storia
1998: ANNO NUOVO, VECCHIE BATTAGLIE

Il 24° anno del nostro giornale inizia con uno dei tanti appelli contro la disinformazione, che si manifesta con un editoriale sulla scarsa conoscenza dei pochi farmaci esistenti per alcune delle malattie rare e delle malattie stesse.

…le nostre parole cozzano e rimbalzano indietro una, due…tante volte che le dita delle mani non bastano più per contarle. Forse neppure quelle dei…piedi, estremità che spesso usano, per lavorare, coloro ai quali mi rivolgo attraverso questo editoriale. Siamo costretti, ancora una volta, come dimostrano la copertina e gli articoli a prendere atto della perfetta ignoranza di medici che dovrebbero essere informati, ma soprattutto della voglia insanabile di “creare scalpore”, da parte di giornalisti non documentati sulle malattie di cui scrivono. Come si può affermare: “guarisce da anemia falciforme”, quando si sa perfettamente che la drepanocitosi è una malattia ereditaria dalla quale non si guarisce? E come si può parlare con tanta leggerezza di trapianto di midollo su una persona adulta? E come può il Primario di un reparto ospedaliero non sapere che a pochi chilometri dalla sua città (Figline Valdarno) esiste uno dei più attrezzati Centri italiani (Ospedale di Careggi – prof. Rossi Ferrini) e quindi rivolgersi via internet agli Stati Uniti per avere un protocollo di cura che in Italia si pratica ormai da anni? Altrettanto sconcertante il silenzio degli stessi giornali ai nostri fax di protesta e di richiesta di rettifica, volti a dare l’informazione giusta. Le battaglie che combattiamo in tutti i settori della vita pubblica per il riconoscimento del nostro diritto “ad esistere”, per ottenere cure adeguate o riconoscimenti legislativi, ci costringono a combattere contro un “nemico” che si chiama ostruzionismo ignorante e becero dei mass-media, che quando sanno di aver sbagliato preferiscono il silenzio. Pensano che noi siamo troppo piccoli per fare più “rumore” di loro. Si sbagliano! La nostra è una forza che viene dalla consapevolezza di battersi per un futuro, per la vita e non per riempire qualche colonna di giornale.

Per confermare quanto si leggeva nell’editoriale, nelle pagine interne illustrammo diversi casi di malattie rare, particolare la drepanocitosi o anemia falciforme.

I FARMACI DA INGEGNERIA GENETICA

Sull’argomento emofilia pubblichiamo un articolo nel quale si denunciano i ritardi per ottenere i prodotti da ingegneria genetica. Così commentava il segretario generale della Federazione Nazionale degli Emofilici:

Si parla tanto del caso Di Bella, ma quanto a mancata distribuzione dei farmaci, ben altri sono gli scandali. Ne sanno qualcosa gli emofilici, che nell’ormai lontano 1995 hanno visto registrare il Fattore VIII ricombinante, ottenuto con tecniche di ingegneria genetica e dunque sicuro da trasmissioni di virus come quelli che hanno colpito questa categoria di malati (HIV ed epatiti). Come mai dunque questo farmaco utilizzato da anni nei maggiori Paesi europei e mondiali, nonostante il consenso unanime delle massime autorità scientifiche italiane, nonostante una sentenza esemplare del TAR del Lazio che ne imporrebbe la distribuzione nelle farmacie, ancora oggi non è disponibile alla maggior parte degli emofilici italiani? Non è certo un problema di costi, affermano le associazioni di malati, soprattutto considerato che gli eventuali destinatari del farmaco sarebbero non più di 3000 in tutta Italia. E allora? Faremo anche noi, come i seguaci del prof. Di Bella: cercheremo pretori disposti a renderci giustizia.

LA FECONDAZIONE ASSISTITA

Altro argomento molto importante quella della fecondazione assistita per gli HIV positivi. Un problema che sta a cuore a molte coppie della comunità dei nostri lettori. È possibile avere dei figli con un uomo sieropositivo? La risposta naturalmente è affermativa e noi cerchiamo di seguire le tappe di questa avventura, fornendo informazioni e indirizzi. Il primo articolo in proposito così descrive l’intervento:

La fecondazione assistita tra uomo sieropositivo e donna sieronegativa è praticata in Italia presso l’ospedale S.Paolo di Milano. Questa metodica, sperimentata da diversi anni con ragionevole sicurezza, consiste nel “pulire” il liquido seminale maschile dalle componenti virali e depositarlo in modo indolore, tramite una siringa senza ago, nell’utero. Per garantire maggiori possibilità di successo, tale operazione viene effettuata a seguito di un monitoraggio ovulatorio, che consente di individuale il giorno più fecondo della donna. Prima di sottoporsi alla fecondazione assistita, i partner affrontano una serie di analisi. Per la donna è previsto un prelievo di sangue, elettrocardiogramma, radiografia al torace, esame delle urine e isterosalpingografia. Per l’uomo, oltre al prelievo di sangue, si pratica uno spermiogramma e un tampone uretrale. La prima inseminazione, soprattutto per chi non abita a Milano, è lo scoglio più grande da affrontare. La volontà della coppia di avere un figlio viene messa alla prova anche attraverso questi disagi. Il liquido seminale va consegnato al biologo entro 30 minuti dalla raccolta, il che rende purtroppo indispensabile usufruire dei bagni dell’ospedale che, com’è prevedibile, contribuiscono a togliere romanticismo all’intera operazione. Dopo tre tentativi di fecondazioni andati a vuoto, si praticano alla donna iniezioni intramuscolo di uno stimolatore ormonale. Se anche il cosiddetto “ciclo stimolato” non dovesse avere successo, è possibile tentare ulteriormente con la fecondazione in vitro. Dal punto di vista economico, ogni emofilico verrà completamente esentato dai pagamenti, mentre la donna dovrà pagare il ticket per le analisi e in particolare per le ecografie, il cui costo ammonta a Lire 70.000.

