli di produrre i loro globuli rossi non hanno più bisogno di essere sottoposti a trasfusioni croniche”.
Ha parlato di alcune terapie, una che probabilmente per essere sfruttata si devono raggiungere gli Stati Uniti, sottolineando però che ce ne sono due sulla quale si sta lavorando.
Ad esempio al Bambin Gesù e ci si avvale di una produzione all’estero.
“La produzione – ha voluto evidenziare – viene fatta in specifici siti selezionati dalla Company che in questo momento sono prevalentemente all’estero.
Le cellule vengono prelevate nel Centro di trattamento, in questo caso al Bambin Gesù ma ne verranno verosimilmente identificati anche altri nel panorama nazionale.
Le cellule così prelevate vengono inviate al centro di manufactoring dove vengono lavorate e vengono reinviate in forma criopreservata, quindi congelate e pronte per l’infusione.
I tempi per l’autorizzazione in immissioni commercio non sono prevedibili e credo che ci vorranno almeno due anni da adesso per far sì che si vada in una fase successiva cioè da una fase di sperimentazione alla fase commerciale”.

Ascoltando la relazione della dott.ssa Bruna Zani, psicologa dell’Università di Bologna abbiamo ripercorso indietro nel tempo andando al 2013, quando in una pubblicazione fortemente voluta dall’Associazione di Ferrara, dal titolo: “Come vincere la sfida della talassemia – resilienza e qualità della vita”, c’è un capitolo dal titolo: “Le evidenze empiriche: un’indagine sulla qualità della vita in persone adulte con talassemia”
Da diversi anni quindi lavora ad uno studio sulla popolazione dei talassemici dopo i quali si può fare un bilancio.
“Noi siamo partiti su indicazione e proposta del professor Rino Vullo che venne a cercarmi all’Università di Bologna per chiedermi di fare una ricerca scientificamente fondata sui suoi “ragazzi” ovvero gli adolescenti talassemici.
Parliamo del 1994 e la prima ricerca fu con gli adolescenti di età media 17 anni e con un gruppo di controllo di ragazzi ferraresi della stessa età e dello stesso contesto.
Venne fuori la conferma di quello che Vullo si auspicava che ci fosse, cioè che gli adolescenti con talassemia avevano un funzionamento psico-sociale, se non uguale a quello dei coetanei in alcuni punti addirittura migliore, quindi con una capacità di reagire alle situazioni più positive di quelle dei coetanei.
Pubblicata allora in una rivista scientifica, fece un certo scalpore perché c’è la letteratura tradizionale che sottolinea sempre gli aspetti negativi della malattia cronica, noi invece avevamo rovesciato questo contro stereotipo.
La ricerca venne poi riproposta nel 2010, 16 anni dopo, con la stessa popolazione di ragazzi del ’94 che nel frattempo erano cresciuti in età media 35 anni e trovammo le stesse conferme.
Questo studio del 2010 fu pubblicato nel libro “Come vincere la sfida della talassemia. Resilienza e qualità di vita”.
Fu fatto insieme al dott. De Santis allora direttore, Giuseppe Masera grande esperto, Umberto Barbieri che allora era il Presidente dell’associazione ALT e Debora Basile una studentessa.
Il concetto di resilienza ci aiutò proprio ad esprimere al meglio quello che effettivamente la popolazione giovani adulti (i trentenni) stavano vivendo.
La capacità di reagire in maniera positiva e proattiva alla situazione con un buon funzionamento.
Il terzo studio è del 2022, con la stessa popolazione di talassemici. Credo che questa sia una cosa se non unica nel suo genere abbastanza originale.
Tra febbraio e aprile abbiamo rifatto la ricerca con lo stesso questionario.
Popolazione di età media 52 anni.
Ci rendiamo quindi conto che i talassemici sono cresciuti, sono maturi e hanno fatto famiglia, figli, una prospettiva di vita che quando si è partiti 30 anni fa era inimmaginabile.
Anche qui a confronto con un gruppo di coetanei ferraresi.
Mentre inizialmente negli altri sudi le differenze fra i due gruppi si notavano di più, in questa ultima ricerca si notano di meno.