CHE VOLTO AVRÀ LA GIUSITIZA?

Ma non ci sono soltanto le terapie. Infatti, l’editoriale di febbraio, ancora una volta, raccoglie il riassunto del nostro lavoro, quello per intenderci che ci portava periodicamente nei palazzi del potere.

Ascoltare… per voler udire

Dal finestrino del treno che mi porta a Roma vedo fuggire veloci, davanti agli occhi, le dolci colline toscane. È uno dei tanti viaggi intrapresi per incontrare politici, amministratori, associazioni, funzionari di Ministeri. Questa volta mi accompagna il ricordo recentissimo della voce di una mamma che mi annunciava la morte del figlio 17enne. La voglia di piangere mi assale ma si ferma alla gola. Quel “groppo” che libera poi un moto di rabbia impotente. Quante volte mi sono ripetuto in questi anni: “questo deve essere l’ultimo…”. Quante volte avevo ascoltato le parole di Vincenzo che ripeteva: “Ogni volta se ne va anche un poco di me…”. Poi, ogni volta ci si rimette in piedi, si affilano le unghie per incidere gli specchi che ci vengono messi di fronte. I personaggi cambiano ma gli specchi sono sempre gli stessi: devono essere “scalati” e poi scavalcati. …Ancora le colline toscane, ancora la voce di quella giovane mamma che mi dice: “…abbiamo medicinali molto costosi, ci sono rimasti e vorrei che andassero a qualcuno che ne ha bisogno. Se li do a voi sono sicura che andranno a buon fine…”. Non ricordo le parole che ho rivolto a quella mamma, soltanto la mia e la sua voce rotte dal pianto. Sì, lo confesso e non me ne vergogno, ho pianto con lei, in un abbraccio ideale di partecipazione. Soltanto questo ho potuto fare, perché il dolore che si prova per la perdita di un figlio deve essere qualcosa che posso soltanto immaginare. Attraverso il finestrino del treno dolci colline toscane hanno lasciato il posto alla pianura che anticipa l’arrivo a Roma. E penso alle lotte per il potere politico, alle battaglie fra partiti, fra raggruppamenti: di destra, di sinistra, di centro, con sempre in primo piano il potere, negli interessi di coloro che non hanno tempo e voglia di ascoltare il pianto di una mamma o se lo fanno scivola via, sulle loro anime e sui loro corpi così tesi verso una spartizione dove non può esserci posto per queste “piccole storie” che ricordano loro la malasanità, il malgoverno e la non difesa dei più deboli. Sto entrando nell’ufficio di un Ministero. Chissà se riuscirò a raccontare e far capire tutto questo prima di chiedere ancora una volta, i nostri diritti e un po’ di giustizia…

E poi la cronaca dell’incontro con la dott.ssa Bisignani, Capo dell’Ufficio speciale della legge 210 del 1992, la quale ci conferma che ancora dopo ben sei anni dall’entrata in vigore della legge occorrono due anni per istruire le pratiche della domanda.

LA COLLABORAZIONE FRA MEDICI E PAZIENTI

Sempre a febbraio il dott. Massimo Morfini, in occasione di un convegno a Bolzano, ci concede un’intervista nella quale presenta la prima parte di una relazione sullo stato dei Centri per l’emofilia in Italia e il rapporto di collaborazione con la Federazione degli Emofilici. E proprio a proposito di quest’ultimo argomento afferma:

I medici e i pazienti dovrebbero essere uniti nelle seguenti rivendicazioni:Stabilire i livelli organizzativi e definire esattamente gli organici dei Centri, così come ha fatto il National Health Service in Gran Bretagna.

    1. Definire e far rispettare i compiti istituzionali del Personale addetto ai Centri, denunciando la strumentalizzazione delle risorse per compiti non istituzionali.
    2. Revisione delle esenzioni dalla partecipazione alla spesa sanitaria (ticket) per la patologia: è una vergogna che un emofilico sia esentato solo per l’esame emocromocitometrico e per le Rx delle articolazioni sede artropatia e debba invece pagare cifre ragguardevoli per eseguire il controllo dell’inibitore o un banale check up.
    3. Rivedere i criteri di finanziamento dell’assistenza agli emofilici prevedendo per l’emofilia un sistema diverso dalle DRG per i ricoveri o dal semplice calcolo dei carichi di lavoro per i pazienti ambulatoriali.
    4. Un sistema di distribuzione dei farmaci diverso che permetta di risparmiare sui costi della distribuzione per incrementare l’acquisto di farmaci innovativi. Purtroppo gli emofilici si sono cullati sugli allori degli anni settanta quando il riconoscimento dell’emofilia come malattia sociale sembrava aver assicurato un roseo avvenire. In realtà con la così detta “riforma della riforma sanitaria” si è messo in moto un meccanismo di controllo indiscriminato della spesa sanitaria che ha ridotto certamente alcuni sprechi ma colpisce anche chi ha veramente necessità di cure e assistenza altamente specializzate e quindi molto costose. Adesso che la battaglia per il “danno biologico” sembra aver riscosso qualche successo sia pure parziale, gli emofilici dovrebbero farsi carico insieme ai loro medici di realizzare l’organizzazione e gli organici dei Centri Emofilia se non vorranno finire per essere assistiti in anomali ambulatori dove faranno parte dei tanti, magari anche più gravi, pazienti senza trovare alcuna specifica competenza. Io credo che la Federazione delle Associazioni insieme all’AICE devono farsi promotori di una decisa azione a livello del Ministero della Sanità e poi delle Regioni per ottenere il giusto riconoscimento delle necessità degli emofilici

Il numero di marzo è racchiuso ancora una volta nell’articolo di copertina.

I CENTRI EMOFILIA IN ITALIA

Continua l’inchiesta sui Centri di cura dell’emofilia con un’intervista al dott. Gavino Piseddu, responsabile del Centro di Sassari, che si esprime attraverso l’esempio di un tavolo con tre piedi rappresentati da: medici, pazienti e aziende.
Queste le sue parole sull’argomento

Se ognuna delle tre componenti svolge per intero il suo ruolo in perfetta simbiosi con le altre si può raggiungere una organizzazione duttile e moderna dell’assistenza. Questo si può raggiungere se non si perdono di vista i seguenti concetti basilari:

  • Il paziente deve avere il massimo della autonomia ma deve collaborare con il Centro di fiducia onde poterne trarre il massimo beneficio.
  • Se il paziente non ha sufficiente fiducia nel suo Centro è meglio che si rivolga ad altri centri, piuttosto che curarsi autonomamente.
  • La costanza del rapporto fra paziente e Centro consente ai medici di preparare al meglio i vari colleghi specialisti per qualsiasi eventualità.
  • La forza e la preparazione del Centro dipendono in gran parte da quanto il paziente chiede al Centro.
  • Il Centro deve essere il fulcro dell’assistenza globale dell’emofilia.
  • La rete dei Centri deve essere capillare e distribuita nel territorio in maniera equilibrata.
  • Il Centro deve essere costantemente presente in tutta la storia naturale dell’emofilico pur senza esserne MAI il soggetto principale.
  • L’impegno e il supporto dell’Industria nell’assistenza e nella ricerca sono il collante che non può mancare mai.

Qualsiasi tentativo da parte di uno qualunque dei componenti del “treppiede”, di fare delle fughe in avanti, rischia solo di indebolire lo “sgabello”. L’ansia di affrancarsi completamente dai Centri da parte di alcuni, pur comprensibile dal punto di vista umano, è quantomeno prematura: per i motivi prima esposti. La forza del Centro è il paziente e viceversa. L’assistenza 24 ore su 24 è raggiungibile anche nei Centri più piccoli solo a condizione che gli stessi effettuino una attività costante: altrimenti è chiusura! Noi riteniamo che la distribuzione libera degli emoderivati nelle farmacie esterne su prescrizione anche del medico curante sia un errore. Riteniamo invece corretta una impostazione di questo tipo:

  1. Il medico del Centro sulla base della conoscenza del singolo paziente imposta un protocollo terapeutico per un determinato periodo di tempo e prescrive la quantità di prodotto necessario compresa l’urgenza.
  2. Il paziente su prescrizione del medico curante si approvvigiona presso la sua farmacia di fiducia e annota la quantità di prodotto utilizzato e la causa. Il precoce consumo del farmaco previsto nel protocollo consiglia al paziente di recarsi nuovamente presso il Centro per un accertamento sulle cause (aggravarsi di una artropatia o presenza di un eventuale inibitore). Questo fa sì che il paziente sia libero, ma sempre sotto il controllo costante del medico (il guinzaglio lungo).

Inizia con questo numero la nostra collaborazione con la Fondazione Futuro senza Talassemia attraverso una rubrica gestita autonomamente dalla Fondazione stessa.

In aprile alcuni servizi dei nostri inviati all’inaugurazione del Centro Emofilia per adulti di Palermo, all’assemblea della Associazione Italiana dei Centri Emofilia a Ferrara e all’assemblea di FedEmo a Napoli.
Sulla talassemia, un articolo di Giuseppe Mele su una tavola rotonda svoltasi a Roma dedicata alla terapia chelante e un’intervista al dott. Stefàno, responsabile del Centro Microcitemici di Taranto nella quale afferma che: “…le associazioni svolgono il ruolo della controparte in senso positivo per essere di stimolo ai medici”. L’intervista è stata fatta in occasione di un convegno a Napoli sulle complicanze nella talassemia.

Nel numero di maggio un’altra copertina a favore della campagna informativa sull’AIDS.
Per la talassemia un’intervista con la dott.ssa Angela Jacono, vice presidente della Fondazione Giambrone sulle prospettive e i progetti per il miglioramento della cura.
Ma la vera importante notizia viene da una lettera nella quale una talassemica racconta la sua storia di neo mamma, Giusy che racconta:

“…sono affetta da talassemia mayor. Scrivo questa lettera con lo scopo di dare una speranza a tutte quelle persone che come me, credono che diventare madri sia solo un’utopia. Mi sono sposata il 27 giugno 1992 coronando così il mio primo grande sogno con la consapevolezza però di non poter avere figli. Consapevole fino al giorno in cui non ho letto sul vostro giornale che ricevo ogni mese, un articolo che trattava di ragazze talassemiche diventate madri tramite “l’induzione”. Di primo istinto ne ho parlato con mio marito e sono riuscita a convincerlo ad andare a Ferrara per un consulto. Purtroppo però a causa dell’epatite B presa in seguito alle trasfusioni, i dottori mi hanno detto che prima di pensare ad una eventuale gravidanza tramite induzione, dovevo fare una cura contro questa. Richiedeva troppo tempo (più di due anni) e, in comune accordo con mio marito, ho deciso di tentare di avere un figlio senza induzione visto che, stranamente, ho sempre avuto regolarmente il ciclo mestruale a differenza di molte altre mayor che ho conosciuto. Erano ormai tre anni che io e mio marito tentavamo e speravamo per una gravidanza ma fatto sta che io non riuscivo a rimanere incinta. Ho fatto allora una serie di esami specifici presso un ginecologo di Bergamo, e da questi risultava che avevo l’utero bicorno. Sottopormi ad un’operazione era da escludere vista l’enorme perdita di sangue che avrei dovuto subire e allora, vedendo ancor più scemare la possibilità di portare avanti una gravidanza, lo stesso dottore ci ha consigliato di prendere in considerazione l’adozione. Al momento, dopo questa ennesima delusione, ci era sembrata la miglior cosa da fare. Dopo varie pratiche abbiamo iniziato le sedute con l’assistente sociale e lo psicologo: oramai la speranza di avere un bambino tutto nostro era svanita fino a quando, dopo circa 6 o 7 sedute, ho avuto dei cali di pressione e, rivoltami al medico di famiglia, mi sono sentita chiedere per la prima volta se per caso non ero incinta. Non dimenticherò mai quel momento: una gioia indescrivibile mi ha invasa. Mi sono subito precipitata in farmacia ed ho comprato il test di gravidanza e il risultato è stato positivo! La possibilità di avere una vera famiglia mi si è riproposta innanzi agli occhi! Non volevo illudermi e riprovare un’ulteriore delusione per questo ho deciso di fare anche l’esame delle urine e del sangue e, risultati anche questi positivi, finalmente mi sono detta “è un miracolo!”. Sia io che mio marito avevamo sospeso le sedute per l’adozione ma, vista ancora la possibilità di un aborto, era ancora una soluzione momentanea. Fino al terzo mese di gravidanza è andato tutto bene, poi una leggera perdita di sangue ci ha allarmato. D’urgenza mio marito mi ha portata presso l’ospedale Maggiore di Bergamo dove visita ed ecografia mi hanno rassicurata. Da quel giorno ho capito che la sola cosa da fare per portare a termine la gravidanza era rimanere a letto. Verso il quarto mese ho iniziato ad avere problemi di stomaco e scariche di dissenteria (5 o 6 al giorno) non assimilando quindi niente di ciò che mangiavo: anziché ingrassare continuavo a dimagrire. In seguito a questi problemi ho dovuto iniziare a ricoverarmi un giorno ogni tre settimane, fino ad arrivare al settimo mese ad un giorno ogni due settimane. Alla trentaquattresima settimana più cinque giorni ho iniziato ad avere delle contrazioni, ed in seguito ad un monitoraggio, i medici mi hanno consigliato il ricovero e così la stessa sera rimango in ospedale. Neanche a farlo apposta vengo visitata dalla mia ginecologa, di turno quella notte che decide di praticare un cesareo perché il bambino era sofferente. Si fanno tutti i preparativi e poi via in sala operatoria: alle 23.23 di venerdì 17 aprile 1998 è nato Alex pesava 2,380 kg ed è stato portato nel reparto di patologia neonatale. Ho dovuto aspettare il pomeriggio del giorno dopo per poterlo vedere. Bellissimo! Anche se ero molto preoccupata perché era nella culla termica. Fortunatamente è rimasto solo una settimana nell’incubatrice per poi metterlo nel lettino e fargli raggiungere un peso minimo di 2,500 kg per poterlo portare a casa. Oggi, 7 maggio 1998 Alex è a casa con noi genitori. Insieme a mio marito sono riuscita a coronare il mio secondo grande sogno: quello di essere mamma.

Nel mese di luglio un’intervista ad Angelo Rotondi, presidente dell’Associazione Emofilici del Lazio, sulle cause intentate dall’Unione Forense per i Diritti dell’Uomo fra gli emofilici infettati dagli emoderivati negli anni ’80. In conclusione di intervista Rotondi afferma:

Il processo nel dicembre 1993 dinanzi al Tribunale Civile di Roma per la causa collettiva contro il Ministero della Sanità, ha impiegato quasi cinque anni per giungere alla conclusione della fase istruttoria. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene che quando un processo dura più di tre/quattro anni vi sia la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea nella parte in cui sancisce il diritto alla durata “ragionevole” del processo. È importante dunque raccogliere nel più breve tempo possibile le procure di tutte le persone interessate a promuovere il ricorso dinanzi alla Commissione Europea di Strasburgo. Diversamente dal processo italiano, nel giudizio dinanzi alla Commissione Europea non è opportuno presentare interventi in corso di causa e, dunque, tutti coloro che intendono promuovere il ricorso debbono comunicarlo all’inizio della causa. Debbono quindi informarsi con i loro legali dell’Unione Forense che già li seguono per le cause.