Non ci sono differenze statisticamente significative negli aspetti che abbiamo analizzato che riguardano il funzionamento psico-sociale, quindi le relazioni interpersonali, le strategie per affrontare le situazioni problematiche, gli stati emotivi, il futuro che dichiarano di voler raggiungere con degli obiettivi, per alcuni giustamente la pensione ma come anche con il gruppo di controllo.
Ecco perché le differenze non sono tanto significative ma anche questo è un dato interessante perché ci dice che questa popolazione di persone con talassemia ha un buon funzionamento psico-sociale.
È chiaro che ci sono problemi o preoccupazioni, ma chi non ne ha oggi?
Abbiamo aggiunto un pezzo in più diverso in questa ricerca che è “vivere con la pandemia”, perché negli ultimi due anni sono stati anni critici ma lo sono stati per tutti.
Quindi in questo senso anche qui non abbiamo trovato delle differenze rispetto alla percezione che le persone hanno rispetto alle loro condizioni di salute.
Non sono ottimali ma anche il gruppo di controllo si trova nella stessa situazione.
C’è una “normalizzazione” tra il gruppo dei talassemici e il gruppo di controllo”.

Nel prossimo numero del giornale pubblicheremo un’intervista che la dottoressa Zani ci ha gentilmente concesso per fare il punto sul lavoro che sta svolgendo.
* * *
In questo incontro/studio fra ricercatori, medici, amministratori pazienti c’è stato un intervento in qualche modo fuori dai soliti canoni ma significativo sul significato di solidarietà e soprattutto sul ruolo che possono assumere, fra i tanti delle associazioni.
Una piccola/grande storia di solidarietà raccontata da Marco Bianchi dell’associazione ALT “Rino Vullo”. Una giornata che ha raccontato delle nuove frontiere della ricerca scientifica, delle cure e della diagnostica.
“Oggi però vogliamo raccontare anche una storia vera – ha affermato Marco Bianchi intervenendo – che parte da un contatto arrivato tramite internet e che arriva proprio ad un collegamento con il prof. Lawrence Faulkner dell’Associazione “Cure the children”e che è un trapiantologo.
La storia inizia con il ricevimento di un messaggio via internet da un mediatore di Ferrara che aveva ricevuto una richiesta dall’Iraq da un padre di una famiglia irachena, molto preoccupato perché aveva un bambino di due anni e mezzo affetto da talassemia.
Il padre aveva saputo che la talassemia in Iraq poteva essere un problema drammatico perché non ci sono le cure e non c’è sangue e quindi chiedeva se l’associazione di Ferrara poteva aiutarlo a fare un trapianto in Italia perché il bambino venisse curato definitivamente.
In passato avevamo aiutato altre persone dall’estero a venire a fare indagini all’ospedale di Ferrara con ricoveri di tipo umanitario però era una cosa più semplice perché erano comunque ospitati nella nostra struttura, facevano delle cure di più tradizionale.
In questo caso dovevamo affrontare un trapianto che in Italia comunque è molto costoso per una persona che non rientra nel servizio sanitario nazionale quindi avremmo dovuto chiedere alla Regione se era in grado di spendere una cifra enorme per questo bambino.
Mi sono ricordato che circa 20 anni fa ad un congresso della Federazione internazionale a Cipro, avevo ascoltato un intervento di Lawrence Faulkner, questo trapiantologo di Firenze che va nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo ad affiancare team di medici per creare Centri di trapianto in modo che possano essere poi i medici dei vari paesi ad occuparsi delle procedure.
Così è stato.
L’abbiamo contattato e si è subito reso disponibile con la sua Associazione “Cure the children”.
Gli abbiamo fornito tutta la documentazione che serviva, soprattutto la compatibilità con la sorella, perché è stata lei la donatrice del midollo.
E’ stato contattato un Centro ad Abu Dhabi dove lui stava aiutando ad allestirlo e che ha dato la disponibilità per questa procedura. In aprile di quest’anno hanno fatto l’intervento e il bambino adesso sta bene.
Abbiamo raccontato questa storia perché sembrava meritoria l’attività dell’associazione “Cure the children” che va in India, Pakistan, paesi dell’Africa, Iraq, a impiantare questi Centri perché la talassemia non è soltanto un problema italiano ma mondiale”.