Ancora dibattiti sull’informazione incompleta a proposito del chelante orale Deferiprone L1 per la talassemia in una lettera dalla Sardegna. Ancora una volta chi scrive lamenta anche la scarsa collaborazione fra le associazioni. Il nostro lettore così conclude:

Un’altra realtà che mortifica le prospettive future delle associazioni di volontariato riguarda la mancata collaborazione tra associazioni che si dichiarano al servizio di una stessa categoria di malati. Costituire tante associazioni è positivo, se queste nascono al solo scopo di gestire, ognuna a suo modo, una parte delle risorse disponibili, diviene contrario alle regole deontologiche del volontariato, di conseguenza, contrario agli interessi di quelle categorie che si vogliono rappresentare. Purtroppo i comportamenti di taluni dirigenti, all’interno del volontariato, stanno diventando simili ai tanti altri esempi negativi espressi della classe politica e dirigente, costruiti secondo regole ben consolidate, capaci di sottoscrivere ogni forma di compromesso, pur di garantirsi una parte del potere. Una specie di passaporto per avere libero accesso ai mezzi d’informazione, essere invitati nei vari salotti televisivi ecc. Il caso della sperimentazione legata al prof. “Di Bella” è un esempio di come viene gestita la sanità in Italia, sulle garanzie di cui possono contare i ricercatori seri, a quali personaggi è affidata la ricerca scientifica. Addirittura si pretende di distrarre l’interesse dei cittadini pubblicizzando contemporaneamente altre sperimentazioni simili condotte in America nel contempo ci si dimentica di fornire risposte serie e credibili alla sperimentazione che è in atto in Italia. Altro che entrare in Europa!

Apriamo il numero di agosto con una lettera/editoriale ai lettori dal titolo:

Vincenzo un esempio per tutti

Cari amici, in una calda notte fra il 31 luglio ed il primo agosto di cinque anni fa se ne andava Vincenzo. Voltarsi indietro per ricordare gli anni del suo impegno sarebbe riduttivo perché ciò che ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi non vale una qualsiasi misera e gelida commemorazione. E non voglio parlare ai “più vecchi” che lo hanno conosciuto, ma a quei giovani che si affacciano ora in questo grande e complicato mondo del volontariato e che ci esprimono, quando li incontriamo ai convegni, molte perplessità e insicurezza, del resto comprensibili. Ricordo loro che questo giornale è lo strumento che lui ha fortemente voluto venticinque anni fa per combattere l’emarginazione e la disinformazione. Attraverso queste colonne sono passate le battaglie, le vittorie ed anche le “sue” sconfitte che sono state poi quelle di tutti. Se noi, oggi, siamo ancora qui a batterci e ad offrire uno spazio a coloro che hanno qualcosa da dire o da fare, lo dobbiamo a lui che ci ha insegnato la tenacia, l’onestà, la serenità, la consapevolezza di un ruolo importante rivolto verso coloro che sono l’anello debole della catena di questa società. Lo dobbiamo a lui se nel cammino di questi cinque anni abbiamo incontrato altri con la sua determinazione, uniti da quel ponte invisibile, ma indistruttibile che si chiama amore. Con lui comunque vogliamo ricordare tutti coloro che si sono persi per strada, troppi! Ultimo in ordine di tempo, Nino, che faceva parte dell’associazione di Ravenna. Vincenzo Russo Serdoz un amico, un fratello, ma soprattutto, ancora oggi, quell’esempio di determinazione e di stimolo che ci serve nei momenti difficili o quando ci battiamo per i diritti calpestati. Di questo volevo parlarvi, cari amici, nel momento in cui ci accingiamo a riprendere quell’attività che rallenta nel periodo estivo, ricordando che l’autunno sarà ancora caldo per le battaglie che ci accingiamo a combattere, anche in nome tuo, caro amico/fratello, consapevoli che ci guiderai, dovunque tu sia…

Nel numero di settembre un servizio dal nostro inviato al congresso della Società di Emostasi e Trombosi. Tra gli argomenti più importanti trattati, la profilassi in emofilia come intervento precoce per evitare lo stabilirsi dell’artropatia emofilica.
Sull’esperienza italiana, in una nostra intervista, il dott. Gringeri afferma:

È vero che l’artropatia viene minimizzata o è soltanto un effetto che vediamo retrospettivamente? E ci siamo chiesti: coloro che riescono dall’età di 2/4 anni a fare un trattamento endovenoso tre volte alla settimana fino all’adolescenza per 10/15 anni, riusciranno a minimizzare l’artropatia emofilica ed avere a livello delle articolazioni un riparo dalle emorragie? Gli studi fatti in altri paesi (Svezia e Stati Uniti) ci hanno indicato come la profilassi sia efficace. A questo punto, per meglio rispondere a queste domande, abbiamo deciso di fare uno studio controllato randomizzato di confronto e di valutazione dell’efficacia nel prevenire il deterioramento articolare e nel ridurre la frequenza dei sanguinamenti al quale partecipano i maggiori Centri italiani. Inoltre, come valutazione non secondaria per importanza, quello di valutare il rischio di inibitore ed i costi rispetto al trattamento normale. Pazienti con emofilia A grave, cioè con fattore inferiore ai 7 anni, perché gli studi e la letteratura scientifica internazionale fanno notare come una profilassi iniziata dopo questa età probabilmente non è più in grado di prevenire quei danni articolari irreversibili che si verificano nei primissimi anni di età. Si è fatta anche una determinazione per quanto riguarda la sicurezza del trattamento e di un eventuale sviluppo di inibitore, valutazione ortopedica e radiologica di gomiti, ginocchia e caviglie in modo da valutare la progressione o la comparsa di eventuali artropatie, il costo della terapia ed anche una valutazione psicologica dell’impatto di queste due diverse terapie sulla famiglia e direttamente più avanti, sui bambini stessi.

Sono stati arruolati nello studio 44 emofilici A gravi senza nessun segno di artropatia. 12 avevano un’età inferiore ai due anni, 15 di età fra i tre e i quattro anni, 17 fra i cinque e i sette anni. Gringeri invita poi a una discussione coloro che curano gli emofilici partendo dall’esperienza di un gruppo americano dal quale si possono vedere delle differenze sull’eventuale sviluppo di artropatia emofilica a seconda di quando viene iniziata la profilassi, e già viene indicato come ci sia un vantaggio laddove il trattamento inizi prima dei due anni.
Così continua:

Sappiamo benissimo come i sanguinamenti articolari e muscolari in bambini di età inferiore ad un anno sono veramente rarissimi. Probabilmente teniamo conto soltanto di quegli episodi clinici evidenti, sia il medico che i genitori ed eventualmente neanche avvertiti sintomatologicamente dal bambino. Attualmente 21 pazienti hanno superato l’anno di follow-up; 10 pazienti lo raggiungeranno fra poco; i restanti hanno appena iniziato; 2 pazienti hanno rifiutato. I pazienti sono stati trattati con prodotto ricombinante cercando di tenere un dosaggio minimo anche in considerazione dei costi elevati. Il prodotto viene infuso tre volte la settimana. 3 pazienti hanno sviluppato un inibitore. Uno di questi a titolo molto basso, tale da permetterci di farlo restare all’interno del programma. Comunque i casi sono in trattamento di immunotolleranza per tentare non soltanto di far scomparire l’inibitore, ma di prevenire sempre l’artropatia. Abbiamo tenuto il dosaggio ad un livello del 2% trasformando l’emofilico grave in emofilico lieve o tuttalpiù moderato. Nessuna emorragia articolare o muscolare è stata riscontrata nei pazienti in profilassi che è stata ben accettata dalle famiglie e dai bambini. A distanza di un anno quindi posso dire che la terapia è sicura ed efficace. Certo, sono dati sommari, senza conclusioni ma estremamente promettenti, soprattutto per affrontare alcuni dei problemi che ci si pongono giornalmente quando dobbiamo proporre questa terapia alle famiglie soprattutto subito dopo la diagnosi di emofilia. Ci aspettiamo i veri risultati fra 3/6 anni dall’inizio dello studio.

PROPOSTE DI LEGGE SULLA PREVENZIONE E CURA DELLE TALASSEMIE

Mercoledì 9 settembre veniamo convocati alla Camera dei Deputati in XII Commissione Affari Sociali per un’audizione riguardante le tre proposte di legge quadro sulla “prevenzione e cura della talassemia, drepanocitosi ed emoglobinopatie genetiche”. Ci ritroviamo noi di Futuro senza Talassemia, in rappresentanza anche della Consulta Nazionale delle Associazioni dei Talassemici per mandato del presidente Ezio Stefàno, con Angela Jacono, Andrea Barra, Filippo Martino, Flavio Coconari, il col. Campanella, Barbieri, Giuseppe Collerone, Campodonico. Ma anche con amici di vecchia data come Coli per la fibrosi cistica e Trecca per le malattie metaboliche di Cometa, entrambi facenti parte del Coordinamento Nazionale Associazioni Malati Cronici del Tribunale per i Diritti del Malato, fondato dal presidente di questa Fondazione e da Teresa Petrangolini.

La prof.ssa Ceci puntualizza efficacemente, aprendo la sessione dedicata alle associazioni, che la talassemia vuole essere trattata da malattia genetica rara e non da malattia sociale, anche se il suo impatto è sociale. Deve interessare la totalità della società, per la sua vasta diffusione territoriale, ma potrà uscire dal suo angolo di secolare emarginazione solo se sarà ritenuta appunto malattia rara. Il motivo è semplice: per le malattie rare non si fa ricerca farmacologica, perché il peso industriale e commerciale di pochi pazienti non è allettante per l’industria e quindi, apparentemente, queste patologie sarebbero destinate alla totale indifferenza scientifica, pur essendo più di 5000.

Ma tutto ciò sarà presto mutato da una legge dell’Unione Europea che verrà incontro alle legittime aspettative dei pazienti affetti da malattie rare e che ricalca la legislazione degli Stati Uniti; dare cioè ai vari governi europei uno strumento di incentivazione alla ricerca da parte dell’industria farmaceutica, così da fare diventare adeguatamente remunerativo un farmaco, cosiddetto orfano, come sono quelli che a fatica stiamo cercando di portare sul mercato o per i quali le organizzazioni come la nostra stanno cercando di portare all’attenzione dell’industria, a volte riuscendoci, come nel caso degli Esteri del Butirrato.

Volendo entrare nel merito diciamo che la legge prevede innanzitutto una collaborazione tra Stato, Regioni e Provincie Autonome di Trento e Bolzano, in attuazione degli obiettivi che riguardano la valorizzazione delle patologie emoglobinopatiche quali malattie rare, per le quali occorrono farmaci, cosiddetti orfani, ma di elevato interesse sociale e per cui vanno previste agevolazioni: prevenzione primaria e diagnosi precoce, cura e riabilitazione, agevolazioni per l’inserimento sociale, scolastico, lavorativo e sportivo, informazione ed educazione della popolazione interessata e promozione di programmi di ricerca farmacologica e genetica finalizzati a una migliore cura e alla guarigione.

In ogni regione saranno istituiti Centri di alta specializzazione con funzioni di ricerca, prevenzione, diagnosi e cura, di riabilitazione dei malati, di orientamento e coordinamento delle attività sanitarie e sociali, formative e informative della Regione. Sarà istituita una “tessera personale” con tutti i dati riguardanti la patologia e le complicanze del malato. Sarà predisposta anche per la lettura automatizzata e avrà efficacia probatoria nei confronti di qualunque altro Ente. Sarà istituita con provvedimento del Ministero della Sanità entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge. La legge stessa prevede che i Centri vengano istituiti in ospedali dove ci siano almeno 30 pazienti.

In ottobre, proseguendo l’inchiesta sui Centri di cura dell’emofilia, partecipiamo a un incontro organizzato dal dott. Gaetano Muleo a Catanzaro.
Per l’occasione interviene il dott. Crupi, un medico di base emofilico che afferma:

…c’è il trattamento domiciliare ed il medico di famiglia potrebbe svolgere un ruolo legato al rapporto non soltanto con l’emofilico, ma con tutta la famiglia e quindi nel contesto sociale in cui si sviluppa. Perché quindi non invitare i medici di base ad incontri nei quali discutere le piccole problematiche, fermi restando i controlli periodici nei Centri. Mi sembra assurdo continuare ad ascoltare discorsi nei quali si dice che il paziente conosce la malattia meglio del proprio medico di famiglia.

CONFERENZA EUROPEA SUI FARMACI ORFANI E LE MALATTIE RARE

Nell’Auditorium del Centro per le Biotecnologie Avanzate a cura del Laboratorio Nuovi Farmaci, presieduta dalla prof. Adriana Ceci, si svolge la Conferenza Europea sui farmaci orfani e le malattie rare, in due giorni di intenso e animato dibattito. Il tema trattato è di grande attualità e importanza per noi europei e per gli italiani in particolare.
È noto che per le patologie che non colpiscono un gran numero di pazienti, l’industria farmaceutica è restia a spendere in ricerca per farmaci innovativi e/o risolutivi, perché poco allettanti dal punto di vista commerciale. Da qui la dizione “farmaco orfano”, cioè senza genitori, ma con tanti esseri umani che ne attendono la nascita per alleviare le loro sofferenze. La realtà a volte è crudele, ma è la realtà e con quella dobbiamo confrontarci, a volte anche turandoci il naso.

Negli USA il problema è stato affrontato nel 1983 con l’adozione di una legge federale, l’Horphan Drugs Act, che prevede alcuni provvedimenti per fare diventare allettanti anche i farmaci orfani a favore dei cittadini affetti da malattie cosiddette rare. In USA è previsto che all’industria che investe nella ricerca sui farmaci riconosciuti utili per malattie rare venga prolungato considerevolmente il periodo di esclusiva per la commercializzazione e inoltre è consentito lo sgravio fiscale di una somma pari al 50% delle spese per la ricerca.

Ora, finalmente anche in Europa, a cura del Parlamento, si sta mettendo mano a un progetto di legge con lo scopo di rendere anche all’industria nostrana più appetibile il mercato dei farmaci orfani. Lo scopo della conferenza è quello di esporre alle associazioni di malati il progetto e di raccogliere i suggerimenti.

Nel mese di novembre pubblichiamo questa lettera che era stata preceduta in ottobre da un’altra che aveva come oggetto Richiesta urgente di incontro.
Si dice tra l’altro:

Prendendo ad esempio due episodi di disservizio che si sono verificati nel Pronto Soccorso di un ospedale bolognese, abbiamo richiamato, nei giorni scorsi, l’attenzione dei lettori di un quotidiano sul problema dell’emofilia nella nostra Regione. Feriti in passato dalle infezioni dell’HIV (900 emofilici in tutta Italia, 450 deceduti) e delle epatiti, contratte da medicinali infetti utilizzati come cura, oggi Le chiediamo di non dimenticare affinché la tutela della salute, diritto sancito dalla Costituzione, sia prioritaria rispetto a logiche miopi di taglio della spesa sanitaria. Stiamo assistendo alla chiusura a livello nazionale di alcuni Centri di cura dell’emofilia. Non vogliamo che ciò si verifichi anche nella nostra Regione perché ciò significherebbe la perdita di professionalità mediche acquisite in tanti anni (oltre 25) con conseguenti rischi per i pazienti e aumento dei costi sull’intero sistema. Le chiediamo garanzie affinché tali professionalità siano mantenute e rinnovate. (In una Regione poi che si definisce il fiore all’occhiello dell’assistenza sanitaria in Italia!). Nel 1996 Le facemmo presenti, signor Assessore, queste nostre preoccupazioni suggerendole l’istituzione di un osservatorio formato da medici, associazioni di malati, politici regionali. Le chiedemmo inoltre di individuare un centro regionale per la diagnosi prenatale e la possibilità per tutti gli emofilici di utilizzare i nuovi farmaci sintetici (ricombinanti) di maggiore qualità, già in uso in altre regioni italiane ed in molti Paesi europei. Vorremmo che i nostri medici fossero messi nelle condizioni di assistere al meglio gli emofilici nella nostra regione (circa 550). Ogni volta che infondono i loro pazienti, si ricordano dei ragazzi che non ci sono più. E Lei, Assessore, se li ricorda?… O più semplicemente: lo ha mai saputo? Per questi ed altri motivi le rinnoviamo la richiesta di un incontro urgente.

Nello stesso servizio un articolo firmato da Gabriele Calizzani nel quale tra l’altro si afferma:

L’ottenimento di un’assistenza qualificata in ogni momento della giornata, 24 ore su 24, è un obiettivo che ogni associazione si è posta come punto di partenza, sin dal suo nascere. La difficoltà più rilevante è sempre stata quella di far capire ai vari interlocutori che un medico del pronto soccorso, o di qualsiasi altra specialità clinica, anche se in possesso di un’ottima preparazione, non è in grado di gestire al meglio il paziente emofilico. La peculiarità clinica della malattia fa sì che solo l’esperienza e la professionalità acquisite nel tempo in questo campo possano rendere adeguata l’assistenza agli emofilici, soprattutto nel caso di episodi gravi che richiedono intervento rapido. Su questo punto sono stati profusi tempo ed energie preziose da parte delle associazioni e degli stessi medici che hanno in cura gli emofilici. Perciò le conquiste ottenute non devono essere considerate posizioni di privilegio, ma risposte al bisogno dei pazienti. In un clima di crescente preoccupazione sul presente e sul futuro dell’assistenza all’emofilia, alimentata da un quadro a livello nazionale e da segni a livello regionale, di ritorno al passato, era, ed è tutt’ora necessario, lanciare un grido forte alle autorità regionali per smuoverle dal loro colpevole silenzio e immobilismo. Le difficoltà che incontrano oggi i nostri medici nell’assistenza all’emofilia sembrano oscurare i progressi compiuti nella terapia. Vorremmo che i nostri medici fossero protagonisti nella richiesta di un’assistenza adeguata; noi, come associazione, stiamo cercando il più possibile di liberarli da quei vincoli che ora li avvolgono per metterli nelle condizioni di lavorare al meglio. Chi, come loro, ha a cuore questa malattia, non può non capire e sostenere ogni azione rivolta al miglioramento della situazione attuale (anche se sarebbe meglio dire al non peggioramento, visti i passi all’indietro). Il rapporto che si è creato dopo tanti anni con i nostri medici è davvero qualcosa di invidiabile: per molti di noi, il medico è un amico che a volte mette i panni del padre e a volte quelli del confidente. Perciò può essere difficile esprimere critiche o semplicemente un senso di insoddisfazione rispetto al loro operato…potrebbero scaturirne ferite laceranti…ma ogni vero rapporto interpersonale è fatto anche di questo! Non si può considerare un’associazione di malati una società di servizi per cui se paghi una quota hai diritto ad una serie di prestazioni. Intenderla in questo modo significa snaturarne il significato. In primo luogo essa risponde ad un bisogno essenziale: la condivisione, lo scambio di condivisione, lo scambio di esperienze. Non ghetto di malati, ma strumento di libertà! Se qualcuno non ha in mente solo il calcio o il basket o scopare e ritiene che sia importante anche dare spazio maggiormente a se stessi e agli altri, si faccia avanti… venga ai convegni oppure telefoni, scriva…dica qualcosa! Un’associazione, che è anche questo, non manca di professionalità e di efficacia nel raggiungimento dei propri obiettivi.

Dicembre si conclude con la notizia di un nostro aiuto concreto, anche se con qualche difficoltà, agli emofilici palestinesi.

MIR ZAINEN DO: NOI CI SIAMO

Quando circa sette mesi fa, in occasione del convegno svoltosi all’Aia della Federazione Mondiale dell’Emofilia, abbiamo avuto modo di conoscere le realtà associative nazionali dei paesi in via di sviluppo, non potevamo sospettare che aiutare fosse cosa così ardua. Per questo motivo abbiamo instaurato uno scambio di informazioni con la Palestinian Haemophilia Association, i cui rappresentanti conosciuti al convegno avevano descritto le condizioni disperate in cui versano i loro associati.
Avevamo da poco tempo ricevuto una donazione di farmaci, ma sarebbe stato impossibile per noi attuare la spedizione a causa della situazione politica del paese. Dovevamo quindi, individuare un referente, a livello internazionale degno di credito e soprattutto in grado di poter superare le “barriere” della diffidenza e della paura. Inviare medicinali a un’associazione palestinese in territorio israeliano non è facile.

La Croce Rossa Italiana parve essere l’unica fonte cui potessimo rivolgerci per ottenere ciò che volevamo. Grazie all’amicizia e alla sensibilità del Direttore Provinciale dott. Curcella, è stato possibile innescare un meccanismo delicato di trattative a livello internazionale. Un dono silenzioso e spontaneo è diventato così il simbolo di un progetto più ambizioso: ascoltare e soccorrere.
Nel frattempo abbiamo avuto modo di aggiungere alcuni ausili terapeutici anche per i talassemici della stessa zona. La procedura burocratica ha seguito un iter piuttosto singolare: dapprima una donazione da parte della nostra alla C.R.O. e da questa Red Cross e Red Crescent Societies. Soltanto alla fine di lunghi controlli aeroportuali, c’è giunta notizia e conferma scritta (che pubblichiamo in fondo alla pagina) che il materiale era stato consegnato nelle mani dei rappresentanti della Associazione Emofilici Palestinesi. Mir Zainen Do significa Noi ci siamo ed era una frase che il nostro indimenticato Vincenzo usava soprattutto in questo mese per augurare Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutto il mondo. Il titolo della nostra iniziativa non poteva essere che questo.

Pur non dimenticando tutte le problematiche esistenti nel nostro Paese e per le quali continuiamo a batterci; pur nella consapevolezza che i successi ottenuti in questi ultimi mesi sono importanti; nella altrettanto consapevole certezza che continueremo a batterci affinché in Italia tutti abbiano la cura migliore, non possiamo dimenticare che ci sono nel mondo tanti fratelli che ancora non hanno la possibilità di un minimo indispensabile di cura o di riconoscimento sociale.
Questo è sempre stato il nostro scopo e questo intendiamo continuare a fare. Certo, caro Vincenzo: Mir Zainen Do. Lo sai che noi ci siamo. E tu con noi.